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1. Il 20 febbraio 2015 la Corte di appello di Trento ha integralmente confermato la sentenza del Tribunale di Rovereto del 15 ottobre 2013 con la quale M.C. è stato ritenuto colpevole del reato di lesioni colpose gravi nei confronti di S.T., con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni, fatto contestato come commesso il 6 ottobre 2010.
2. I giudici di merito hanno ritenuto che l'imputato, dirigente con delega per la gestione della sicurezza e della salute negli ambienti di lavoro della ditta "S. Trent Italia S.p.a", avendo messo a disposizione del lavorare dipendente della ditta S.T. un macchinario di essiccazione dei fanghi, al servizio di depuratore, che non era sicuro, in quanto i relativi comandi erano posti in posizione tale da non consentire all'operatore di controllare l'assenza di persone in prossimità di zone pericolose ed anche in quanto era possibile accedere alle pale della retrovalvole con gli sportelli di ispezione aperti, causava al dipendente lesioni consistite nell'amputazione del polpastrello del primo dito della mano destra: in particolare, S.T., che era intento ad eseguire sul motore dell'impianto la pulizie del ciclone, delle pale della retrovalvola, inseriva nel macchinario la mano destra che impugnava una pistola ad aria compressa, per effettuare la rimozione del fango incrostato nell'impianto di essiccazione dei fanghi e, urtando contro la fotovalvola, che, contrariamente alle istruzioni operative, era in movimento, aveva subito, appunto, l'imputazione traumatica del primo polpastrello della mano destra.
3. Ricorre per la cassazione della sentenza impugnata M.C., che si affida a due motivi con i quali deduce violazione di legge e difetto motivazionale.
3.1. Denunzia, in primo luogo, che la condanna sarebbe intervenuta per un fatto diverso da quello contestato, in quanto, mentre nel capo di accusa si legge che i comandi erano posti in posizione tale da non consentire all'operatore di controllare l'assenza di persone in prossimità di zone pericolose ed era possibile accedere alle pale della retrovalvole con gli sportelli di ispezione aperti, invece l'affermazione di penale responsabilità sarebbe fondata sulla mancanza di un sistema che impedisse l'apertura dello sportello per la manutenzione durante il funzionamento dell'impianto e che non consentisse l'avvio degli organi meccanici interni se non dopo la chiusura dello sportello.
3.2. Censura inoltre mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, evidenziando che la Corte territoriale ha ritenuto che è pur vero che il POS prevedeva il divieto espresso di accesso alle parti in movimento senza avere prima spento il macchinario ma che la mancanza di un sistema di sicurezza di tipo oggettivo consentì che si potesse, comunque, agire disattendendo la regola: in ciò consisterebbe, ad avviso del ricorrente, contraddittorietà tra premessa e conclusione del ragionamento giudiziale.
Si evidenzia, in ogni caso, che la vittima era dipendente formato ed esperto, a conoscenza del POS aziendale, addetto alle mansioni da due anni, e che il corretto svolgimento da parte dello stesso dell'operazione, mediante impiego di pistola ad aria con beccuccio, di cui era munito, avrebbe evitata l'infortunio.
Si sottolinea che l'esistenza di una prassi di tolleranza aziendale di comportamenti scorretti deriverebbe da una mera supposizione, sfornita di elementi oggettivi di riscontro, dell'ispettore del lavoro escusso come teste.
Erroneo sarebbe, poi, attribuire complessiva credibilità alla versione del lavoratore infortunato, espressamente ritenuto (alla p. 7 della sentenza impugnata) dalla stessa Corte territoriale poco credibile.

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Testata editoriale iscritta al n. 22/2024 del registro periodici della cancelleria del Tribunale di Perugia in data 19.11.2024