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Cassazione Penale Sez. 4 del 24 novembre 2025 n. 38145

Cassazione Penale Sez. 4 del 24 novembre 2025 n. 38145

Cassazione Penale Sez. 4 del 24 novembre 2025 n. 38145 / Infortunio durante le operazioni di pulizia della macchina

ID 24998 | 26.11.2025 / In allegato

Cassazione Penale Sez. 4 del 24 novembre 2025 n. 38145
Infortunio durante le operazioni di pulizia della macchina: confermata la responsabilità del datore di lavoro per omessa valutazione del rischio, mancata formazione, assenza di procedure di sicurezza

Cassazione Penale Sez. 4 Composta da
Dott. BELLINI Ugo - Presidente
Dott. CALAFIORE Daniela - Relatore
Dott. FALLARINO Daniela - Consigliere
Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere
Dott. ARENA Maria Teresa - Consigliere

Fatto

1. Con sentenza del 26 marzo 2025, la Corte d'appello di Milano ha confermato la decisione del Tribunale della stessa sede del 6 giugno 2023, che aveva ritenuto, all'esito di giudizio abbreviato, A.A., in qualità di datore di lavoro, responsabile del reato di lesioni gravi subite dal dipendente B.B. e consistite in degloving e schiacciamento arto superiore destro, da cui derivava una malattia non inferiore a giorni 84 e una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni superiore a 40 giorni, con conseguente indebolimento permanente dell'organo della prensione, relativamente all'arto superiore destro; la persona offesa si procurava le lesioni descritte mentre, al fine di effettuare la pulizia abituale della taglierina di laminati, operazione che può essere eseguita solo manualmente, infilava il braccio destro tra i rulli della stessa, rimanendo incastrato con l'avambraccio. Con colpa consistita nell'aver omesso l'indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati a seguito della valutazione di cui all'art. 17, comma 1 lett. A D.Lgs. n. 81 del 2008 e l'individuazione delle procedure per l'attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruolo dell'organizzazione aziendale che vi debba provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri; per non aver sottoposto alla visita medica preventiva periodica il dipendente B.B., prevista dal programma di sorveglianza sanitaria aziendale, redatto dal medico competente e di non aver somministrato allo stesso adeguata formazione, che prevede, per il settore metalmeccanico (produzione e lavorazione metalli) un rischio alto e pertanto una formazione di 16 ore, suddivisa in una parte generale di 4 ore e in una specifica di 12 ore. In C, il (Omissis).
2. Secondo la ricostruzione dei fatti condivisa dai giudici di merito, l'infortunio era accaduto mentre la persona offesa, dipendente della società Stainless Steel Center Srl, stava operando presso la linea di taglio longitudinale delle lamiere, denominata Slitter 1500/3, effettuando la mansione di pulitura sul tratto della macchina costituita da due rulli zigrinati contrapposti, entrambi del diametro di 40 cm, che venivano avvicinati o allontanati a seconda dello spessore della lamiera; mentre la persona offesa eseguiva la pulizia dei rulli in movimento, con rotazione convergente, facenti parte del gruppo briglia di pensionamento - frenatura, il suo braccio destro era preso, trascinato tra i due rulli, ove rimaneva incastrato. I colleghi accorrevano sentendo le urla e provvedevano a spegnere la macchina, anche se la linea in quel momento era ferma, e sollevavano il rullo superiore in modo da liberare il braccio del lavoratore.
3. I giudici hanno ritenuto che l'infortunio avvenne mentre altro collega di lavoro dell'infortunato manteneva in funzione la macchina mediante gli appositi comandi posti su un pulpito. Hanno quindi verificato che il datore di lavoro non aveva inserito il rischio insito nelle operazioni di pulizia della macchina nel DVR, che nessuna formazione specifica su tale aspetto della lavorazione era stata fornita e non erano state prese le necessarie misure di contrasto, né indicate agli addetti specifiche modalità di esecuzione.
4. La Corte d'appello, condivisa la decisione di primo grado in punto di mancata concessione delle attenuanti generiche, anche perché era stata applicata quella di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen., ha pure negato la chiesta conversione della pena detentiva in ragione del fatto che non si era dimostrata la situazione economica dell'imputato e perché la pena pecuniaria appariva comunque inadeguata, considerando la gravità dell'infortunio e la personalità dell'imputato, che aveva ottenuto, senza trarne giovamento, per quattro volte la conversione della pena sempre per fatti relativi alla scorretta gestione aziendale (omesso versamento dei contributi previdenziali ritenuti negli anni 2014 - 2018).
5. Avverso la sentenza della Corte d'appello, ricorre per cassazione, a mezzo del proprio difensore, A.A. sulla base di quattro motivi, sintetizzati come segue ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.: - Con il primo motivo, si deduce erronea applicazione della legge penale con riferimento, in particolare, agli artt. 40 e 43 cod. pen. in relazione all'art. 590, comma secondo e terzo, cod. pen. per la radicale incertezza in ordine alla ricostruzione del percorso causale che ha determinato l'evento lesivo e la conseguente impossibilità di determinare il nesso di causa tra condotta omissiva ipotizzata ed evento lesivo. Il ricorrente riproduce a sostegno del motivo i passi della requisitoria depositata dal Procuratore generale dinanzi alla Corte di appello, adesivi rispetto ai motivi di impugnazione proposti dall'imputato, con i quali era stata evidenziata l'assenza di nesso causale tra l'evento e le omissioni contestate, di tal ché l'attribuzione di responsabilità penale si risolve in una affermazione di responsabilità puramente oggettiva. La sentenza impugnata aveva radicato la responsabilità penale dell'imputato nella totale incertezza sullo svolgimento dei fatti, posto che la stessa parte offesa aveva dichiarato da subito di non ricordare nulla e che nessun altro dipendente aveva assistito all'evento. La Corte territoriale si era limitata ad accogliere uno dei possibili scenari giustificativi dell'evento, pervenendo ad esiti lacunosi e contraddittori che impedivano la formulazione di qualsiasi addebito colposo, come da consolidata giurisprudenza. In mancanza di certa ricostruzione della causa dell'evento non è possibile operare il giudizio controfattuale. - Con il secondo motivo, si deduce l'erronea applicazione degli artt. 192, commi 2 e 3, cod. proc. pen. in merito alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, nonché in merito alla valutazione della prova indiziaria. La Corte d'appello aveva optato per una ricostruzione della dinamica dell'evento lesivo tale da prevedere, al momento del verificarsi dell'infortunio, la presenza accanto alla persona offesa di un collega non identificato che, al verificarsi dell'infortunio aveva immediatamente abbandonato la postazione. Era stata così avvalorata la tesi che la persona offesa stesse pulendo la macchina, mentre il collega manovrava al pulpito i comandi, facendo ruotare le lame. Tale ricostruzione, tuttavia, era fondata sull'assunto meramente ipotetico della presenza di tale persona, rimasta però estranea e mai identificata. Il vulnus del ragionamento, peraltro, non poteva essere superato da quanto dichiarato dalla parte offesa, ritenuta attendibile in ragione della mancata costituzione di parte civile. Tuttavia, tale mancata costituzione era dipesa dal fatto che le istanze civili erano state soddisfatte prima dell'udienza penale in modo del tutto integrale ed in verità il lavoratore aveva affermato circostanze contraddette da altre fonti di prova. Così per il carattere frequente delle operazioni di pulizia, per la circostanza che la macchina fosse ferma e che vi fosse un secondo operatore sul pulpito al momento del sinistro. Il ricorrente sostiene che l'adesione alle dichiarazioni rese dalla parte offesa avrebbe comunque dovuto comportare un rigoroso vaglio di attendibilità e la ricerca di un opportuno riscontro con altri elementi probatori. Inoltre, il giudice del merito non avrebbe dovuto valutare in modo frammentario gli indizi emersi ma considerarli in una prospettiva globale e unitaria.
- Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente deduce vizio di motivazione intrinseco ed estrinseco, in relazione alle risultanze delle indagini della polizia giudiziaria. Si denuncia il fatto che le dichiarazioni della persona offesa erano state accolte acriticamente e senza considerare i contenuti delle dichiarazioni rese dagli altri lavoratori alla polizia giudiziaria. La sentenza d'appello, dopo aver affermato che i lavoratori avrebbero reso testimonianze contraddittorie sulle modalità con le quali veniva effettuata la pulizia della macchina, aveva pure affermato che tutti i lavoratori avevano parlato di una sola persona addetta alla pulizia. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce l'erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 53 e 58 della l. n. 689 del 1981. In particolare, evidenzia l'illegittimità del diniego della conversione della pena detentiva breve in quella pecuniaria, posto che il A.A. aveva sempre regolarmente adempiuto al pagamento delle pene pecuniarie alle quali era stato condannato, mentre la presenza di precedenti condanne non poteva ritenersi di per sé ostativa alla concessione del beneficio richiesto. In definitiva, la motivazione addotta dalla Corte territoriale si porrebbe in contrasto oltre con la lettera della legge, anche con i principi espressi dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 291 del 2010, che aveva affermato come neanche la recidiva reiterata non preclude l'applicazione della pena sostitutiva richiesta.
7. La Procura Generale ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso o, in subordine, il suo rigetto. 8. In esito alla discussione orale, le parti hanno concluso come indicato in epigrafe. 

Diritto

1. I primi tre motivi di ricorso, tra loro collegati in quanto finalizzati alla critica alla ricostruzione dell'infortunio in termini coerenti con il dichiarato della persona offesa, sono manifestamente infondati e devono essere disattesi.
2. Deve considerarsi che la Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado che ha dichiarato l'imputato responsabile del reato ascritto configurandosi quindi una c.d. "doppia conforme" di condanna, avendo entrambi i giudici di merito affermato la responsabilità di A.A. in ordine al reato oggetto di contestazione, quale datore di lavoro della persona offesa, al quale aveva affidato operazioni di manutenzione, costituite dalla pulitura del gruppo briglia di tensionamento e frenatura, a seguito della lavorazione di lamiere ferrose che tendono a sporcare i componenti. In particolare, per determinare l'avanzamento della lamiera erano stati utilizzati rulli zigrinati contrapposti del gruppo briglia che il lavoratore doveva pulire manualmente. Ne deriva che le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Ulteriore conseguenza della "doppia conforme" di condanna è che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione solo nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L. e altro, Rv. 272018 - 01). Nessuna di queste condizioni appare ravvisabile nel caso di specie, in cui il ricorso, sotto l'apparenza del vizio motivazionale o dell'errore applicativo della legge, pretende di asseverare, su alcuni punti specifici, una diversa valutazione del compendio probatorio, richiamando aspetti di merito non deducibili in sede di legittimità e legittimare una ricostruzione alternativa della dinamica del sinistro.
2.1 È noto, infatti, che esulano dalle censure deducibili in sede di legittimità le doglianze che investano profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto, che sono riservati alla cognizione del giudice di merito le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente e idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (sez. U. n. 930 del 13/12/1995 - dep. 1996, Clarke, Rv. 20342801; sez. 4, n. 4842 del 2/12/2003, Elia e altri, Rv. 229369). Più recentemente è stato riconosciuto che ricorre il vizio di motivazione manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di motivazione contraddittoria quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice - conducenti ad esiti diversi - siano state poste a base del suo convincimento (sez. 5, n. 19318 del 20/01/2021, Cappella, Rv. 281105).
3. Tanto chiarito, nel caso di specie, la Corte di Appello e il Tribunale hanno ricostruito la vicenda fattuale in modo logico e coerente, evidenziando in termini analitici tutti i passaggi salienti, in termini causali, che hanno condotto alla verificazione del sinistro e operando la ricostruzione dei fatti in modo coerente con le risultanze processuali:
Ciò sulla base delle dichiarazioni acquisite e fornendo una adeguata argomentazione logico giuridica alle conclusione cui è pervenuta con riferimento al giudizio di attendibilità della persona offesa. In particolare, entrambi i giudici del merito, hanno ricostruito i fatti ritenendo altamente probabile che l'infortunio si fosse verificato mentre l'B.B. era impegnato nella pulizia, nello spazio creatosi tra i rulli, e altro collega, rimasto sconosciuto, operava ai comandi sul pulpito, sulla base del seguente percorso logico. In effetti, l'infortunato, sentito in ordine all'accaduto, aveva riferito di aver acquisito professionalità, autonomia e competenza nell'utilizzo della macchina da taglio (linea Slitter) a cui era adibito, e che non ricordava nulla di quanto accaduto il giorno del sinistro.
Lo stesso aveva però dichiarato che la pulizia dei rulli della macchina avveniva ogni settimana perché la lavorazione dei materiali ferrosi sporca necessariamente i componenti della macchina. La pulizia poteva essere effettuata solo manualmente, con uno straccio, dopo lo sgancio e l'allontanamento dei braccetti separatori che consente di accedere ai rulli zigrinati della briglia. Tale allontanamento, tuttavia, poteva essere operato solo dal pulpito esterno dei comandi e con un uomo presente. La prassi seguita per la pulizia era la seguente: un collega operava dal pulpito, agendo sul comando manovrabile con uomo presente, collocato sul quadro della macchina, facendo ruotare i rulli della briglia secondo le precise indicazioni dell'B.B., che era all'interno della macchina e puliva con straccio e solvente. In tal modo, con rotazione di un terzo di giro per volta, si riusciva a pulire tutta la circonferenza del rullo, senza essere costretti ad interrompere il lavoro di pulizia per raggiungere il pulpito e i comandi della linea. Tale modalità di pulitura della macchina era stata concordata tra il lavoratore e i colleghi, mentre la direzione aziendale non aveva fornito alcuna indicazione o procedura per provvedere alle operazioni di pulizia, né, sul punto aveva mai ricevuto alcuna formazione. A fronte delle informazioni fornite dai colleghi di lavoro, che avevano negato di aver visto due persone impegnate nelle operazioni di pulizia, il giudice di primo grado, seguito dalla Corte d'appello, ha accordato rilievo, quanto a certezza dei dati offerti, alle indagini effettuate dal Dipartimento di Igiene e Prevenzione ATS, secondo le quali per effettuare la pulizia della macchina ove era avvenuto l'infortunio era necessario fermare la macchina, arretrare il gruppo di allineamento, facendolo scorrere all'indietro per avere lo spazio per accedere frontalmente ai rulli e ai tamponi. In tale configurazione il funzionamento automatico è bloccato e la linea è ferma. L'operaio può accedere all'interno della linea, delimitata da un cancello, che è chiuso quando la macchina è funzionante, e procedere alla pulizia dalla parte visibile dei rulli. Poi deve uscire, richiudere il cancello, tornare al pulpito di comando esterno, fare ruotare i rulli di 120, fermare la macchina, riaprire il cancello, tornare all'interno e proseguire nella pulizia manuale, fino al completamento del lavoro. Dal pulpito i comandi possono essere dati solo a uomo presente e a cancello chiuso. Inoltre, il datore di lavoro non aveva dimostrato di aver impartito al lavoratore la necessaria formazione specifica relativa alla pulizia e alla manutenzione della macchina. Il Documento di valutazione dei rischi non conteneva alcuna previsione relativa ai rischi connessi a tali operazioni. Tale ricostruzione non è stata ritenuta, anche solo in ipotesi, inficiata dalle dichiarazioni dei colleghi di lavoro, giacché nessuno di essi aveva assistito all'evento e tutti avevano dichiarato di aver focalizzato l'attenzione sulla macchina solo sentendo le urla dell'B.B..
La Corte d'appello (pag.6 della sentenza impugnata), inoltre, con valutazione di merito riferita all'incidenza e alla rilevanza da attribuire alle diverse fonti di prova, al fine di ricostruire gli avvenimenti in fatto, ha rilevato che le dichiarazioni dei colleghi di lavoro non erano state unanimi e corali. Nessuno degli stessi aveva dato atto dell'esistenza di una prassi univoca nella pulizia della macchina. Il teste C.C. aveva detto che, quando aveva assistito all'operazione di pulizia, aveva visto occuparsene una sola persona e non due, illustrandone le modalità. Il collega D.D. aveva riferito la stessa cosa, precisando però di aver assistito alla pulizia del macchinario in rare occasioni. La Corte ha valutato che le difformi indicazioni sulle modalità di pulizia fossero direttamente correlate all'inesistenza di una procedura standardizzata e predeterminata da parte dei superiori gerarchici, sicché i lavoratori effettuavano la pulizia con modalità stabilite da loro stessi. Inoltre, la Corte territoriale ha approfondito il tema della tenuta della versione indicata dalla parte offesa, trovando riscontro alla stessa nelle risultanze dell'accertamento ispettivo. In particolare, era stata accertato il completo funzionamento della macchina ed era stato confermato il dato che il congegno si sarebbe fermato se l'uomo presente al pulpito dei comandi avesse abbandonato la postazione. L'unico modo, per l'B.B., di pulire la macchina da solo, lasciandola in funzione, sarebbe stato quello di manomettere in qualche modo il sistema dei comandi, perché non vi erano altre pulsantiere o prolunghe. Tuttavia, nessuno strumento (lame o cutter inserito tra la leva del cambio e il collarino) erano stati trovati, né l'infortunato, rimasto incastrato nei rulli, avrebbe potuto eliminare tali oggetti. 6. È dunque infondata l'affermazione, contenuta in ricorso, secondo cui i giudici del merito non avrebbero ricostruito con certezza l'accaduto.
Al contrario, utilizzando rigorose verifiche logiche e valutando analiticamente i diversi riscontri fattuali raccolti (dichiarazioni della parte offesa, dichiarazioni rese dai colleghi, accertamenti eseguiti dagli organi ispettivi) hanno individuato la ricostruzione dei fatti unica possibile. Il ricorrente, senza farsi carico di individuare un errore di impostazione logica potenzialmente decisivo rispetto al ragionamento dei giudici, si limita a reiterare le medesime considerazioni già adeguatamente disattese dalla sentenza impugnata.
7. Quanto al secondo motivo, la affermata mancanza di coerenza nelle dichiarazioni rese dalla persona offesa pecca di genericità e risulta palesemente smentita dal percorso motivazionale seguito da entrambi i giudici del merito, anche laddove si duole dell'assenza di riscontri esterni e di contraddittorietà intrinseca del narrato della persona offesa. I giudici di merito hanno evidenziato, in termini di totale condivisione, che le testimonianze dei colleghi di lavoro, seppure indicative del fatto che della pulizia della macchina avevano visto occuparsi un solo lavoratore, non sortivano efficacia sminuente rispetto al racconto della parte offesa, secondo il logico argomentare sopra rappresentato.
8. Alla stregua di tali principi, deve prendersi atto del fatto che la sentenza impugnata non presenta i vizi dedotti dalla difesa del ricorrente nei primi tre motivo di ricorso, atteso che l'articolata valutazione da parte dei giudici di merito degli elementi probatori acquisiti rende ampio conto delle ragioni che li hanno indotti a riconoscere la responsabilità dell'imputato e le censure proposte finiscono sostanzialmente per riproporre argomenti già esposti in sede di appello, che tuttavia risultano ampiamente vagliati e correttamente disattesi dalla Corte territoriale; peraltro le incongruenze e i travisamenti evidenziati dalla difesa del ricorrente risultano soltanto apparenti, atteso che il giudice di appello ha dato adeguato conto dei dubbi anche in questa sede sollevati, alla stregua degli elementi acquisiti.
9. Sotto questo profilo infondato è, in particolare, il profilo, sotteso al primo motivo di ricorso, che attiene alla interruzione del rapporto di causalità materiale tra la condotta gravemente trasgressiva delle più elementari regole concernenti la sicurezza sul luogo di lavoro (omessa previsione nel DVR del rischio connesso alle operazioni di pulizia della macchina, specifica formazione del lavoratore, dotazione di sistemi di protezione e misure di controllo del medesimo rischio) e l'evento infortunistico occorso al lavoratore infortunato.
10. Validata, in termini coerenti con le dichiarazioni della persona offesa, la ricostruzione della dinamica dell'infortunio rappresentata dai giudici di merito, come riscontrata dagli elementi logici sopra evidenziati, appare evidente che non ricorrono i presupposti, indicati dalla giurisprudenza di legittimità, per riconoscere l'interruzione del rapporto di causalità per comportamento eccentrico, imprevedibile ed esorbitante del lavoratore infortunato. Riconosciuti pertanto in capo al datore di lavoro i profili di colpa individuati in imputazione mai oggetto di contestazione, sotto il profilo causale va riaffermato il principio secondo cui l'interruzione del rapporto di causalità, sebbene in costanza della imprudente condotta del lavoratore non si realizza quando, come nella specie, il sistema di sicurezza apprestato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità (Sez. 4, 17/01/2017, Meda, Rv. 269255; n. 7955 del 10/10/2013, Rovaldi, Rv. 259313; n. 22044 del 2/05/2012, Goracci non massimata; 7/02/2012, Pugliese, Rv. 252373; n. 21511 del 15/04/2010, Di Vita, n.m.). 11. Le disposizioni di sicurezza perseguono infatti il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l'area di rischio da gestire comprende il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro impedire l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e, come tali, latrici di possibili rischi per la sicurezza e la incolumità dei lavoratori. Invero, quanto alla dedotta condotta imprudente o incauta del lavoratore, è stato evidenziato dal S.C. che la colpa del lavoratore eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l'esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l'evento-morte o lesioni del lavoratore, che ne sia conseguito, può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento quando, per la sua stranezza ed imprevedibilità, non sia neppure collegato al segmento di lavorazione impegnato; in tema di causalità, la colpa del lavoratore, concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro responsabilità solo allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore (vedi Sez. 4, 23292 del 28/04/2011, Milio, Rv. 250709; n. 16397 del 5/03/2015, Guida, Rv. 263386), ipotesi nella specie non ipotizzabile essendo emerso che il lavoratore si era limitato a dare esecuzione ad uno specifico ordine di lavoro promanante dal preposto alle lavorazioni.
12. Anche il quarto motivo è infondato. La Corte d'appello ha adeguatamente motivato il diniego della richiesta di conversione della pena detentiva. Il motivo neanche si confronta con tale motivazione, giacché la richiesta non è stata disattesa per la sola presenza della recidiva, ma per la prognosi altamente sfavorevole sulla adeguatezza della pena convertita, già in precedenza applicata in ben quattro occasioni e sempre per illeciti commessi nell'esercizio dell'attività d'impresa. La disciplina dell'applicabilità delle misure sostitutive di cui alla L. n. 689 del 1981, ex art. 53, è regolata dalla norma del successivo art. 58, che al comma 1 dispone che "il giudice, nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell'art. 133 cod. pen., può sostituire la pena detentiva e tra le pene sostitutive sceglie quella più idonea al reinserimento sociale del condannato". Tenuto conto della loro specifica ratio, per cui le misure sostitutive tendono a favorire il reinserimento sociale del condannato, il legislatore ha, quindi, effettuato un espresso richiamo ai criteri previsti dall'art. 133 cod. pen., quale presupposto per la verifica della prevedibilità, o meno, della ricaduta dell'istante nel reato. Le pene sostitutive hanno natura premiale e il giudice, nell'esercitare il suo potere discrezionale di sostituire le pene detentive brevi con le pene pecuniarie corrispondenti, con la semidetenzione o con la libertà controllata, deve tenere conto dei criteri indicati nell'art. 133 cod. pen. (così, Sez. U, n. 24476 del 22/04/2010, Gagliardi, Rv. 247274 - 01).
Ne consegue, pertanto, che la valutazione discrezionale rimessa al giudice di merito ai sensi del L. n. 689 del 1981, art. 58, comma 1, debba essere sorretta da una congrua e adeguata motivazione, in particolar modo fondata sulla considerazione della modalità del fatto e sulla personalità del condannato, nell'ottica di valutare la prevedibilità di una sua eventuale futura recidiva. Conseguentemente, incorre nel vizio di motivazione e nella violazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 53 e 58, il giudice di secondo grado che, investito di motivi di appello con i quali si chiede la conversione della pena detentiva breve in pena pecuniaria ex art. 53 della stessa legge, non fornisca adeguata motivazione in merito alla mancata conversione (così, Sez. 4, n. 46432 del 21/09/2018, A., Rv. 273932 - 01). Ciò, all'evidenza, non è dato ravvisare nel caso di specie, avendo la Corte di appello fatto debitamente richiamo ai parametri previsti dall'art. 133 cod. pen., discrezionalmente individuando, con motivazione logica e congrua, nella negativa personalità del A.A., come in particolare evincibile dalla reiterata ricaduta in reati relativi alla gestione d'impresa già per quattro volte fatte oggetto di sostituzione in pena pecuniaria, un elemento ostativo al riconoscimento dell'invocato beneficio premiale, stante la negativa prognosi in ordine alle possibili ricadute nel reato.
13. Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Conclusione Così deciso, il 28 ottobre 2025. Depositata in Cancelleria il 24 novembre 2025.

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