Cassazione Civile, Sez. Lav., 12 luglio 2016, n. 14202 - Morte del lavoratore ma nessun nesso causale tra le attività concretamente svolte e l’evento dannoso
Il motivo appare infondato per quanto già detto: le mansioni svolte erano diverse da quelle esposte nel ricorso; conseguentemente non sussisteva l’esposizione a rischio dedotta e non operava alcuna presunzione. Partendo da tale presupposto la Corte di appello ha verificato l’insussistenza di elementi di prova sufficienti per dimostrare il nesso causale tra le attività concretamente svolte e l’evento dannoso ed anche l’omissione di cautele doverose ex art. 2087 c.c. che peraltro neppure vengono indicate al motivo. Si vuole con il motivo in realtà censurare un accertamento di fatto, visto che i condivisibili principi di diritto ormai consolidati citati possono operare solo una volta che si sia accertato (o sia non contestato) che il lavoratore abbia effettivamente svolto delle mansioni che comportino una esposizione a rischio presunta in via legale in connessione con determinate malattie, ma non ove le mansioni espletate siano fattualmente diverse da quelle che la legge pone in connessione con una certa malattia al fine di stabilire la ricordata presunzione.
Le eredi di V.C. chiedevano a titolo personale ed a titolo ereditario la condanna della Nuovo P. spa al risarcimento del danni di carattere biologico, morale, esistenziale, patrimoniale conseguenti al decesso del loro congiunto avvenuta il 28.6.1996 per motivi da ricondurre all’attività lavorativa espletata alle dipendenze della convenuta Nuova P. dal 1970 al 1996 come addetto all’installazione dei macchinari da questa prodotti (compressori per l’industria petrolifera) che aveva comportato l’inalazione di fumi di saldatura contenenti sostanze cancerogene. Il Tribunale rigettava la domanda; la Corte di appello con sentenza del 3.11.2011 rigettava l’appello delle eredi V. . La Corte territoriale osservava che le appellanti avevano impostato le loro argomentazioni su un elemento dato per pacifico e cioè l’essere stato il V. quale tecnico addetto all’installazione, avviamento e manutenzione dei compressori, necessariamente esposto al fumi di saldatura sprigionatasi in tali attività, presupposto da cui erano partiti anche i medici che si erano occupati della vicenda (che comunque avevano ritenuto che un ruolo primario nella determinazione dell’evento fosse stata l’esposizione del V. all’amianto avvenuta presso altra azienda); tuttavia il teste d. aveva dichiarato che il V. controllava come capo squadra le lavorazioni, così come il teste L. aveva precisato che lo stesso era un tecnico addetto all’installazione, ma non un operaio saldatore. Il lavoro era stato svolto comunque all’aperto ed in ogni caso per il pericolo dei fumi c’erano degli aspiratori come affermato da quest’ultimo teste. Pertanto erano giustificati i dubbi sulla vera causa dell’evento espressi dal CTU che aveva indicato come possibili cause l’esposizione all’amianto, i fumi di saldatura ed anche il fumo di sigaretta di cui il V. faceva ampio consumo. Posto che il V. non partecipava direttamente all’esecuzione della saldature vi erano dubbi in ordine all’omissione di cautele preventive da parte della società appellata, posto che nulla di certo era emerso in ordine all’intensità, frequenza e durata dell’esposizione all’amianto.
Per la cassazione di tale decisione propongono ricorso le eredi V. con due motivi; resiste con controricorso la società Nuovo P. spa con controricorso.
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