Diritto
1. Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
2. I primi due motivi di ricorso sono articolati su questioni non deducibili in questa sede poiché attraverso la prospettazione di violazione di legge e vizi di motivazione da cui sarebbe affetta la sentenza impugnata, propongono, mediante la reiterazione dei motivi di appello cui la Corte territoriale ha dato ampia, non manifestamente illogica e coerente risposta, una rilettura meramente in fatto delle emergenze istruttorie, in vista di una alternativa ricostruzione del merito della vicenda.
In proposito è il caso di ricordare la pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Corte secondo cui deve essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo deve essere ritenuta e valutata non solo in virtù della sua genericità ma anche per il difetto di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione che non possono essere ignorate e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, Rv. 286468 -01; Sez. 3, n. 3953 del 26/10/2021, dep. 2022, Rv. 282949 -01 che ha tra l'altro precisato "In tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, il necessario onere di confronto con la motivazione della sentenza impugnata impone al ricorrente, a pena di inammissibilità, di non limitare il proprio esame alla sola parte del provvedimento specificamente riferita alla questione posta, ma di considerare anche le argomentazioni contenute in altre parti comunque rilevanti rispetto al giudizio devoluto sul tema").
Le censure afferenti presunte carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio oltre che della attribuzione della responsabilità all'imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando la decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nei merito della sentenza impugnata.
3. Sotto altro profilo è, altresì, opportuno ricordare che il vizio di travisamento della prova non solo richiede che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti ma che, vieppiù, la contraddittorietà della motivazione, rispetto ad essi, sia immediatamente apprezzabile e che gli argomenti spesi siano dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno incompatibilità tali da inficiare radicalmente, sotto il profilo logico, la motivazione.
Sul punto è stato affermato che "In tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di "contraddittorietà processuale" (o "travisamento della prova") vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l'eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova" (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv.283370 - 01).
4. Solo per completezza va rilevato che le doglianze articolate in termini di violazione dell'art. 192 cod. proc. pen, relative alla attendibilità dei testimoni non possono essere dedotte con il motivo di cui all'art. 606, co. 1, lett. c) cod. proc. pen, come fatto dal ricorrente. Sul punto questa Corte, nel suo massimo consesso, ha precisato che "In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell'art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all'ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità" (Sez. U. n. 29531 del 16/07/2020, Rv. 280027 - 04).
5. Va, ancora, premesso che le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che, nel giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell'imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l'estinzione del reato per prescrizione, non può limitarsi a prendere atto della causa estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui criteri enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2021, ma è comunque tenuto, stante la presenza della parte civile, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l'assoluzione nel merito (Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024, Calpitano, Rv. 286880 - 01).
Nel caso che ci occupa, l'esame del tessuto motivazionale delle due sentenze di merito, secondo lo schema della c.d. "doppia conforme" resiste alle censure formulate. In particolare, la Corte territoriale ha proceduto alla ricostruzione della dinamica dei fatti sulla scorta della ricostruzione operata dalla persona offesa che ha ritenuto comprovata da quanto riferito da altri testimoni che ha ritenuto privi di interessi personali. Contrariamente a quanto si afferma nel ricorso, la Corte territoriale, ha operato un giudizio critico circa l'attendibilità dei testi a discolpa A.A. e E.E.(pag. 11 della sentenza impugnata) e si è soffermata sulle ragioni per le quali la eventuale decisione "orale" di sospendere i lavori, a causa di un dissidio insorto tra le parti, non costituisse fatto di per sé idoneo a escludere il rispetto degli standard di sicurezza.
Dalla compiuta e coerente valutazione del compendio probatorio acquisito la Corte territoriale, con motivazione nient'affatto illogica, ha ritenuto che, anche a voler accedere alla tesi difensiva prospettata, secondo cui la caduta sarebbe avvenuta dal trabattello e non dal muletto, il tema è che le finestre, del peso di 150 chilogrammi ciascuna, venivano sollevate con il muletto, insieme al B.B. fino al trabattello per giungere all'altezza di 4,50 metri per essere montate.
La Corte di appello ha richiamato e fatto propri gli argomenti spesi a pag. 13 della sentenza di primo grado laddove è stato evidenziato che il fatto che l'imputato abbia fornito al lavoratore un trabattello, struttura idonea solo a certe condizioni, a svolgere lavori in quota, non escludeva, anzi, fondava la sua responsabilità colposa trattandosi di impalcatura mobile e del tutto inadeguata rispetto all'attività da svolgere, avuto riguardo al peso dei finestroni. La Corte territoriale, infatti, in maniera coerente con le emergenze acquisite ha affermato che "egli avrebbe dovuto dotare il lavoratore, oltre che di dispositivi di sicurezza individuali, di una impalcatura stabile" che consentisse, dopo il sollevamento di un carico così rilevante, il montaggio di ciascun finestrone in totale sicurezza.
La Corte di appello, inoltre, nel respingere gli argomenti afferenti la riconducibilità delle lesioni patite ad una caduta dal trabatello, piuttosto che dal muletto, ha valorizzato la testimonianza del teste D.D.il quale ha riferito che "il trabattello non si alzava, lui saliva tramite un carrello elevatore... c'era il muletto, il carrello elevatore che praticamente lui saliva con una pedana sul carrello elevatore e poi si fermava sul piano del trabattello e fissava le finestre".
La Corte di appello, inoltre, valorizzava un ulteriore passaggio della deposizione, ritenendolo particolarmente significativo, ossia quello secondo cui la procedura di montaggio non avrebbe potuto essere diversa dato che se non vi fosse stata una persona sulla pedana che teneva le finestre, non sarebbe stato possibile portarle, in altro modo, in quota per montarle. La conclusione evidente era che si trattava di strumento non adatto a sollevare finestre aventi quel peso che avrebbero richiesto una dotazione di sicurezza idonea ad eseguire il lavoro a un'altezza superiore ai quattro metri. È stato, inoltre, evidenziato, a confutare gli argomenti addotti dai testi a discolpa, che anche il teste B. ha riferito che il carrello elevatore veniva utilizzato per portare in quota la persona offesa, unitamente alle finestre da montare e che il muletto-carrello elevatore veniva generalmente condotto dai colleghi D.D. e A.A., pur non avendo ricevuto alcuna formazione al riguardo.
6. È stata, dunque, ritenuta la responsabilità dell'imputato sia in termini di colpa generica che specifica consistita nel non avere messo a disposizione della parte civile, strumenti idonei e funzionali al corretto svolgimento del lavoro, nel rispetto delle condizioni di sicurezza descritte dal D.Lgs. 81/08.
Solo per ragioni di completezza, questo Collegio, intende sottolineare che non è stata posta in discussione la qualità di committente dell'imputato che aveva commissionato la realizzazione di dieci finestre da montare ad altezza superiore a quattro metri; né è stato messo in dubbio che in tale veste egli rivestisse la qualifica di responsabile dei lavori, rispetto alla quale, peraltro, non è mai stato delegato alcuno, dal che si è inferito che su di lui gravava l'obbligo di vigilare e controllare l'esecuzione dell'opera.
Tutte le considerazioni sopra svolte consentono di ritenere superati i profili di doglianza relativi alla causalità della colpa come analiticamente esaminati avendo i giudici di merito correttamente individuato le condotte colpose idonee, sotto il profilo oggettivo e soggettivo a configurare la responsabilità del ricorrente.
7. È stato respinto l'argomento, pedissequamente riproposto in questa sede, introdotto dal consulente di parte allorquando ha riferito che l'operatività di un eventuale DUVRI che, come si legge a pag. 10 della sentenza di primo grado, non è mai stato redatto dall'imputato, sarebbe rimasta sospesa per effetto della sospensione dei lavori, con conseguente esonero del datore di lavoro dal controllo delle attività, rilevando poi a pag. 13 della sentenza che "le misure di protezione per evitare i rischi connessi all'attività lavorativa devono essere mantenuti ininterrottamente fino al completamento dell'esecuzione dei lavori" e non certo alla mera sospensione, per di più "orale".
Anche sotto tale profilo, dunque, il ricorso è generico e aspecifico e non si confronta con la motivazione posta a fondamento della sentenza impugnata.
8. Non si ravvisa ancora, alcun vizio di motivazione con riferimento al già dedotto profilo del comportamento abnorme della persona offesa.
La Corte territoriale, in proposito, ha affrontato l'argomento della possibile rimozione dei parapetti del trabattello rilevando che anche ammesso che a tanto la persona offesa avesse proceduto, si sarebbe trattato, al più, di uno di quei comportamenti imprudenti per i quali è onere del datore di lavoro porre in essere tutte le condizioni atte a prevenirne in concreto la manifestazione (Sez. 4 n. 46841 del 22 novembre 2023 non mass.).
A quanto detto è stato, altresì, aggiunto che poiché l'attività di montaggio di dieci finestre del peso di 150 chili, a 4 metri di altezza, richiedeva ben più di una singola giornata lavorativa, l'A.A. sarebbe stato, comunque, in condizione di riconoscere il comportamento imprudente del lavoratore e rimediare, imponendo il rispetto delle misure di sicurezza predisponendo gli opportuni strumenti di protezione.
Le sentenze di merito hanno già diffusamente spiegato con argomentazioni pienamente logiche e con congrui richiami giurisprudenziali che la responsabilità sussiste anche a ritenere l'infortunio frutto di imprudenza o disattenzione stante l'obbligo del datore di lavoro di controllare il rispetto delle disposizioni antinfortunistiche, in quanto gestore del rischio e pervenendo alla conclusione della sussistenza dell'addebito, proprio in virtù della superficialità del titolare della posizione di garanzia che avrebbe dovuto procedere alla specifica formazione, idonea a scongiurare o limitare la portata dell'evento lesivo.
Così facendo le sentenze conformi hanno fatto buon governo dei principi giurisprudenziali in subiecta materia secondo cui "in tema di infortuni sul lavoro, perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (fattispecie in tema di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del datore di lavoro in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel Pos e la mancata informazione del lavoratore avevano determinato l'assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore infortunato)" (Sez. 4 , Sentenza n. 27871 del 20/03/2019, Rv. 276242); e ancora "in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia." (Sez. 4, Sentenza n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Rv. 269603).
Anche sotto tale profilo, dunque, la sentenza resiste alla generica censura.
9. È stata sotto altro profilo ritenuta la responsabilità in capo all'A.A.per non avere vigilato affinché il muletto non venisse utilizzato per il sollevamento di persone e per non avere adeguatamente formato i lavoratori impegnati nella guida del muletto e non avere predisposto misure di sicurezza per i lavori in quota. Le censure mosse, sono meramente assertive, limitandosi a richiamare quanto sostenuto dai testi a discolpa, secondo cui il muletto sarebbe stato privo di batterie e sulla attendibilità dei quali il Tribunale prima e la Corte territoriale poi si sono ampiamente diffusi.
10. Quanto alla lamentata omessa assunzione della testimonianza di F.F., segretaria della ditta, presente sul posto il giorno dell'incidente, richiesta già rigettata dal Tribunale e sulla quale la Corte di appello sarebbe rimasta silente, il ricorrente si limita ad asserire la valenza decisiva della stessa pur tuttavia senza evidenziare quali sarebbero i profili delle eventuali dichiarazioni che avrebbero potuto avere valenza decisiva sull'esito del processo, a fronte dell'ampio e inequivoco compendio probatorio.
11. È inammissibile per carenza di interesse il motivo con cui si deduce il vizio di motivazione con riferimento al reato di cui al capo B), ossia l'art. 393 cod. pen., così riqualificato il reato ex art. 610 cod. pen. originariamente contestato e dichiarato prescritto, in relazione al quale non sussistono profili di risarcimento.
12. Alla inammissibilità del ricorso consegue, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
13. Il Collegio ritiene di dover aderire all'orientamento giurisprudenziale secondo cui, nel giudizio di legittimità, quando il ricorso dell'imputato viene rigettato o dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, la parte civile ha diritto ad ottenere la liquidazione delle spese processuali senza che sia necessaria la sua partecipazione all'udienza, purché abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un'attività diretta a contrastare la pretesa avversa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria. Si deve rilevare, tuttavia, che, nel caso in esame, la parte civile si è limitata a chiedere la conferma della sentenza impugnata, con vittoria di spese, senza contrastare specificamente i motivi di impugnazione proposti e non fornendo un contributo effettivo alla decisione. Pertanto, la liquidazione delle spese processali riferibili alla fase di legittimità in favore della parte civile non è dovuta (in tal senso, da ultimo, Sez. U, n. 877 del 14/07/2022 dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886).