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Cassazione Penale Sent. Sez. 3 Num. 40606 | 27 Ottobre 2022

ID 17949 | | Visite: 301 | Cassazione Sicurezza lavoroPermalink: https://www.certifico.com/id/17949

Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 3 del 27 Ottobre 2022 n. 40606

Luoghi di lavoro non conformi. Realizzazione di posti di lavoro e di passaggio, anche esterni, privi di sicurezza per i lavoratori

Penale Sent. Sez. 3 Num. 40606 Anno 2022
Presidente: SARNO GIULIO
Relatore: MAGRO MARIA BEATRICE
Data Udienza: 07/06/2022

Ritenuto in fatto

1. A.DL. ricorre per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Benevento del 31 maggio 2021, con la quale veniva condannato in ordine al solo capo B) dell'imputazione, per il reato di cui all'art. 63 comma 1 del D.lgs. n.81 del 2008, accertato in data 4 aprile 2006, per aver, nella qualità di datore di lavoro della ditta Euro Demolizioni s.a.s. A.DL. & C., realizzato posti di lavoro interni ed esterni, tali da non garantire idonea sicurezza ai lavoratori ivi impiegati dal pericolo di caduta o di investimento dalle carcasse delle autovetture accatastate su più livelli, una sulle altre, in violazione dell'allegato IV del medesimo decreto legislativo. Il reato descritto nel capo A), concernente l'art. 256 comma 4 del d.lgs. 152/2006, accertato in data 18 marzo 2016, veniva dichiarato prescritto.

2. Il ricorrente deduce, con unico motivo, intervenuta prescrizione della contravvenzione contestata nel capo B), che si assume erroneamente commessa il 4 aprile 2016, data in cui il dirigente del servizio ispettivo della sicurezza dei luoghi di lavoro aveva effettuato un controllo presso la ditta, unitamente al personale Arpac e alla Polizia di Stato. Rileva infatti che il tempus commisi delicti deve essere retrodatato alla medesima data in cui veniva accertato il reato descritto nel capo A), ovvero al momento in cui è stata effettuata la prima ispezione da parte del personale della Polizia di Stato e, contestualmente, disposto il sequestro dei luoghi, con conseguente cessazione della stato di pericolo per i lavoratori. Pertanto, il sequestro preventivo avrebbe fatto cessare la permanenza del reato alla data del 18 marzo 2016, con la conseguenza che il giudice di merito avrebbe dovuto dichiarare l'estinzione del reato, essendo già maturati, alla data dell'udienza di trattazione, il 31 maggio 2021, i termini di prescrizione. Evidenzia inoltre che la Corte costituzionale, con sentenza n. 140 del 6 luglio 2021, ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 83 comma 9 del D.I. 17 marzo 2020 n. 18 e pertanto, in considerazione di ciò, il termine di sospensione della prescrizione per emergenza Covid non deve esser tenuto in considerazione ai fini del computo.

3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto declaratoria di inammissibilità del ricorso, trattandosi di reato permanente.

4. Con memoria di replica il ricorrente insiste nell'evidenziare la cessazione della permanenza del reato fin dal 18 marzo 2016, in quanto in quella data era stato disposto sequestro preventivo. Produce Verbale di sequestro preventivo. Rileva inoltre che, comunque, nel gennaio 2017 è stato emesso decreto di dissequestro, con conseguente restituzione dell'area all'avente diritto, in quanto il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Benevento aveva accertato la rimozione dello stato di pericolo, l'adempimento delle prescrizioni imposte dagli ispettori del lavoro e il pagamento della somma dovuta per la violazione dell'art. 190 comma 1, d.lgs. 152/2006. Produce decreto di dissequestro preventivo e verbale di notifica.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. La questione sollevata dal ricorrente nell'unico motivo di ricorso attiene alla prescrizione del reato asseritamente maturata conteggiando quale termine di decorrenza iniziale non già la sentenza di primo grado in ragione della natura permanente del reato, bensì la data del sequestro che avrebbe comportato il vincolo di indisponibilità del bene sequestrato da parte del ricorrente.
La sentenza in realtà non fa mai menzione del sequestro dedotto dal ricorrente.
Ed invero, va premesso che nella specie risultava contestata al ricorrente al capo A) la violazione dell'art. 256 comma 4 d.lgs. 152/2006 in relazione all'attività di raccolta di veicoli fuori uso presso un centro di autodemolizione ascrivibile al ricorrente nella qualità di amministratore unico e di legale rappresentante, accertata in Amorosi il 18 Marzo 2016; ed al capo B) la violazione dell'art. 63 comma 1 del D.lgs. n.81 del 2008 per la realizzazione di posti di lavoro e di passaggio, anche esterni, in modo da non garantire la sicurezza dei lavoratori ivi impiegati e per non avere effettuato il pagamento dell'ammenda cui era stato sottoposto in sede amministrativa, avente protocollo n. 18170 del 19/12/2016, come da nota protocollo n. 40791 del 17/03/ 2017 della Asl BN 1 che aveva proceduto all'accertamento.
Il Tribunale di Benevento, con sentenza del 29/09/2021 dichiarava la estinzione del reato per il capo A) per intervenuta prescrizione e condannava il ricorrente per il capo 8), tenuto conto anche del pagamento dell'ammenda comminata in via amministrativa.
In nessun modo, quindi, veniva prospettata l'esistenza di un sequestro intervenuto alla data del 18 Marzo 2021 con conseguente prescrizione anche del capo B) alla data del 18 Marzo 2021, non potendo essere conteggiata la sospensione del termine di 64 giorni di cui all'art 83 comma 9 D.L. n. 18 2020 per effetto della sentenza n.140 del 2021 che aveva dichiarato l'incostituzionalità del comma citato.
Ciò opposto e premesso anche che può ritenersi incontestata la natura permanente del reato di cui al capo B) come indicato nella contestazione, alla luce dell'orientamento citato dal PG nella sua requisitoria- e che questo Collegio condivide - secondo cui i reati contravvenzionali previsti dalla normativa in materia di prevenzione infortuni sul lavoro, hanno natura permanente e la situazione antigiuridica si protrae persiste fino a quando il responsabile non abbia provveduto ad adottare le prescritte misure cautelari ovvero, in difetto, fino a quando il giudice non si pronunci con sentenza di condanna anche se non passata in giudicato (Sez.3, n. 46340 del 27/10/2011, Rv.251342 -01), si deve rilevare in questa sede che l'inammissibilità del ricorso si profila sotto il duplice profilo della sua genericità e della proposizione in Corte di una nuova questione non esaminata dal primo giudice, che presuppone una valutazione di merito da parte del giudice di legittimità.
Il profilo di legittimità è reso evidente anzitutto dal fatto che la circostanza del sequestro appare genericamente dedotta per la prima volta nel ricorso per Cassazione senza avere formato oggetto di esame nel giudizio di primo grado (né il ricorrente afferma di avere sollevato la questione al momento della discussione dinanzi al primo giudice).
Inoltre, la genericità del ricorso sul punto- che rende inammissibile il motivo dedotto in questa sede- è palese ove si consideri che al ricorso non risulta nemmeno allegato il provvedimento di sequestro, né se ne descrive il contenuto, ragion per cui non si rende apprezzabile in questa sede nè l'oggetto e l'ambito del sequestro, né le ragioni, posto che, ad esempio, il sequestro avrebbe potuto riguardare una parte dell'area non interessata alla problematica o prevedere la facoltà di uso del bene o l'autorizzazione alla rimozione della situazione di pericolo (situazione quest'ultima che avrebbe determinato la cessazione della permanenza).
Il ricorrente, solo successivamente, in data 1 giugno 2022, ha fatto pervenire memoria in cui, replicando alle conclusioni del PG, che non aveva menzionato il sequestro, nel dare atto che "nè nella impugnata sentenza né nel ricorso proposto si fa riferimento all'avvenuto sequestro dell'intera area'', si afferma che il 18 marzo 2016 la Polizia di Stato, in esecuzione di quanto disposto dalla A. G., aveva provveduto al sequestro preventivo dell'area e che da tale data doveva ritenersi cessata la permanenza del reato, allegando copia degli atti dell'esecuzione del sequestro e del successivo dissequestro, a seguito di regolarizzazione della situazione, notificato al ricorrente il 18 gennaio 2021.
Orbene, a prescindere da ogni altra considerazione sulla data di effettiva regolarizzazione, posto, altresì, che la questione presuppone accertamento di merito, si deve ritenere per un verso l'inutilizzabilità della memoria e della documentazione allegata in quanto fuori termine alla luce dell'orientamento consolidato secondo cui il termine di 15 giorni per il deposito delle memorie difensive, previsto dall'art 611 cod. proc. pen. relativamente al procedimento in camera di consiglio, è applicabile anche ai procedimenti in udienza pubblica e la sua inosservanza esime la Corte di Cassazione dall'obbligo di prendere in esame le stesse (da ultimo Sez.6, n. 11630 del 27/02/2020, Rv. 278719); dall'altro che la memoria si risolve nella presentazione di un nuovo motivo al più integrativo dell'altro, reso anch'esso inammissibile dalla inammissibilità del primo.

2.Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimerto nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di€ 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, all'udienza del 07/06/2022.

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Tags: Sicurezza lavoro Cassazione

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