Considerato in diritto
3. Il ricorso è inammissibile. Ciò non consente di dare rilievo al sopravvenuto decorso del termine massimo di prescrizione (cfr. Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531; Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 - dep. 25/03/2016, Ricci, Rv. 266818).
3.1. Il primo motivo è manifestamente infondato. Lo stesso ricorrente espone di aver rivestito la qualifica di consigliere delegato. E' noto che secondo la giurisprudenza di questa Corte nelle società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 8118 del 01/02/2017 - dep. 20/02/2017, Ottavi, Rv. 26913301). I rilievi che si muovono alla sentenza impugnata in relazione all'interpretazione data di quanto emergente dal DVR risultano quindi recessivi, ove pure cogliessero il punto.
Il ricorrente evoca anche una delega, della cui esistenza non è fatta menzione nelle sentenze di merito. E, d'altronde, appare evidente che nel ricorso si confonde l'attribuzione di ruoli all'interno dell'organigramma aziendale con la delega delle funzioni prevenzionistiche di cui all'art. 16 d.lgs. n. 81/2008. Ma la prima, quando associata alla effettiva titolarità di pertinenti poteri, fonda la posizione gestoria a titolo originario; la seconda comporta il trasferimento dal datore di lavoro ad altri di alcune sue specifiche e definite competenze e dei correlati poteri. La preposizione di un preposto non costituisce atto di delega in senso stretto; e d'altronde non sottrae il datore di lavoro ai propri obblighi di organizzazione e di vigilanza sulla osservanza delle procedure aziendali, anche da parte del preposto stesso.
3.2. Pertanto, se la presenza di altri gestori del rischio da lavoro non costituisce di per sé ragione di esonero da responsabilità del datore di lavoro, quel che rileva è l'identificazione del rischio che si è concretizzato nell'evento, onde risalire a colui che avrebbe dovuto curare gli adempimenti prevenzionistici.
Nel caso che occupa, secondo la ricostruzione conforme delle sentenze di merito, l'infortunio si è determinato perché posta in essere una procedura di lavoro non conforme alle regole cautelari, in quanto erano state disattivate le fotocellule che comandavano l'arresto del macchinario ove il lavoratore fosse entrato nel loro campo di azione.
La Corte di appello ha esposto che ciò rispondeva ad una prassi che era tollerata dal G.E..
Si tratta di circostanze non contestate nemmeno dal ricorrente. Sicché trova applicazione il principio secondo il quale, in tema di infortuni sul lavoro, in presenza di una prassi dei lavoratori elusiva delle prescrizioni volte alla tutela della sicurezza, non è ravvisabile la colpa del datore di lavoro, sotto il profilo dell’esigibilità del comportamento dovuto omesso, ove non vi sia prova della sua conoscenza, o della sua colpevole ignoranza, di tale prassi (Sez. 4, n. 32507 del 16/04/2019 - dep. 22/07/2019, Romano, Rv. 27679702).
Sotto altro profilo, che il G.E. non avesse esercitato in concreto le funzioni di vigilanza è al contempo ragione dell'addebito - perché proprio l'omissione dei doveri tipici del datore di lavoro aveva permesso l'ingenerarsi della scorretta prassi lavorativa - e circostanza irrilevante - ove si faccia riferimento ai compiti di vigilanza del preposto, la cui violazione si somma a quella datoriale e non la elide.
3.3. Anche il terzo motivo è manifestamente infondato. Con esso si saldano il piano dell'an della responsabilità e quello del quantum, laddove è palese che a fondamento delle attenuanti generiche può essere posto solo un elemento che incide sulla misura del bisogno di pena dell'imputato, la cui responsabilità è ormai acclarata.
3.4. L'ultimo motivo è inammissibile per carenza di interesse. L'imputato non ha interesse ad impugnare la sentenza che abbia omesso di pronunciare la condanna solidale al risarcimento del danno anche a carico del responsabile civile, e che abbia escluso l'applicazione della manleva dell'assicurato ai sensi dell'art. 1917 cod. civ. da parte del responsabile civile, in quanto il vincolo di solidarietà tra quest'ultimo e l'imputato ha efficacia "ope legis" e, per il pagamento delle spese in favore della parte civile, è previsto dall'art. 541, comma primo, cod. proc. pen. (Sez. 4, Sentenza n. 3347 del 22/12/2016 dep. 23/01/2017, Mirenda e altro, Rv. 269004 - 01).
4. Segue alla declaratoria di inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di duemila euro alla Cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile D.B. che vanno liquidate in euro 2.500,00 oltre spese generali al 15%, CPA e IVA.