Featured

Cassazione Penale Sez. 4 del 26 novembre 2025 n. 38293

Cassazione Penale Sez. 4 del 26 novembre 2025 n. 38293

Cassazione Penale Sez. 4 del 26 novembre 2025 n. 38293 / Norma CEI 11-27 ed esclusione comportamento abnorme del lavoratore

ID 25030 | 01.12.2025 / In allegato

Cassazione Penale Sez. 4 del 26 novembre 2025 n. 38293 
Scarica elettrica durante le operazioni di collegamento di una cella frigorifera. 
Norma CEI 11-27 ed esclusione del comportamento abnorme del lavoratore

_________

Fatto

1. Con sentenza, emessa in data 24/06/2022, il Tribunale di Bologna, in com-posizione monocratica, all'esito di giudizio ordinario, condannava A.A. alla pena di mesi tre di reclusione, sostituita ex artt. 53 e ss. legge n. 689 del 1981, in Euro 6.750,00 di multa, poiché ritenuto responsabile del delitto di cui agli artt. 590, commi 1, 2 e 3, cod. pen., per avere, in qualità di Presidente del C.d.A. delle ditte "Pronto Luce Srl" e "Inti-net Global Srl, datore di lavoro dell'infortunato e, pertanto, soggetto giuridico sul quale incombeva l'onere di impedire l'evento, cagionato per colpa lesioni gravi a B.B., consistite in "ustioni dermide intermedio-profonde delle prime tre dita della mano sinistra e del secondo dito della mano destra" dalle quali derivava una malattia nel corpo di durata notevolmente superiore a quaranta giorni.

Emerge dall'imputazione che il B.B., dipendente della ditta "Inti-net Global Srl", con mansioni di aiuto elettricista – operaio di secondo livello 7", al momento dell'infortunio, occorso in data 08/08/2017, si trovava presso il cantiere edile sito in B, via Pratello 18, di proprietà della Coop Alleanza 3.0 soc. coop., i cui lavori erano stati concessi in appalto, per la parte elettrica, alla ditta "Pronto Luce Srl", e, da parte di questa, ceduti in sub-appalto alla ditta "Inti-net Srl", intento ad effettuare operazioni di collegamento elettrico di una cella frigorifera nuova (contrassegnata con il N. 3) con l'impianto del supermercato in ristrutturazione, e, nel porgere al collega che insieme a lui stava effettuando tali attività, la matassa di cavo proveniente dall'impianto, la afferrava con le mani nella sua parte terminale, che non essendo isolata, lo attingeva con una forte scarica elettrica, provocandogli le lesioni sopra descritte.

La colpa dell'imputato sarebbe consistita in negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in nesso di causa con l'infortunio in quanto ne avevano determinato l'accadimento. In particolare: violazione dell'art. 2087 cod. civ., poiché, nell'esercizio dell'impresa e nell'esecuzione dei lavori edili presso il citato cantiere, ometteva di adottare le misure che secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità dei lavoratori da rischi di natura elettrica; nella violazione dell'art. 80, comma 3 e 3-bis, D.Lgs. 81/08 poiché, ricevuti in appalto i lavori di ristrutturazione edile nel cantiere anzidetto, nell'esecuzione di quelli di propria competenza aventi ad oggetto gli impianti elettrici, non forniva indicazioni e non adottava dispositivi (collettivi ed individuali) e misure coerenti con i dettati normativi in materia di salute e sicurezza per i lavoratori addetti (tra i quali, la norma tecnica CEI 11-27 relativa a "LAVORI SU IMPIANTI ELETTRICI").

Più dettagliatamente, ometteva di assicurare gli interruttori destinati ad attivare energia elettrica nell'impianto e sedi periferiche dello stabile in ristrutturazione con sistemi di chiusura e comunque di sicurezza in grado di impedire l'intervento e/o manomissioni da parte di terzi non autorizzati (quali apposizioni di blocchi meccanici con dispositivi a chiave, impedimento a personale non autorizzato all'accesso alle aree, sorveglianza e cartellonistica), così esponendo i lavoratori presenti in cantiere a rischi di natura elettrica derivanti da eventuali contatti diretti con cavi prese e parti di impianto.

1.1. Con sentenza n. 417/25, emessa in data 24/01/2025, la Corte di Appello di Bologna, adita dall'imputato, riformava parzialmente la sentenza di primo grado, riducendo la pena ad Euro 300,00 di multa e concedendo i benefici di cui agli artt. 163 e 175 cod. pen., confermandola nel resto.

2. Avverso la sentenza d'appello propone ricorso per cassazione A.A., a mezzo del proprio difensore, articolando quattro motivi di ricorso, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizi motivazionali con riferimento alla ritenuta responsabilità dell'imputato. Si assume, invero, che il comportamento di B.B., il quale aveva impugnato il cavo elettrico senza indossare i guanti di sicurezza e con due mani, abbia integrato un comportamento "abnorme", caratterizzato da grave negligenza ed assoluta imprevedibilità, idoneo, quale causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l'evento, ad escludere la responsabilità del datore di lavoro.

2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta insussistenza della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. Dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità in materia, che impone al giudice che debba pronunciarsi sulla configurabilità della suddetta causa di esclusione della punibilità ad effettuare una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, il ricorrente ritiene che la motivazione della Corte territoriale si rivela inficiata da un evidente vizio di intrinseca contraddittorietà, avendo invocato, a sostegno del proprio diniego, la notevole gravità del reato, quale si evince dalle modalità della condotta, e l'elevata entità del danno subito dalla persona offesa, per poi affermare, in maniera del tutto illogica, in sede di dosimetria della pena, che "la pena detentiva irrogata dal Tribunale (mesi 3 di reclusione, sostituita con Euro 6750,00 di multa") sia eccessivamente afflittiva in ragione di una valutazione unitaria di tutti i parametri previsti dall'art. 133 c.p.". Si osserva, ancora, che profili di incoerenza presenta anche l'affermazione della Corte in ordine all'elevata entità del danno provocato alla persona offesa, invocata per negare l'applicazione dell'istituto di cui all'art. 131-bis cod. pen., in logica contraddizione con l'accertata imprudenza del comportamento del B.B., tant'è che la stessa Corte riconosce come sia "pacifico che B.B. ha adottato un comportamento imprudente, costituito dal non indossare i guanti e dall'avere impugnato il cavo elettrico con entrambe le mani; infatti se B.B. avesse impugnato il cavo correttamente, essendo l'interruttore un magnetometrico differenziale, tale interruttore non sarebbe "saltato".

2.3. Con il terzo motivo si lamenta vizio di motivazione in ordine al diniego del giudizio di prevalenza delle concesse attenuanti generiche. Il ricorrente de-duce, invero, la manifesta illogicità della motivazione della decisione impugnata laddove valorizza, al fine di negare la modifica del giudizio di bilanciamento operato dal giudice di primo grado, "la notevole gravità del reato" in contrasto con la scelta legislativa di sanzionare la fattispecie contestata con la pena alternativa della multa e della reclusione. Si osserva, altresì, che la Corte di merito avrebbe ignorato, al pari del giudice di primo grado, parte degli elementi evidenziati dalla difesa a supporto della propria richiesta, quali il comportamento processuale dell'imputato, che, con atteggiamento ampiamente collaborativo, aveva dato il consenso all'acquisizione di numerosissime s.i.t. ed alla rinuncia dei testi; l'assenza di precedenti infortuni nel corso della propria attività imprenditoriale; l'accertato rispetto delle ordinarie regole in materia antiinfortunistica, secondo quanto dichiarato dai dipendenti delle due aziende escussi.

2.4. Con il quarto e ultimo motivo si lamenta vizio di motivazione quanto alla dosimetria della pena comminata, pari quasi al massimo edittale. Si evidenzia, anche con riferimento a tale profilo, la illogicità della motivazione della decisione impugnata che, da un lato, ha ritenuto eccessivamente afflittiva la pena comminata dal giudice di primo grado "in ragione di una valutazione unitaria di tutti i parametri previsti dall'art. 133 c.p." con conseguente applicazione della sola pena della multa, e dall'altro ha contraddittoriamente dato rilievo ancora una volta, al fine di giustificare l'irrogazione in misura prossima al massimo edittale, all'entità del danno subito dalla persona offesa, nonostante l'accertato contributo causale della sua condotta alla determinazione dell'evento. 3. Il PG presso questa Corte ha reso le conclusioni scritte riportate in epigrafe.

Diritto

1. Il ricorso è inammissibile, per le ragioni di seguito esposte.

2. Il primo motivo, afferente alla ritenuta responsabilità del B.B. ed all'esclusione dell'abnormità del comportamento del lavoratore, risulta generico, presentando anche profili di manifesta infondatezza.

2.1. La Corte di Appello di Bologna ha dapprima analizzato le fonti probatorie acquisite, ribadendo l'attendibilità ai fini della ricostruzione dell'infortunio, delle dichiarazioni rese dalla persona offesa B.B., escludendo che lo stesso, secondo quanto dedotto dall'appellante, avesse modificato la propria versione in dibattimento in ordine ai controlli effettuati sul cavo di alimentazione al fine di verificare se fosse in tensione prima di toccarlo, laddove si era semplicemente limitato a fornire specificazioni sulle modalità di tale controllo (effettuato con la "penna" o il "tester"), pur non ricordando, comprensibilmente, atteso il tempo trascorso dai fatti (circa quattro anni), chi tra lui ed il suo collega lo avesse effettuato. I giudici del gravame di merito ne hanno poi evidenziato l'intrinseca coerenza, la genuinità, corroborata dal fatto che lo stesso avesse ammesso di avere adottato comportamenti incauti (avendo impugnato il cavo senza guanti e con due mani) e i plurimi riscontri costituiti dalle risultanze della documentazione medica, dalle dichiarazioni rese da C.C., che al momento dell'infortunio era con B.B., intento a svolgere la stessa attività, e da D.D., delegato all'organizzazione ed alla gestione del cantiere della "Pronto Luce Srl", il quale aveva dichiarato di aver nei giorni precedenti personalmente collegato il cavo in oggetto al quadro generale, di aver posizionato l'interruttore corrispondente in modo che non passasse corrente, apponendovi un pezzo di nastro isolante adesivo per segnalare che non doveva essere toccato e di aver constatato, subito dopo l'infortunio, che l'interruttore era alzato e il nastro adesivo scostato.

La corte territoriale ha poi disatteso analiticamente le argomentazioni difensive tese a dimostrare l'assenza di profili di colpa del giudicabile, evidenziando come ciò emergesse dall'esito del sopralluogo sul luogo dell'infortunio effettuato dal tecnico dell'AUSL nel novembre 2017 che aveva rilevato la presenza, nel quadro elettrico generale, di tanti interruttori e di targhe identificatrici multiple di contenuto contraddittorio che non ne consentivano nell'immediatezza di individuarne la funzione (circostanza, questa, emersa anche dalle dichiarazioni rese da C.C., il quale aveva riferito che subito dopo l'infortunio D.D., per individuare l'interruttore, aveva causato un corto circuito volontario), oltre che l'assenza di misure adeguate ad impedire l'accesso a soggetti non autorizzati (il quadro generale presentava due ante, una delle quali priva di vetro).

La Corte territoriale riteneva che tale convergenza probatoria consentisse di ritenere accertata la responsabilità del A.A., che non aveva adottato le misure di sicurezza previste dall'art. 80, comma 3 e 3-bis, D.Lgs. 81/08 e, nello specifico, dalla norma tecnica CEI 11-27 relativa a "lavori su impianti elettrici" (sistemi di chiusura muniti di chiave o di altri dispositivi specifici, idonea sorveglianza e cartellonistica), tese ad impedire che personale non autorizzato potesse accedere alle aree di interesse, così che un terzo rimasto ignoto era riuscito a ripristinare indebitamente il collegamento elettrico della cella frigo alla quale stava lavorando il B.B., che nel toccare il cavo era rimasto folgorato, riportando le lesioni in contestazione, che avevano determinato un'inabilità al lavoro protrattasi per oltre otto mesi. Condividendo la valutazione già espressa dal giudice di primo grado, la Corte territoriale ha ritenuto che la rilevanza causale di tale condotta omissiva non fosse esclusa dal comportamento imprudente del lavoratore, che aveva toccato i fili scoperti del cavo con entrambe le mani e senza guanti, atteso che la folgorazione dallo stesso subita integrava proprio il rischio che le misure previste dalla normativa antiinfortunistica erano volte a prevenire e che, se adottate, avrebbero evitato l'evento.

2.2. Ciò posto, le censure del ricorrente si sostanziano nella riproposizione delle medesime doglianze già sollevate in appello, peraltro senza contestare la ricostruzione in fatto, ma genericamente proponendo un apprezzamento alternativo in diritto, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito. Per contro, l''impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un ragionamento in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.

2.3. La lettura alternativa proposta dal ricorrente rimanda, inoltre, a questioni già costantemente decise dalla giurisprudenza di questa Corte in senso opposto.

2.4. Come noto, infatti, per giurisprudenza costante, un comportamento, anche avventato, del lavoratore, se realizzato mentre egli è dedito al lavoro affidatogli, può essere invocato come imprevedibile o abnorme solo se il datore di lavoro ha adempiuto a tutti gli obblighi che gli sono imposti in materia di sicurezza sul lavoro (Sez. 4, n. 12115 del 03/06/1999, Rv. 214999; Sez. 4, n. 1588 del 10/10/2001, Rv. 220651).

A questo proposito, la giurisprudenza più recente ha opportunamente sottolineato che "in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia" (Sez. 4, n. 7012 del 23/11/2022, dep. 2023, Rv. 284237; Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Rv. 281748; Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Rv. 280914). Ponendosi in questa prospettiva, si è affermato che il comportamento negligente, imprudente e imperito tenuto dal lavoratore nello svolgimento delle mansioni a lui affidate può costituire concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità dei garante, solo se questi "ha posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Fattispecie in tema di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del datore di lavoro in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel Pos e la mancata informazione del lavoratore avevano determinato l'assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore infortunato)" (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Rv.276242).

2.5. Nel caso in esame, non avendo inibito in alcun modo l'accesso da parte di soggetti non autorizzati all'area dove era sito il quadro elettrico generale e non avendo fornito il quadro elettrico delle necessarie indicazioni e dispositivi di sicurezza, l'imputato, datore di lavoro, ha omesso di adottare le cautele necessarie a evitare che qualcuno potesse inavvertitamente attivare la corrente, così esponendo i lavoratori presenti in cantiere, come di fatto avvenuto, a rischi di natura elettrica derivanti da eventuali contatti diretti con cavi, prese e parti di impianto. Per quanto esposto, nell'affermare la penale responsabilità dell'imputato, le sentenze di primo e secondo grado hanno fornito una motivazione completa, non contraddittoria e non manifestamente illogica. Hanno fatto, inoltre, corretta applicazione del D.Lgs. 81/08 che, all'art. 80, commi 3 e 3-bis, prevede l'obbligo del datore di lavoro, a seguito della valutazione del rischio elettrico, di adottare le misure tecniche ed organizzative necessarie ad eliminare o ridurre al minimo i rischi presenti, ad individuare i dispositivi di protezione collettivi ed individuali necessari alla conduzione in sicurezza del lavoro ed a predisporre le procedure di uso e manutenzione atte a garantire nel tempo la permanenza del livello di sicurezza raggiunto, tenendo conto delle disposizioni legislative vigenti, delle indicazioni contenute nei manuali d'uso e manutenzione delle apparecchiature ricadenti nelle direttive specifiche di prodotto e di quelle indicate nelle pertinenti norme tecniche. Il riferimento alle norme tecniche rimanda, nello specifico, alla norma CEI 11-27, la quale fornisce le prescrizioni di sicurezza per attività sugli impianti elettrici, secondo cui, in caso di opere da eseguire fuori tensione, per quanto qui di interesse, la parte dell'impianto interessato dai lavori deve essere "sezionato" (separato) completamente da tutte le fonti di alimentazione e devono essere presi provvedimenti contro le richiusure, ossia devono essere bloccati i dispositivi di sezionamento per impedire che qualcuno possa riattivare la corrente accidentalmente, mentre sono in corso i lavori, come in concreto accaduto. Ne consegue che la decisione assunta non è censurabile né sotto il profilo dell'identificazione del rischio concretizzatosi - esattamente quello che la norma cautelare violata mirava ad evitare (qualcuno accidentalmente riattivò la corrente elettrica mentre l'infortunato si accingeva a prendere il cavo) - né per quanto riguarda le regole cautelari applicabili.

Neppure è censurabile, perché coerente con le emergenze istruttorie, l'identificazione della condotta alternativa doverosa, individuata dalle sentenze di merito nella predisposizione di idonei dispositivi di blocco degli interruttori oltre che di idonea sorveglianza dell'area di interesse. Corretta risulta, quindi, la ritenuta ininfluenza nella eziologia dell'evento della condotta negligente del B.B., poiché essa non si è collocata al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. In altri termini, nella condotta del B.B. non si possono riscontrare i requisiti di eccezionalità ed imprevedibilità poiché trattasi di manovra realizzata nel contesto della lavorazione cui lo stesso era addetto e finalizzata (sia pure imprudentemente) alla prosecuzione del ciclo lavorativo. Correttamente, infine, la Corte del merito ha rimarcato che "...è provato che il quadro elettrico conteneva delle indicazioni fuorvianti, che hanno determinato un terzo soggetto ad attivare accidentalmente l'interruttore corrispondente alla cella frigo, tanto più se si considera che erano svolti contemporaneamente più lavori di ristrutturazione e quindi erano presenti diversi soggetti che lavoravano nel medesimo cantiere" e che "se fossero state adottate le misure prescritte dalla norma CEI 11-27, l'infortunio non si sarebbe verificato" (pag. 15 e 16 della sentenza impugnata).

3. Generici risultano anche il secondo, il terzo ed il quarto motivo con cui la difesa si duole della mancata applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis cod. pen,. del mancato riconoscimento del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e della eccessiva severità nella dosimetria della pena, la cui trattazione unitaria risulta giustificata dalla sostanziale omogeneità delle censure. Il ricorrente lamenta, in relazione a tutti i profili indicati, la intrinseca contraddittorietà della motivazione della Corte di appello che ha fatto riferimento alla gravità del reato ed all'entità del danno arrecato alla persona offesa per giustificare le sue scelte, in contrasto con quei punti della sentenza in cui aveva ritenuto accertata l'imprudenza del comportamento del lavoratore e l'eccessività del trattamento sanzionatorio inflitto in primo grado. Le suddette censure si sostanziano ancora una volta in una mera riproposizione delle doglianze avanzate in sede di appello ed analiticamente disattese dalla Corte, senza confrontarsi in modo puntuale con le argomentazioni poste a fondamento della decisione impugnata.

3.1. Va ricordato, innanzitutto, che in tema di giudizio di bilanciamento delle circostanze, al pari della determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché non sia contraddittoria e dia conto, anche sinteticamente, in un caso delle ragioni della propria scelta comparativa e nell'altro della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell'art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, Rv. 269196; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, Rv. 239754). Ugualmente, ai fini dell'applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità dell'offesa dev'essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all'art. 133, comma primo, cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente "l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti" (Sez. 7, n. 10481 del 19/01/2022, Rv. 283044).

3.2. Tanto premesso, nel caso di specie, la Corte di appello, con argomentazioni logiche e prive delle denunciate contraddizioni, in quanto operanti su piani diversi, pur tenendo conto della incensuratezza dell'imputato, della negligenza del lavoratore e del suo comportamento collaborativo, tanto da scegliere fra le sanzioni previste dal legislatore quella meno afflittiva, ha correttamente valorizzato, in maniera conforme alle indicazioni offerte dalla giurisprudenza di legittimità, la gravità del reato, richiamando il grado di colpa del giudicabile (non essendo stata adottata alcun delle misure alternative previste dalla normativa CEI 11-27) l'entità del danno arrecato alla persona offesa (protrattosi per oltre otto mesi), la natura non isolata dell'omissione (come desumibile dal fatto, richiamato dallo stesso appellante, che nessuno dei testi esaminati avesse rappresentato la necessità di soddisfare quelle cautele contestate dal P.M.), ritenendo così recessive rispetto a tali circostanze gli ulteriori elementi dedotti della difesa, che di fatto, peraltro, tendono soprattutto a rimarcare l'abnormità del comportamento del lavoratore, che, invece, è stata esclusa.

4. La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché - apparendo evidente che il medesimo ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) - al versamento della sanzione pecuniaria, indicata in dispositivo, in favore della Cassa delle Ammende.

5. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi e sensibili della persona offesa, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Oscuramento dei dati sensibili della persona offesa. Così deciso in Roma, il 7 novembre 2025. Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2025.

Allegati (Riservati) Abbonati Sicurezza Lavoro
Allegati
Descrizione Lingua Dimensioni Downloads
Scarica il file (Cassazione Penale Sez. 4 del 26 novembre 2025 n. 38293 ) IT 119 kB 2

Articoli correlati Sicurezza Lavoro

Image

Sicurezza L.

Image

Ambiente

Image

Normazione

Image

Marcat. CE

Image

P. Incendi

Image

Chemicals

Image

Impianti

Image

Macchine

Image

Merci P.

Image

Costruzioni

Image

Trasporti

Image

HACCP

Certifico s.r.l.

Sede: Via A. De Curtis, 28 - 06135 Perugia - IT
Sede: Via Madonna Alta 138/A - 06128 Perugia - IT
P. IVA: IT02442650541

Tel. 1: +39 075 599 73 63
Tel. 2: +39 075 599 73 43

Assistenza: 800 14 47 46

www.certifico.com
info@certifico.com

Testata editoriale iscritta al n. 22/2024 del registro periodici della cancelleria del Tribunale di Perugia in data 19.11.2024