Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Va premesso che, vertendosi - in punto di valutazione di responsabilità dell'imputato - in una fattispecie di c.d. doppia conforme, le due decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi le stesse a vicenda, secondo il tradizionale insegnamento della Suprema Corte; tanto in base al principio per cui "Il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile" (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, Zanotti, Rv. 225671; Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617).
3. Va pregiudizialmente affrontato, per ragioni di priorità logica, il secondo motivo di impugnazione, con il quale la difesa del ricorrente ha dedotto una causa di nullità della sentenza impugnata ai sensi dell'art.522 cod.proc.pen., derivante dall'essersi fondata la pronuncia di secondo grado su un profilo di colpa omissiva non contestato nel capo di imputazione e consistente nell'avere ascritto all'imputato di non essersi previamente assicurato dell'effettiva apertura della cassetta contenente il contatore ENEL ovvero della immediata disponibilità della relativa chiave; in tal modo, secondo la prospettazione difensiva, sarebbe stato contestato all'imputato un profilo di colpa attinente a una dedotta inefficienza organizzativa aggiungendo che - attraverso il riferimento testuale all'accettazione del rischio che i lavoratori non staccassero la corrente - il profilo di responsabilità contestato sarebbe trasmodato nel dolo eventuale.
Il motivo è manifestamente infondato.
Sul relativo profilo di diritto le Sezioni Unite hanno affermato in più occasioni il principio in base al quale, in relazione al rispetto del combinato disposto degli artt. 521 e 522 cod.proc.pen., per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, cosicché si pervenga a una incertezza sull'oggetto della imputazione da cui scaturisce, un reale pregiudizio dei diritti della difesa; conseguendone che l'indagine non va esaurita nel mero e pedissequo confronto puramente letterale tra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto della contestazione (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619; Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051).
Tali principi sono coerenti con quelli costituzionali racchiusi nella norma di cui all'art. 111 della Carta fondamentale, ma anche con l'art. 6 della Convenzione E.D.U., come interpretato, in base alla sua competenza esclusiva, dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, a partire dalla pronuncia Drassich c. Italia (CEDU 2 sez. 11 dicembre 2007); ma anche, successivamente, con la pronuncia del 22 febbraio 2018, Drassich c. Italia (n.2), con la quale la Corte di Strasburgo ha escluso la violazione dell'art. 6 cit. nel caso in cui l'interessato abbia avuto una possibilità di preparare adeguatamente la propria difesa e di discutere in contraddittorio sull'accusa alla fine formulata nei suoi confronti (così, in motivazione, Sez.4, n.3922 del 17/12/2020, dep. 2021, Zizzi, n.m.).
In applicazione del suddetto principio e a proposito dell'ambito specifico dei reati colposi, è stato quindi affermato che la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 cod. proc. pen. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice (Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018, Di Landa, Rv. 273265; Sez. 4, n. 7940 del 25/11/2020, dep. 2021, Chiappalone, Rv. 280950; Sez. 4, n. 6564 del 23/11/2022, Spampinato, Rv. 284101).
Deve quindi escludersi che l'aggiunta, operata nella motivazione della sentenza di secondo grado, di ulteriori profili di colpa generica rispetto a quelli individuati nel capo di imputazione - il quale, peraltro, oltre alla contestazione del predetto profilo dì colpa specifica faceva anche previo riferimento alla negligenza, imperizia e imprudenza - possa ritenersi idonea a perfezionare la violazione sanzionata dall'art.522 cod.proc.pen., non essendo l'aggiunta medesima idonea a concretizzare un'effettiva immutazione del fatto - essendo comunque la relativa condotta da ritenersi come mera specificazione della contestazione generica originariamente formulata.
A tale proposito, va richiamata la lettura giurisprudenziale in base alla quale, qualora il fatto venga dal giudice di appello diversamente qualificato, attraverso la modifica della posizione soggettiva rilevante per la colpa, ma solo senza che l'imputato abbia preventivamente avuto modo di interloquire sul punto, la garanzia del contraddittorio - prevista dall'art. 111 Cost. e dall'art. 6 CEDU così come interpretato dalla Corte EDU - resta comunque assicurata dalla possibilità di contestare la diversa definizione mediante il ricorso per cassazione e, unicamente qualora la nuova qualificazione dell'addebito, sotto il profilo della posizione soggettiva, abbia inciso in concreto sulle strategie difensive, l'imputato deve essere restituito nella facoltà di esercitare pienamente il diritto di difesa, anche attraverso la proposizione di richieste di prova rilevanti in relazione al diverso contenuto dell'accusa (Sez. 2, n. 46401 del 09/10/2014, Destri, Rv. 261047; Sez. 3, n. 22296 del 09/03/2017, Bavila, Rv. 269992; espressiva di analogo principio anche Sez. 5, n. 27628 del 23/05/2019, F., Rv. 276643).
Nel caso di specie, in relazione alla questione di fatto indicata nell'ambito del motivo di ricorso, deve ritenersi che l'imputato abbia avuto la piena possibilità di esplicare le proprie facoltà difensive anche in ordine alla stessa.
Trattandosi di tema - quello della necessità di assicurarsi del previo distacco del contatore ENEL - comunque emerso nel corso del giudizio in quanto, come sottolineato tanto nella sentenza di primo grado quanto in quella di secondo grado, riferita nell'ambito dell'istruzione dibattimentale e oggetto di specifiche dichiarazioni rese dall'imputato nel corso del proprio esame.
D'altra parte, quanto a ulteriore profilo di doglianza da intendersi sollevato nel motivo di appello - e afferente alla dedotta eccentricità della ritenuta responsabilità per difetto di organizzazione da parte dell'imputato - deve ritenersi che il relativo profilo fosse stato già indicato nell'atto di esercizio dell'azione penale, in cui si prospettava la ragione di colpa derivante dall'aver inviato a eseguire lavori su impianti elettrici dipendenti privi della necessaria qualificazione per l'attività da svolgere.
4. Con il primo motivo di impugnazione, il ricorrente ha dedotto che la Corte territoriale avrebbe errato nell'interpretare il disposto dell'art.83 del D.Lgs. n.81/2008, nella parte in cui ha ritenuto che una lavorazione nella prossimità delle parti attive potesse essere eseguita solo da persone esperte (PES) o persone avvertite (PAV), trascurando la disposizione contenuta al punto 6.4.1.2. delle norme tecniche CEI 11-27 (come indicate nel capo di imputazione e nel testo applicabile ratione temporis) nonché l'applicabilità della disposizione n.6.4.2.1 e regolante il mezzo di protezione adottabile ai sensi della stessa, consistente nella attivazione di un blocco meccanico.
Il motivo è, complessivamente, inammissibile in quanto manifestamente infondato.
4.1 Come sopra accennato, il Tribunale e poi, ancora più esplicitamente, la Corte territoriale - in riferimento all'originaria contestazione di colpa specifica facente riferimento al disposto dell'art.82 del D.Lgs. n.81/2008 - hanno ritenuto che l'operazione all'esito della quale si era verificato l'incidente fosse stata eseguito "in prossimità di tensione", con la conclusione in forza della quale la regola cautelare violata doveva essere identificata in quella contenuta nell'art.83 dello stesso T.U. e in base a cui: "1. Non possono essere eseguiti lavori non elettrici in vicinanza di linee elettriche o di impianti elettrici con parti attive non protette, o che per circostanze particolari si debbano ritenere non sufficientemente protette, e comunque a distanze inferiori ai limiti di cui alla tabella 1 dell'allegato IX, salvo che vengano adottate disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi. 2. Si considerano idonee ai fini dì cui al comma 1 le disposizioni contenute nelle pertinenti norme tecniche"; indicando il richiamato allegato IX le relative distanze minime dipendenti dal grado di tensione presente nel caso di specie.
Ciò premesso, la stessa disposizione delle norme tecniche CEI 11-27 richiamata dalla difesa, sempre nel testo del 2014 applicabile ratione temporis, prevedeva specificamente che i lavori "in prossimità" dovessero essere svolti da PES o PAV e che le persone comuni privi di tale qualifica (PEC) potessero svolgere lavori in prossimità alla sola condizione che una PES ovvero una PAV gestisse il rischio elettrico mediante "una supervisione o una sorveglianza".
4.2 Deve quindi ritenersi che le sentenze di merito abbiano esaurientemente affrontato - con motivazione congrua e non palesemente illogica - la questione di fatto oggetto del motivo di ricorso; il quale, in definitiva, si sostanzia sul punto in una mera reiterazione di argomentazioni già affrontate e smentite da parte della Corte territoriale.
In particolare, i giudici di appello hanno rilevato - sulla base del presupposto in forza del quale la veste di PES o di PAV necessità di una formale attribuzione da parte del datore di lavoro - che, oltre alla persona offesa, neanche il caposquadra B.B. (sulla base di circostanza comunque emersa nel corso dell'istruzione dibattimentale) fosse munito della qualifica medesima; avendo specificamente il giudice di primo grado (pag.3 della sentenza) rilevato, con argomentazione rimasta priva di censura, che il solo B.B. aveva assunto tale qualifica nel successivo anno 2017 e rimanendo del tutto irrilevanti, pertanto, le argomentazioni difensive in ordine alla dedotta esperienza maturata dal predetto dipendente in materia di lavori da eseguire su impianti elettrici; elemento di fatto, incidentalmente, smentito dallo stesso A.A. in sede di esame reso nel corso del primo grado di giudizio nel corso del quale, con affermazioni riportate nella sentenza, lo stesso aveva dichiarato che il B.B. "non era una persona pronta per essere PES o PAV".
4.3 D'altra parte, del tutto inconferente appare altresì il richiamo - operato dalla difesa nell'esposizione del motivo di ricorso - alle specifiche disposizioni tecniche contenute nel punto 6.4.2 delle norme 11-27, nel cui ambito è previsto che i lavori in prossimità di parti attive possano essere eseguiti anche da una PEC senza prescrizioni aggiuntive particolari quando siano stati posti in essere le specifiche misure di protezione indicate al punto 6.4.2.1, ovvero "protettore o una barriera o sistemi di blocco meccanico o sistemi equivalenti"; ciò in quanto gli stessi devono essere predisposti, come pure indicato nella disposizione, al fine di impedire "la penetrazione nella zona di lavoro sotto tensione".
Deve quindi trattarsi - come rilevato dal Tribunale alla pag.4 della sentenza di primo grado - di opere idonee a impedire l'avvicinamento alla zona sotto tensione in relazione ai limiti metrici indicati, a propria volta, nel richiamato allegato IX al D.Lgs. n.81/2008; dovendosi quindi escludere, in relazione alla prospettazione difensiva, che possa essere valutata a tali fini la condotta consistente nella sola disattivazione dell'interruttore della corrente elettrica destinata al cantiere.
Va quindi ritenuto che - con argomentazioni logiche e, come detto, consequenziali rispetto alla formulazione del capo di imputazione - i giudici di merito abbiano ravvisato la responsabilità del datore di lavoro derivante dall'aver inviato personale non adeguatamente qualificato a svolgere lavori in prossimità di linee elettriche senza comunque assicurarsi previamente, in quanto unico soggetto munito delle necessarie qualifiche specialistiche, che le opere fossero effettivamente svolte in condizioni di sicurezza; condizioni di sicurezza, a propria volta e come ampiamente illustrato dalla Corte territoriale, necessitanti del previo distacco del passaggio della corrente elettrica da parte del contatore ENEL posto a monte rispetto al quadro elettrico del cantiere.
5. Con il terzo motivo di impugnazione, il ricorrente ha dedotto l'assenza del necessario nesso causale con la condotta colposa ascritta attesa la volontaria deviazione, in capo alla persona offesa, rispetto alle direttive impartite con conseguente interruzione del processo causale medesimo in relazione al disposto dell'art.43 cod.pen..
Il motivo è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.
5.1 Sul punto, le argomentazioni sottese al motivo di ricorso costituiscono la riproposizione di analoga censura già formulata in sede di appello e argomentatamente confutata dalla Corte territoriale, la quale ha evidenziato l'assorbente rilievo causale della condotta colposa ravvisabile nei confronti dell'imputato - come sopra specificata - pure in presenza di un comportamento imprudente in capo alla persona offesa.
5.2 A tale proposito - come argomentato in parte motiva da Sez. 4, n. 37986 del 27/06/2012, Battafarano, Rv. 254365 - va quindi rilevato che le norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro hanno la funzione primaria di evitare che si verifichino eventi lesivi della incolumità fisica, intrinsecamente connaturati all'esercizio dell'attività lavorativa, anche nelle ipotesi in cui tali rischi siano conseguenti ad eventuale disaccortezza, imprudenza e disattenzione da parte del lavoratore subordinato.
Tale conclusione è fondata sulla disposizione generale di cui all'art. 2087 cod.civ. e di quelle specifiche previste dalla normativa antinfortunistica, secondo le quali, il datore di lavoro o comunque la persona dallo stesso delegata, è costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'art.40, comma 2, cod.pen..
Ne consegue che il titolare della posizione di garanzia ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando altresì a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l'opera, essendo tale posizione di garanzia estesa anche al controllo della correttezza dell'agire del lavoratore, essendo imposto al garante (anche) di esigere dal lavoratore il rispetto delle regole di cautela.
Le censure avanzate dal ricorrente non tengono quindi conto del fatto che, in tema di infortuni sul lavoro, l'eventuale colpa concorrente dei lavoratori non può spiegare alcun effetto esimente per il garante della sicurezza sul posto di lavoro, che si sia reso comunque responsabile, come nel caso in esame, di specifica violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica, in quanto la normativa relativa è diretta a prevenire pure la condotta colposa dei lavoratori per la cui tutela è adottata.
In particolare quanto alla censura volta a prospettare l'interruzione del nesso causale basata sul comportamento della vittima (che, come risultato dall'istruttoria espletata, ha lavorato su cavi elettrici posti "a monte" rispetto al generatore di cantiere), questa non tiene conto che, poiché le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del lavoratore che presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, che sia del tutto imprevedibile o inopinabile.
Peraltro, in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento.
Derivando, da tale argomento, anche l'ulteriore principio di diritto in base al quale perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Sez. 4, n. 7364 del 14/01/2014, Scarselli, Rv. 259321; Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242).
5.3 D'altra parte, rispetto alla dedotta abnormità del comportamento del lavoratore, deve considerarsi come tale il comportamento imprudente del medesimo che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli.
In particolare, ancora più specificamente, la giurisprudenza di questa Corte ha rilevato che, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del garante e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 16397 del 05/03/2015, Guida, Rv. 263386; Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Vigo, Rv. 281748; Sez. 4, n. 7012 del 23/11/2022, dep. 2023, Cimolai, Rv. 284237, cit.).
In sostanza, sulla base dell'esame sinottico dei principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi che sia interruttiva del nesso di condizionamento la condotta del lavoratore nel solo caso in cui la stessa si collochi in qualche modo al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso.
Rilevando altresì che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel sostenere che non possa discutersi di responsabilità (o anche solo di corresponsabilità) del lavoratore per l'infortunio quando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità (Sez.4, n.16888 del 07/02/2012, Pugliese, Rv.252373, nonché, in senso coerente, anche Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242, cit.), ciò in quanto le disposizioni antinfortunistiche perseguono, infatti, il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l'area di rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli (Sez.4, n.4114 del 13/01/2011, n.4114, Galante, n.m.; Sez. F, n. 32357 del 12/08/2010, Mazzei, Rv. 247996).
5.4 Deve quindi ritenersi che, nel caso di specie, i giudici di merito abbiano fatto adeguato governo dei predetti principi; ritenendo, specificamente, che il comportamento del lavoratore - pure connotato da un'imprudenza derivante dal fraintendimento delle direttive impartite dall'altro lavoratore presente sul posto (e comunque, come sopra rilevato, privo della necessaria qualifica per gestire lavori in prossimità di parti attive di cavi elettrici) - non avesse integrato alcunché di esorbitante o di imprevedibile, tale da poter rilevare ai fini dell'interruzione del nesso causale, avendo ravvisato la sussistenza del medesimo con le inosservanza colpose ascritte all'imputato della normativa di settore; la cui corretta applicazione avrebbe dovuto anzi evitare, a monte, che lavoratori non qualificati potessero svolgere lavorazioni del tipo di quelle che avevano costituito il necessario antecedente logico dell'evento lesivo.
Nel caso di specie deve quindi ritenersi che la Corte distrettuale, rimarcando il rilievo causale da attribuire al comportamento dell'imputato - che ha omesso di recarsi sull'area del cantiere pur essendo l'unico soggetto qualificato per svolgere le lavorazioni affidate ai dipendenti - abbia correttamente identificato l'assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati.
6. Alla declaratoria d'inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", il ricorrente va condannata al pagamento di una somma che si stima equo determinare in Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.