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Cassazione Penale Sez. 4 del 23 gennaio 2025 n. 2762

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Cassazione Penale Sez  4 del 23 gennaio 2025 n  2762

Cassazione Penale Sez. 4 del 23 gennaio 2025 n. 2762 / Infortunio mortale durante la pulizia di un silo

ID 23368 | 28.01.2025 / In allegato

Cassazione Penale Sez. 4 del 23 gennaio 2025 n. 2762 Infortunio mortale durante la pulizia di un silo atto alla raccolta di segatura

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Cassazione Penale Sez. 4 del 23 gennaio 2025 n. 2762
Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente
Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere
Dott. BRANDA Francesco Luigi - Consigliere
Dott. ARENA Maria Teresa - Relatore
Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere

Fatto

1. La Corte d'Appello di Reggio Calabria, in data 29 febbraio 2024, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Palmi, ha rideterminato la pena inflitta a A.A., imputato per il reato di cui all'art. 589 co. 1 e 2 cod. pen., in misura pari ad anni uno e mesi sei di reclusione concedendo il beneficio della sospensione condizionale della pena ma subordinandolo al pagamento della somma liquidata a titolo di provvisionale.

1.1. All'odierno ricorrente era contestato di avere, nella qualità di titolare, amministratore unico e legale rappresentante della società *** Srl con sede in D, per colpa generica consistita in imprudenza e negligenza dettate dall'avere adottato nella propria azienda un silo atto alla raccolta di segatura, del tutto privo di dispositivi di sicurezza ed estremamente pericoloso in quanto dotato all'interno di lame rotanti, nonché per colpa specifica consistita nella violazione dell'art. 19, co. 1 lett. d) ed e), 36 e 37, 71 co. 1 e 71 co. 1, 80 co. 3 e 290 D.Lgs. n. 81/2008 cagionava la morte del dipendente F.F. il quale, mentre procedeva alla pulizia del silo, in seguito all'improvvisa accensione del medesimo, restava intrappolato all'interno del macchinario tra le lame rotanti. Con l'aggravante di avere causato il fatto con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul luogo di lavoro. In D il (Omissis).

2. Le conformi sentenze dei due gradi di giudizio hanno ritenuto, ai fini dell'efficienza causale rispetto all'evento, la omessa fornitura al lavoratore di dispositivi di protezione individuali (oltre che collettivi), l'omessa formazione specifica del lavoratore circa i rischi connessi all'uso del macchinario, l'utilizzo di macchinari non conformi e la carenza, nel documento di valutazione dei rischi, di qualsivoglia indicazione circa la pulizia del silo.

La Corte territoriale ha respinto i motivi dì appello con i quali si sosteneva che il contegno del lavoratore sarebbe stato "causa sopravvenuta idonea" ad elidere il nesso causale tra la condotta contestata al datore di lavoro e la morte del lavoratore. I giudici di secondo grado dopo aver premesso che il silo non era conforme alle disposizioni legislative in quanto "privo di un meccanismo di bloccaggio in caso di apertura della porta (che poteva essere effettuata anche con i macchinari in funzione), privo di un sistema di allarme, privo di un pulsante di emergenza per poter bloccare immediatamente l'impianto" hanno precisato che il dipendente era stato assunto anche con il compito di occuparsi della pulizia dei locali della segheria ed hanno concluso che se il macchinario fosse stato "a norma sarebbe stato impossibile per il F.F. entrare all'interno del silo con il macchinario in funzione".

3. Avverso la sentenza è stato proposto ricorso nell'interesse del A.A. affidandolo ad un unico motivo con il quale si deduce violazione di legge ai sensi dell'art. 606 co. 1 lett. e) cod. proc. pen. in relazione all'art 165 cod. proc. pen. contestando che era stato già dedotto motivo di appello relativamente alla statuizione relativa alla subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Secondo la difesa, la Corte territoriale ha confermato la decisione senza motivare adeguatamente le ragioni per le quali ha fatto ricorso alla più afflittiva delle opzioni, a dispetto delle condotte positive messe in campo dal ricorrente di risoluzione delle criticità organizzative e tecniche del sistema di lavorazione. Il giudice non spiega le ragioni per le quali non ha inteso considerarle nella loro valenza eliminatoria delle conseguenze pericolose della condotta ed ha optato per la diversa condizione risarcitoria.

4. All'udienza il P.G., in persona del sostituto ****, ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. Il difensore delle parti civili ha chiesto il rigetto del ricorso proposto e depositato conclusioni e nota spese.

Il difensore dell'imputato, che aveva chiesto la discussione orale, ha depositato rinuncia alla discussione orale e insistito nell'accoglimento dei motivi di ricorso.

Diritto

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza del motivo.

2. Contrariamente a quanto si deduce nel ricorso ove si lamenta la mancanza di motivazione, quanto al motivo di gravame proposto volto a rimuovere la condizione apposta ex art. 165 co. 2 cod. pen, la Corte territoriale, dopo aver premesso che l'appellante aveva genericamente lamentato il carattere afflittivo della statuizione e l'assenza delle condizioni di legge, ha fornito congrua motivazione, argomentando che il ricorrente "non si confronta con il tenore letterale della disposizione citata che appunto impone al condannato cui sia stata riconosciuta la sospensione condizionale una seconda volta, l'adempimento di una delle condizioni previste dal comma 1 tra cui appunto quella di natura risarcitoria. Né il pagamento delle sanzioni amministrative o l'ottemperanza alle prescrizioni S.p.i.s.a.l. può qualificarsi come una condotta spontanea ai sensi di cui all'ultimo comma dell'art. 163 cod. pen."

Questa Corte ha precisato che "In tema di sospensione condizionale della pena, il giudice che intenda subordinare il beneficio al pagamento di una provvisionale è tenuto a motivare, sommariamente, sulla possibilità per il condannato di adempiere qualora siano stati addotti da questo, o emergano dagli atti, elementi che possano fare dubitare della sua capacità economica" (Sez. 5 n. 37160 del 10/09/2024, Rv. 287113 - 01).

Si legge nella parte motiva della sentenza sopra richiamata che il risalente principio in virtù del quale il giudice può subordinare la sospensione condizionale della pena al pagamento di una provvisionale indipendentemente da ogni riferimento alle condizioni economiche del condannato (Sez. 4 n. 296 del 28/11/1988, dep. 1989, Rv. 180137 - 01) è stato oggetto di un progressivo superamento nella giurisprudenza di legittimità la cui portata deve essere precisata con riferimento agli oneri attribuiti alle parti e all'autorità giudiziaria. Se per un verso l'imposizione di una obbligazione di natura civilistica potrebbe consentire l'applicazione del principio dell'onere di prova di cui all'art. 2697 cod. civ. in forza del quale compete, a chi intende dimostrare un fatto (nella specie l'impossibilità economica di pagare la provvisionale), addurre i relativi elementi di prova, per altro verso il fatto che il pagamento della provvisionale condizioni la possibilità per il condannato di beneficiare della sospensione condizionale della pena e che, dunque, incida direttamente sulla libertà personale dello stesso, comporta un temperamento del principio che giustifica l'esercizio di poteri officiosi del giudice. Si è così affermato che la subordinazione del beneficio della sospensione della pena a una condizione inesigibile si porrebbe in contrasto con l'art. 3 e con l'art. 27 della Costituzione (Sez. 5 n. 46834 del 12/10/2022, Rv. 283902 - 01, in motivazione).

Si è, ulteriormente precisato che qualora la parte non abbia allegato alcun elemento idoneo a far sorgere quantomeno il dubbio che la stessa possa adempiere al pagamento della provvisionale, sarebbe onere del giudice di valutare la situazione economica del condannato solo nel caso in cui emergano ex actis ulteriori indici che tale dubbio possano legittimare. Nel suddetto senso si è pronunciata questa Corte (Sez. 4 n. 1436 del 12/12/2023, dep. 2024, Rv. 285633 - 01) in relazione ad un caso in cui l'essere l'imputato condannato ammesso al patrocinio a spese dello Stato induceva a dubitare della capacità di soddisfare la condizione imposta.

Sotto altro profilo, è stato puntualizzato che ove il giudice di primo grado non ha neppure sommariamente accertato le condizioni economiche del condannato, in sede di impugnazione è onere dello stesso fornire almeno un principio di prova in ordine alla propria impossibilità, o dell'eccessiva difficoltà di adempiere e dunque, all'inesigibilità dell'obbligazione civilistica imposta, condizionante il riconoscimento del beneficio (Sez. 5, n. 37160 del 10/09/2024, Rv. 287113 - 01 in parte motiva).

3. Nel caso in esame, il ricorrente aveva già usufruito del beneficio della sospensione condizionale della pena dal che discendeva, proprio in virtù della previsione di cui all'art. 165, co. 2, cod. pen., un onere di allegazione, poiché nel caso in esame la sospensione condizionale della pena non poteva essere concessa se non subordinandola all'adempimento di uno degli obblighi di cui al primo comma del detto articolo. In tale prospettiva sono stati ritenuti ammissibili ricorsi proposti dal Procuratore Generale presso la Corte di appello contro sentenze di applicazione della pena che avevano disposto la sospensione condizionale della pena in violazione dell'art. 165, co. 2, cod. pen. (Sez. 6, n. 17119 del 14/03/2019, P., Rv. 275898; Sez. 4, n. 5064 del 06/11/2018, dep. 2019, Bonomi, Rv. 275118; Sez. 2, n. 11611 del 27/01/2020, Serpillo Rv. 278632).

È stato precisato (Sez. 4, n. 47202 del 18/11/2022, Rv. 283925 - 01 in motivazione) che non può considerarsi estranea al concetto di legalità della pena la questione relativa alla necessità di subordinare o meno il beneficio a uno degli obblighi previsti dall'art. 165 cod. pen. non essendovi ragione per espungerla "dal concetto di legalità della pena", che non può essere circoscritta alla irrogazione di una o più delle sanzioni previste dall'art. 17 cod. pen. ma va "identificata in un più ampio plesso concettuale che comprende anche gli istituti che incidono sulla concreta ed effettiva applicazione di tali sanzioni" (Sez. 4, n. 5064 del 06/11/2018, dep. 2019, Bonomi, Rv. 275118 pag. 3 della motivazione).

Ciò a maggior ragione quando, come nel caso in esame, non risultino dagli atti elementi che onerino il giudice di verificare le condizioni economiche del condannato né che lo stesso abbia allegato difficoltà ad ottemperare alla condizione posta (Sez. 4, n. 927 del 28/09/2022, dep. 2023, Mastrominico, Rv. 283931 -01).

5. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre che alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili per questo giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo nonché della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili B.B., C.C., D.D., E.E. che liquida in complessivi Euro tremilacinquecento oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2025.

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