Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 31 ottobre 2024 la Corte d'Appello di Milano ha confermato la sentenza con cui il locale Tribunale in data 5 aprile 2023, all'esito di rito abbreviato, aveva ritenuto A.A. colpevole del reato di cui all'art. 590, commi 1, 2 e 3 cod. pen. e, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti e computata la diminuente prevista per il rito, lo aveva condannato alla pena di mesi uno e giorni dieci di reclusione con la sostituzione della pena detentiva nella pena pecuniaria della multa pari ad Euro 4000,00.
1.1. L'addebito colposo mosso all'imputato, quale amministratore unico della NI.COM. C. Srl e datore di lavoro, era quello di aver cagionato al lavoratore B.B., dipendente della società con mansioni di assemblatore e fattorino ed inquadramento di operaio di I livello, lesioni personali consistite in "trauma da schiacciamento, frattura scomposta esposta del V metacarpo destro con lussazione base lesione "apparato estensore EPI EEDC per V; anteriormente ferita 1/3 distale avambraccio con esposizione peduncolo VN trinare" dalle quali derivava l'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo pari a 60 giorni, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, condotta consistita segnatamente nella violazione degli artt. 2087 cod. civ. e art. 71 comma 4, comma 7 e 28 comma 2, lett. a) D.Lgs. n. 81 del 2008, come meglio indicati nel capo di imputazione.
2. Sulla base delle sentenze di merito, il fatto può essere così ricostruito:
in data 26 maggio 2020 alle ore 15 e 47 personale del Commissariato di Rho Pero si recava presso la ditta NI.COM. C. Srl su richiesta della Polizia locale essendo stato segnalato un infortunio sul lavoro.
Giunti sul posto, gli operanti prendevano contatti con il titolare della ditta, A.A., il quale riferiva di aver sentito delle urla di un operaio provenire dal magazzino e dalle telecamere aveva notato un altro dipendente, tale C.C., che correva verso la macchina di lavoro AISA PTH40, adibita allo stampo di materiale plastico, nello specifico di bottigliette di cosmetici. Questi si era accorto che il B.B. era rimasto con un braccio nell'ingranaggio rotante della macchina e, premuto il pulsante di arresto, aveva provveduto a disincastrarlo e quindi a chiamare il 118 notando che il polso era schiacciato e sanguinante.
L'infortunato veniva trasportato all'Ospedale San Gerardo di Monza dove veniva sottoposto ad intervento chirurgico per schiacciamento della mano sinistra e dimesso il 28 maggio 2020. Veniva poi abilitato a riprendere l'attività lavorativa il 25.1.2021.
Gli operanti provvedevano quindi a sottoporre a sequestro il macchinario al cui interno riscontravano la presenza di una macchia di sangue oltre ai faldoni relativi all'uso del medesimo ed al documento di valutazione dei rischi.
Si accertava altresì che B.B., assunto inizialmente con contratto a tempo determinato, dall'1 aprile 2015 era stato confermato nell'azienda con contratto a tempo indeterminato come operaio di livello 1 con mansioni di assemblatore e di fattorino.
Risultava che lo stesso aveva svoltò presso la NI.COM C Srl il corso operatore, manutentore meccanico ed elettronico sul macchinario AISA PTH40 dal 1 aprile 2015 al 30 giugno 2015 e che il corso era stato svolto dal collega D.D., tecnico abilitato dalla ditta Aisa (come da certificazione in atti). Risultava altresì che B.B. aveva ricevuto i dispositivi di protezione e che era a conoscenza dell'obbligo del loro utilizzo nello svolgimento delle attività.
Nell'ambito delle sommarie informazioni testimoniali acquisite in data 15 giugno 2020 dal tecnico della prevenzione, il B.B. confermava di essere tornato alla NI.COM C nel 2014, di svolgere la mansione di operatore della macchina estrussore che fa il tubo ed anche della PTH40 che fa lo stampo dei tubi, di occuparsi della preparazione delle miscele e dei materiali per i due turni di lavoro e che agli interventi di manutenzione interna era adibito oltre a lui il D.D., più anziano e più esperto.
Confermava inoltre di aver ricevuto la formazione sia dal D.D. che dai tecnici svizzeri della AISA e riferiva di aver eseguito l'intervento sulla base dell'esperienza ma di non aver visionato specifiche procedure scritte.
A seguito del sopralluogo da parte del personale della ATS, venivano elevate nei confronti del A.A. una serie di contravvenzioni, segnatamente la violazione degli artt. 2087cod. civ. e dell'art. 71, comma 4, D.Lgs. n. 81 del 2008 per non aver preso le misure necessarie affinché la macchina denominata "AISA PTH40 intestatrice" fosse utilizzata in conformità alle istruzioni d'uso e fosse oggetto di idonea manutenzione al fine di garantire nel tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza nonché la violazione degli artt. 2087 cod. civ. e dell'art. 71, comma 7, D.Lgs. n. 81 del 2008, per non aver preso le misure necessarie affinché in caso di riparazione, trasformazione o manutenzione i lavoratori interessati fossero qualificati in maniera specifica per svolgere detti compiti ed infine la violazione degli artt. 2087 cod. civ. e 28, comma 2, lett. a) D.Lgs. n. 81 del 2008 per non aver predisposto un Documento di valutazione dei rischi che presentasse una valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori durante l'attività lavorativa. Le prescrizioni veniva successivamente regolarmente adempiute dal A.A.
Dalle acquisizioni probatorie, e segnatamente sulla scorta dei sopralluoghi effettuati in azienda dagli Ufficiali di P.G. e delle sommarie informazioni assunte, si accertava nello specifico che il giorno del sinistro, il B.B. si era accorto che nel macchinario si era formata una perdita di acqua da un tubicino interno e, dopo averlo fermato ed aver aperto le protezioni in plexiglas, con il joistick lungo circa 2,5 m, si era introdotto all'interno. Poiché azionando il joistick con il movimento ad impulsi non riusciva a vedere dove fosse la perdita d'acqua, con la mano sinistra aveva schiacciato il tasto verde di avvio rimettendo gli ingranaggi in movimento lento.
Una volta che gli ingranaggi erano ripartiti, essendosi il B.B. introdotto nel macchinario per osservare la provenienza della perdita d'acqua, ed essendo state rimosse le protezioni in lamiera forata gialla, lo stesso veniva improvvisamente colpito al braccio destro dall'ingranaggio che in quell'istante girava in maniera tale da afferrargli anche la mano destra che vi rimaneva incastrata. Lo stesso al momento dell'infortunio indossava non già gli abiti da lavoro ma una felpa con manica larga per evitare le piccole bruciature all'interno della macchina, trattandosi di una consuetudine implicitamente accettata e non contestata, dato che detto abbigliamento veniva adottato in modo abituale e nessuno gli aveva mai mosso alcun rilievo.
Si accertava altresì che il macchinario non era stato mantenuto come da manuale del produttore, essendo stata modificata l'originaria configurazione; in particolare al momento dell'infortunio era diversa la configurazione esterna dell'estrusore e non era presente sulla macchina la protezione del meccanismo di caricamento nella zona superiore. Inoltre la macchina non era utilizzata secondo le istruzioni d'uso, dal momento che era sprovvista delle protezioni gialle in forato previste dal costruttore che avrebbero inibito al lavoratore di introdursi all'interno con gli organi della macchina in movimento.
Si rilevava inoltre che non erano state approntate procedure di comportamento derivanti dal manuale d'uso né erano stati valutati i rischi specifici che si potevano verificare nel caso di manutenzione dovuta ad inconvenienti come quello verificatosi.
Emergeva altresì che per la redazione del DVR, il datore di lavoro si era rivolto ad una società esterna. In detto documento non vi era la valutazione dei rischi specifici in merito alla manutenzione del macchinario in esame nell'ipotesi in cui si fosse verificata un'anomalia del tipo di quella che si era in concreto manifestata.
2.1. Sulla scorta degli atti di indagine, utilizzabili in virtù del rito prescelto, il giudice di primo grado riteneva provata la responsabilità del A.A. in relazione al reato a lui ascritto, non attribuendo al comportamento tenuto dal lavoratore B.B. efficacia interruttiva del nesso causale dal momento che il predetto stava compiendo un'operazione che rientrava nel lavoro affidatogli e, se anche posta in essere in modo imprudente, certamente non era consistita in una condotta radicalmente ed ontologicamente lontana dalle pur ipotizzabili ed imprudenti scelte del lavoratore nell'esecuzione del lavoro.
2.2. Il giudice d'appello ha confermato la pronuncia di primo grado condividendone le ragioni, pur con alcune puntualizzazioni nel tessuto logico-argomentativo.
In primo luogo ha sottolineato che, contrariamente a quanto assunto dalla difesa, il lavoratore B.B. si era introdotto all'interno del macchinario dopo averlo fermato e che il riavvio da parte sua è avvenuto solo in un secondo momento. Inoltre nessun cartello di divieto di introduzione all'interno del macchinario era stato apposto vicino allo stesso e neppure in altri locali dell'azienda, come dimostrato dal materiale fotografico in atti da cui si desume solo la presenza di cartellonistica anti-covid e come confermato dallo stesso imputato che in sede di interrogatorio reso durante le indagini ha dichiarato di aver affisso il divieto in questione solo in epoca successiva all'infortunio per cui è processo.
In ultimo ha precisato che il fatto che il B.B. indossasse una felpa caratterizzata da maniche larghe che si sarebbe impigliata negli ingranaggi della macchina non costituiva una imprevedibile violazione da parte sua del regolamento aziendale ma anzi proprio l'imputato ha dichiarato di essere stato presente in azienda il giorno del sinistro avendo quindi così potuto accorgersi sia dell'abbigliamento del B.B. sia del fatto che questi non stesse utilizzando i guanti ricevuti in dotazione.
3. Avverso detta pronuncia l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi.
Con il primo motivo deduce la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione in ragione del travisamento delle risultanze probatorie da parte della sentenza impugnata ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.
Si assume che entrambi i giudici di merito sono incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze istruttorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre in termini inequivocabili il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze rispetto al compendio probatorio.
In particolare si assume che risultano contrarie ai dati probatori raccolti le affermazioni secondo cui l'evento dannoso si sarebbe verificato in quanto il lavoratore era stato adibito a mansioni contrastanti con quelle per le quali era stato assunto e per di più non sarebbe stato formato per lavorare con il macchinario AISA PTH40.
Ed invero, il lavoratore era stato assunto a tempo indeterminato con contratto del 27 marzo 2015 in cui vengono testualmente riconosciute le seguenti qualifiche e mansioni Operaio livello 1 con mansioni di assemblatore con inoltre la mansione di fattorino. L'infortunio è avvenuto proprio mentre questi svolgeva le mansioni di assemblatore di tubetti di plastica per mezzo del macchinario, mansioni svolte ininterrottamente per circa cinque anni.
Inoltre lo stesso è stato regolarmente formato per svolgere le mansioni di assemblatore con il macchinario in questione (vedi certificazione in atti attestante lo svolgimento del corso di "operatore, manutentore meccanico ed elettronico sul macchinario in questione dall' 1 aprile al 30 giugno 2015; lo stesso ha altresì ricevuto l'attestato di frequenza al corso di formazione da parte della società **** Srl). Ne deriva pertanto che il B.B. fosse perfettamente formato e che le sue mansioni fossero coerenti con l'attività svolta al momento dell'infortunio cosicché le sentenze di merito si fondano su un evidente travisamento delle risultanze istruttorie.
Con riguardo alla mancata informazione del lavoratore circa il funzionamento del macchinario, la Corte d'Appello è giunta a tale conclusione sulla base del rilievo che vi fosse solo un manuale in inglese ma in realtà dagli atti emerge che nei pressi del macchinario si trovavano ben tre faldoni contenenti le istruzioni sul funzionamento del macchinario mentre nella porta interna del macchinario si trovava il manuale in lingua italiana (come dichiarato dallo stesso B.B.).
Inoltre si sottolinea che il B.B. non stava svolgendo attività di manutenzione ma stava semplicemente assemblando tubetti di plastica.
Con riguardo alla lunghezza del cavo del joystick per la movimentazione degli impulsi al macchinario, si sottolinea che si tratta di macchinario conforme al manuale ed alle certificazioni CEE e che non risulta essere stato trasformato.
Si sottolinea altresì che le protezioni gialle sono amovibili per garantire la comodità di settaggio della macchina e per evitare bruciature agli arti inferiori mentre non sono certamente funzionali ad impedire l'ingresso del lavoratore nel macchinario.
Con riguardo alla circostanza che il DVR non conterrebbe indicazioni specifiche sul funzionamento del macchinario, si rileva che il A.A. aveva affidato ad una società esterna, la Reconsulting Srl la redazione del documento, con la conseguenza che deve ritenersi perfetta la delega di funzioni al controllo della sicurezza da parte del A.A. che ha attribuito ad un soggetto terzo tale funzione.
Concludendo la causazione dell'evento dannoso è addebitabile unicamente al comportamento colpevole e del tutto imprevedibile del lavoratore che non ha spento il macchinario prima di procedere all'ispezione ed ha indossato una felpa contravvenendo al regolamento interno, inoltre si è sporto allungando il braccio nella macchina nonostante il divieto di sporgersi, risolvendosi pertanto il suo comportamento in una condotta abnorme.
Con il secondo motivo deduce l'erronea applicazione della legge penale e la mancanza o illogicità della motivazione in ordine alla mancata concessione dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna ai sensi dell'art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen.
Si assume che il Tribunale di Milano ha convertito la pena detentiva in pecuniaria senza acquisire il consenso dell'imputato e non si comprende il senso per cui la sua posizione sarebbe stata alleggerita.
La mancanza del consenso dell'imputato determina una nullità di ordine generale e assoluta rilevabile in ogni stato e grado del giudizio.
Inoltre risulta del tutto assente la motivazione in ordine alla mancata concessione della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
4. Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
5. La difesa dell'imputato ha depositato memoria di replica alla requisitoria del Procuratore generale