
Cassazione Penale Sez. 4 del 04 agosto 2025 n. 28427 / Condanna dei preposti: infortunio mortale uso improprio del carrello elevatore
ID 24393 | 07.08.2025 / In allegato
Cassazione Penale Sez. 4 del 04 agosto 2025, n. 28427
Uso improprio del carrello elevatore e morte dell'addetto alla manutenzione dell'officina: prassi contraria alle previsioni del D.V.R. Confermata la condanna dei preposti
Cassazione Penale Sez. 4 del 04 agosto 2025 n. 28427
Composta da:
Dott. DOVERE Salvatore - Presidente
Dott. CALAFIORE Daniela - Consigliere
Dott. DAWAN Daniela - Consigliere
Dott. LAURO Davide - Consigliere
Dott. ANTEZZA Fabio - Relatore
ha pronunciato la seguente
Sentenza
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Fatto
1. Con la pronuncia indicata in epigrafe, la Corte d'Appello di Torino ha confermato la condanna di A.A., vicecapo officina, e di B.B., responsabile del settore manutenzioni-approvvigionamento, nelle qualità di preposti per "Amag Mobilità" Spa (di seguito anche: "Amag"), per l'omicidio colposo di un lavoratore alle dipendenze della detta società commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Trattasi di reato in offesa del meccanico addetto alla manutenzione dell'officina per la riparazione dei bus, D.D., accertato come commesso in cooperazione colposa (ex artt. 113 e 589 cod. pen.) anche con E.E., altro lavoratore alle dipendenze di "Amag" e addetto al piazzale adibito al deposito dei bus.
La Corte territoriale ha comunque ridotto il trattamento sanzionatorio, correggendo il calcolo eseguito in primo grado in quanto ritenuto errato, e ha confermato la condanna al risarcimento dei danni in favore di "C.C.-APS Onlus", in solido anche con la responsabile civile ("Amag"), eliminando le statuizioni civili in favore delle altre parti civili in ragione dell'intervenuta revoca delle relative costituzioni.
2. Avverso la sentenza, con atti distinti, sono stati proposti ricorsi negli interessi dei due preposti, fondanti sui motivi (sostanzialmente sovrapponibili) di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
3. Nell'interesse di A.A., sono articolati due motivi.
3.1. Con la prima censura si deduce il vizio cumulativo di motivazione in merito all'accertata responsabilità.
3.1.1. In considerazione dell'imputazione, descrivente uno specifico e non generico uso del carrello elevatore, si critica la Corte territoriale per aver ritenuto irrilevante accertare l'effettiva dinamica dell'infortunio; in particolare, se avvenuto a seguito dello spostamento del bus tramite carrello elevatore ma utilizzato al fine di tirare il pullman, come da scorretta prassi diffusa, ovvero al fine di alzarlo in ragione dell'essersi bloccate le ruote (come ritenuto dal primo giudice) ovvero ancora per spingerlo.
Il D.V.R. vietava di spingere i bus tramite il carrello elevatore ma l'accertata scorretta prassi invalsa era diversa, consistendo nel traino mediante carrello elevatore; ne conseguirebbe per il ricorrente l'impossibilità di imputare al prevenuto l'omessa vigilanza sul rispetto della corretta procedura prevista nel D.V.R. e la mancata comunicazione al datore di lavoro di una prassi scorretta ma diversa rispetto a quella altrettanto scorretta ma effettivamente invalsa.
3.1.2. In tesi difensiva, peraltro, dall'istruttoria dibattimentale sarebbe emerso che l'uso del carrello elevatore non fosse una consuetudine, rappresentando una circostanza saltuaria verificatasi prima delle ore 8:00, orario d'ingresso in azienda di A.A. Diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito, i mezzi di prova orali non avrebbero altresì evidenziato che solo un numero esiguo di lavoratori avesse conseguito l'abilitazione all'utilizzo del carrello elevatore e che le chiavi fossero sempre collocate nel quadro di accensione del detto carrello. Sarebbe peraltro "smentita dai fatti" la circostanza per cui l'imputato avrebbe volutamente ignorato l'invasa prassi scorretta e pericolosa, non essendo stato presente in azienda al momento del sinistro e non avendo egli mai assistito ad attività di spostamento dei bus mediante spinta con carrello elevatore, trattandosi di attività mai eseguita prima perché attuata mediante il carrello ma con funzione di traino. Dagli elementi acquisiti al processo sarebbe inoltre emersa l'irrilevanza causale delle eventuali violazioni degli obblighi di formazione e informazione, comunque non gravanti sull'imputato, in considerazione anche della macroscopica abnorme condotta del lavoratore infortunato, consistente nel posizionarsi tra il carrello elevatore e il bus durante l'operazione che la stessa Corte territoriale avrebbe ricostruito in termini di spinta del pullman tramite le forche del carrello.
Muovendo dalle dichiarazioni testimoniali rese da diversi lavoratori e dall'acquisito mansionario aziendale, la difesa deduce un "clamoroso travisamento dei fatti" da parte della Corte territoriale. I giudici d'appello non avrebbero considerato la presenza in azienda, al momento del sinistro, di due "addetti al movimento" mezzi, "superiori in grado" rispetto all'imputato, aventi lo specifico compito di controllare l'uscita dei mezzi dall'azienda stessa e la loro movimentazione. Si sarebbe altresì trattato di soggetti non escussi, nonostante la sollecitazione difensiva sul punto, e le cui deposizioni, per il ricorrente, sarebbero state "potenzialmente decisive". La circostanza per cui al momento del sinistro l'infortunato e E.E. non fossero soli, avendo quindi la possibilità di interloquire con i superiori al fine di intraprendere la corretta procedura di movimentazione del bus in avaria, emergerebbe altresì dall'apparato motivazionale sotteso all'assoluzione in appello di Stefano Rossi, in qualità di datore di lavoro; ciò che, peraltro, in tesi difensiva evidenzierebbe una contraddittorietà motivazionale.
3.1.3. Ulteriore profilo di censura si appunta sulla esclusa abnormità della condotta del lavoratore posizionatosi tra le forche del carrello elevatore e la traversa anteriore del bus da spostare, trattandosi di condotta assolutamente imprevedibile che chiunque avrebbe percepito come pericolosa (anche "un bambino", come avrebbero affermato anche i tecnici escussi in dibattimento).
3.2. Con il secondo motivo si deduce l'erronea applicazione della legge penale in ordine al trattamento sanzionatorio, con conseguente violazione del divieto di reformatio in peius.
La sentenza di primo grado avrebbe condannato l'imputato alla pena finale, considerata la riduzione per le circostanze attenuanti generiche, di un anno e quattro mesi di reclusione, partendo da una pena base di due anni di reclusione. La Corte territoriale avrebbe accertato l'errore commesso dal giudice di primo grado nell'aver individuato la pena base, su cui operare la riduzione per le circostanze attenuanti generiche, in quella prevista dall'art. 589, comma 2, cod. pen. nonostante la ritenuta prevalenza delle dette attenuanti generiche sull'aggravante di cui al citato comma 2. Rilevato l'errore, il Giudice d'appello avrebbe rideterminato la pena in mesi otto di reclusione, partendo da una pena base di un anno di reclusione, ex art. 589 comma 1, cod. pen., e riducendola di un terzo per le attenuanti generiche.
Orbene, in tesi difensiva, la descritta operazione avrebbe integrato una reformatio in peius per essere stata determinata in secondo grado la pena base non nel minimo edittale previsto dall'art. 589, comma 1, cod. proc. pen. (pari a sei mesi di reclusione) laddove in primo grado la pena base, con riferimento all'art. 589, comma 2, cod. pen., sarebbe stata invece determinata nel minimo edittale (pari a due anni di reclusione).
4. Nell'interesse di B.B., sono articolati due motivi.
Si deducono, in termini sostanzialmente sovrapponibili a quelli articolati nell'interesse di A.A., il vizio cumulativo di motivazione in merito all'accertata responsabilità (primo motivo) e l'erronea applicazione della legge penale in ordine al trattamento sanzionatorio, con conseguente violazione del divieto di reformatio in peius (secondo motivo).
5. Le parti hanno concluso per iscritto nei termini di cui in epigrafe.
Diritto
1. I ricorsi, suscettibili di trattazione congiunta in quanto sostanzialmente sovrapponibili, sono inammissibili.
2. Come sintetizzato in sede di ricostruzione dei fatti processuali, la Corte d'Appello ha confermato la condanna di A.A., vicecapo officina, e di B.B., responsabile del settore manutenzioni-approvvigionamento, nelle qualità di preposti per "Amag Mobilità" Spa (di seguito anche: "Amag"), per l'omicidio colposo di un lavoratore alle dipendenze della detta società commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Trattasi di reato in offesa del meccanico addetto alla manutenzione dell'officina per la riparazione dei bus, D.D., accertato come commesso in cooperazione colposa (ex artt. 113 e 589 cod. pen.) anche con E.E., altro lavoratore alle dipendenze di "Amag" e addetto al piazzale adibito al deposito dei bus.
2.1. Quanto alla dinamica del sinistro, per i giudici d'appello il lavoratore è deceduto a seguito di schiacciamento tra il carrello elevatore manovrato da E.E., privo di relative patente e abilitazione, e il bus guasto presente in officina, dopo essersi posta la persona offesa tra i due mezzi per verificare il posizionamento delle forche del carrello rispetto alla traversa anteriore del pullman. Trattasi di sinistro avvenuto nel settembre del 2016 durante l'attività intrapresa dalla persona offesa per spostare il bus all'interno dell'officina aziendale spingendolo mediante l'utilizzo del detto mezzo inidoneo e con procedura contraria a quella contemplata nel Documento di valutazione rischi (sotto la voce: "Segnalazione Guasti Autobus"). Il D.V.R., redatto con la collaborazione dell'imputato B.B., prevedeva difatti, sin dal 2015, il coinvoigimento di due lavoratori ma l'utilizzo di un carro attrezzi e, a decorrere dal luglio 2016, esplicitamente vietava di eseguire l'operazione di spostamento di veicoli guasti all'interno di aree aziendali mediante spinta eseguita tramite le forche del carrello elevatore.
2.2. Circa la situazione di contesto caratterizzante il sinistro, la sentenza impugnata ritiene accertata la presenza in azienda al momento dei fatti di due addetti al movimento e traffico (F.F. e G.G.) inseriti nell'organigramma aziendale all'interno dell'ufficio "movimento e deposito" ma nell'ambito dell'"area esercizio", cioè all'interno non dell'officina bensì del piazzale di sosta e deposito dei bus, quindi gestori non dell'area di rischio inerente alle attività di officina.
2.3. Orbene, ricostruita la dinamica del sinistro, anche in considerazione delle conclusioni degli escussi consulenti tecnici, e ritenuta la gestione del relativo rischio in capo ai ricorrenti, quali preposti rispetto alla specifica area aziendale, i giudici di merito hanno accertato la "causalità della colpa" in relazione a specifiche violazioni dell'art. 19 D.Lgs. n. 81 del 2008 da pare degli imputati. Fermo restando però il già accertato concorso nella causazione dell'evento anche della condotta del lavoratore E.E., non appellante, e di quella dell'infortunato, non considerata c.d. "abnorme". Sono stati invece esplicitamente esclusi profili di colpa in termini di omessa formazione e informazione dei lavoratori in quanto non imputati ai due attuali ricorrenti.
Il riferimento è in particolare all'aver omesso di sovraintendere e vigilare sul rispetto da parte dei lavoratori della corretta procedura prevista (dal D.V.R.) per lo spostamento dei bus all'interno dell'officina, contemplante il solo utilizzo del carro attrezzi e comunque escludente la spinta mediante carrello elevatore. Ciò, peraltro, nonostante la consapevolezza degli imputati circa la pacifica diffusa prassi pericolosa e contraria alle dette previsioni del D.V.R. coinvolgente l'uso del carrello elevatore per spostare i bus in avaria, segnatamente trainandoli, dagli stessi preposti conosciuta e non partecipata al datore di lavoro.
3. Premesso quanto innanzi occorre evidenziare, in primo luogo, che il primo motivo di entrambi i ricorsi, come detto sostanzialmente sovrapponibili, con i quali si sindaca l'apparato motivazionale inerente all'accertamento dei fatti e alle responsabilità degli imputati, sotto plurimi profili sono inammissibili, ai sensi dell'art. 606, comma 3, cod. proc. pen., in quanto deducenti censure diverse da quelle prospettabili in sede di legittimità.
Ci si riferisce alle doglianze in fatto con le quali si prospettano anche erronee valutazioni probatorie del giudice di merito, peraltro in termini di "travisamento dei fatti" e non di mezzi di prova, esplicitate analiticamente nel paragrafo 3.1.2. della precedente ricostruzione del fatto processuale (sul contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione si vedano ex plurimis: Sez. 4, n. 10897 del 29/01/2025, Alfano, tra le più recenti, e Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584 - 01; si veda altresì Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Gattelli, Rv. 268822 - 01, in ordine ai motivi d'appello ma sulla base di principi pertinenti anche al ricorso per cassazione).
A ciò deve peraltro aggiungersi l'inammissibile deduzione, da parte di A.A., della mancata assunzione delle deposizioni di F.F. e G.G., in quanto prospettata solo in termini di mera potenziale decisività dei detti mezzi di prova. Decisività, solo potenziale, peraltro dedotta dal ricorrente in considerazione di un iter logico-giuridico diverso da quello sotteso alla sentenza impugnata, nei termini di seguito evidenziati.
3.1. Gli ulteriori profili di censura articolati con riferimento all'apparato motivazionale inerente all'accertamento dei fatti e alle responsabilità dei ricorrenti si mostrano inammissibili in ragione del mancato confronto con la ratio decidendi sottesa alla sentenza impugnata (per l'inammissibilità del motivo di ricorso che non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, venendo meno in radice l'unica funzione per la quale è previsto e ammesso, ex plurimis: Sez. 4, n. 10897 del 29/01/2025, Alfano, cit., tra le più recenti; Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, Della Fazio, Rv. 286468 - 01; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584 - 01).
3.1.1. Come emerge dall'evidenziato apparato motivazionale del provvedimento impugnato, diversamente da quanto prospettato dai ricorrenti, la Corte territoriale non ha ritenuto irrilevante la ricostruzione dell'effettiva dinamica dell'infortunio, non ha escluso di considerare la presenza in azienda di F.F. e G.G. e non ha riconosciuto in capo agli attuali ricorrenti profili di colpa afferenti all'omessa formazione e informazione dei lavoratori. All'esito di un giudizio ex ante, è stato altresì accertato l'evento in termini di concretizzazione del rischio che i due attuali imputati avrebbero dovuto gestire, con conseguente esclusione anche della prospettata interruzione del nesso causale in forza della condotta colposa dell'infortunato.
3.1.2. In particolare, con motivazione coerente e non manifestamente illogica, i giudici d'appello hanno accertato il sinistro come verificatosi durante l'attività intrapresa dalla persona offesa, nell'esercizio delle proprie mansioni, per spostare il bus guasto presente all'interno dell'officina aziendale, spingendolo mediante l'utilizzo del carrello elevatore, mezzo inidoneo, e quindi con procedura contraria all'unica prevista dal D.V.R., contemplante l'utilizzo del solo carro attrezzi ed esplicitamente escludente l'uso del citato carrello.
È stata ritenuta accertata la presenza in azienda al momento dei fatti di F.F. e G.G. ma quali addetti a sovraintendere alle attività di movimentazione e deposito dei bus non all'interno dell'officina, luogo del sinistro, bensì all'interno del piazzale di sosta e deposito dei mezzi. Coerentemente, il sinistro è stato ritenuto concretizzazione della violazione di regole cautelari rientranti la diversa area di rischio che avrebbero dovuto gestire i due imputati, quali preposti.
Ricostruita la dinamica del sinistro, è stata difatti accertata la "causalità della colpa" in relazione a specifiche violazioni dell'art. 19 D.Lgs. n. 81 del 2008 da pare degli attuali ricorrenti, esclusi invece profili di colpa in termini di omessa formazione e informazione dei lavoratori in quanto a loro non imputati. Oltre all'omesso controllo del rispetto della corretta procedura prevista dal D.V.R., finalizzata allo spostamento dei bus all'interno dell'officina, è stata addebitata ai due preposti la mancata comunicazione al datore di lavoro della pacifica diffusa prassi pericolosa e contraria alle dette previsioni del D.V.R., da loro conosciuta, coinvolgente l'uso del carrello elevatore per spostare i bus in avaria. Con motivazione esente da censure in sede di legittimità, in quanto coerente e non manifestamente illogica, con la quale non si confrontano i ricorrenti, sono state difatti ritenute rilevanti le descritte condotte dei due preposti, gli attuali ricorrenti, in relazione alla scorretta prassi dell'utilizzo del carrello elevatore in quanto tale, perché in violazione e contro le previsioni del D.V.R. invece contemplante l'uso del solo carro attrezzi. Ne è conseguita l'irrilevanza della circostanza per cui, nella specie, i due lavoratori avessero utilizzato il carrello elevatore, come da scorretta prassi in violazione del D.V.R., non per trainare il bus bensì per spingerlo. Trattasi di ricostruzione fattuale e di accertate responsabilità peraltro aderenti all'imputazione, ove si chiarisce la posizione della persona offesa, infilata tra il bus e il carrello elevatore con forche appoggiate alla traversa anteriore del mezzo al fine di sollevarlo. Nel formulare gli specifici addebiti agli attuali ricorrenti l'imputazione fa altresì riferimento all'omessa vigilanza circa la corretta procedura da seguire e all'omessa segnalazione al datore di lavoro della prassi dell'uso del carrello elevatore al poso del carro attrezzi invece previsto dalla corretta procedura di cui al D.V.R.
3.1.3. Circa la censura che si appunta sulla ritenuta non interruzione del nesso causale in ragione della condotta colposa dell'infortunato, deve aggiungersi che i ricorrenti non si confrontano con la circostanza per cui l'evento è stato accertato come verificatosi nell'esercizio delle mansioni a cui era ordinariamente adibito il lavoratore, espletate seguendo una prassi vietata ma assolutamente tollerata dagli stessi preposti. L'evento è stato altresì ritenuto concretizzazione del rischio che le regole cautelari violate dai due ricorrenti miravano a prevenire, tramite la dovuta vigilanza e la necessaria informazione al datore di lavoro, quindi non eccentrico rispetto all'area di rischio di loro gestione.
Nel riconnettere la c.d. "abnormità" ai concetti di prevedibilità e di gravità della colpa del lavoratore, i ricorrenti non si sono peraltro confrontati con la giurisprudenza di legittimità sul punto, con censura che quindi, circa il detto profilo, si manifesta infondata. In merito, la più recente giurisprudenza, alla quale si intenda dare continuità, ha abbandonato il criterio della imprevedibilità del comportamento del lavoratore nella verifica della relazione causale tra condotta del reo ed evento, ponendosi i due concetti su piani distinti, perché ciò che davvero rileva è che tale comportamento attivi un rischio eccentrico o, se si vuole, esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto al quale viene attribuito l'evento (per tutte, Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, in motivazione; si vedano altresì per la successiva applicazione ed elaborazione del principio in relazione a plurime fattispecie, ex plurimis: Sez. 4, n. 41197 del 09/07/2024, Cassottana; Sez. 4, n. 9901 del 16/01/2024; Rossi, Sez. 4, n. 30814 del 11/05/2022, Lo Nero; Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017 Gerosa, Rv. 269603 - 01, nonché gli ulteriori riferimenti in esse presenti).
4. Con il secondo motivo dei ricorsi proposti negli interessi di A.A. e di B.B., si deduce, in termini sovrapponibili, l'erronea applicazione della legge penale in ordine al trattamento sanzionatorio con conseguente violazione del divieto di reformatio in peius cui all'art. 597 cod. proc. pen.
4.1. Occorre premettere che la sentenza di primo grado ha condannato ciascuno degli imputati alla pena finale, considerata la riduzione per le circostanze attenuanti generiche, di un anno e quattro mesi di reclusione, partendo da una pena base di due anni di reclusione.
Sollecitata dai motivi d'appello, la Corte territoriale ha accertato l'errore commesso dal giudice di primo grado nell'aver individuato la pena base, su cui operare la riduzione per le attenuanti generiche, in quella prevista dall'art. 589, comma 2, cod. pen. nonostante la ritenuta prevalenza delle dette attenuanti sull'aggravante di cui al citato comma 2. Rilevato l'errore, il Giudice d'appello ha rideterminato la pena in mesi otto di reclusione, partendo da una pena base di un anno di reclusione, ex art. 589 comma 1, cod. pen., e riducendola di un terzo per le attenuanti generiche.
4.2. Orbene, le doglianze sono manifestamente infondate per la inconfigurabilità nella specie, già in forza delle prospettazioni difensive, di alcun elemento apprezzabile in termini di reformatio in peius.
In accoglimento degli appelli sul punto, la Corte territoriale ha emendato, in melius, l'errore presente nel calcolo della pena da parte del primo giudice. Ciò è avvenuto non solo infliggendo una pena finale inferiore rispetto a quella comminata in primo grado (otto mesi di reclusione in luogo di un anno e quattro mesi) ma anche partendo da una pena base non individuata nel minimo edittale di cui all'art. 589, comma 1, cod. pen. ma inferiore a quella determinata in primo grado partendo dal minino edittale della fattispecie aggravata (un anno di reclusione in luogo di due anni di reclusione), per poi ridurla per le attenuanti generiche nel massimo consentito.
Sicché, ovviato all'errore del primo giudice, con conseguente mutamento della struttura del computo della pena, la riforma in melius ha in concreto investito non solo l'entità complessiva del trattamento sanzionatorio ma anche le altre componenti che hanno concorso alla sua determinazione, con ontologica impossibilità di violazione del divieto di cui all'art. 597 cod. proc. pen. (in materia si vedano, oltre a Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, Morales, Rv. 232066 - 01, ex piurimis: Sez. U, 7578 del 17/12/2020, dep. 2021, Acquistapace, Rv. 280530 - 01; Sez. U, n. 16208 del 27/03/2014, C., Rv. 258653 - 01; Sez. U, n. 33752 del 18/04/2013, Papola, Rv. 255660 - 01, nonché, ancor più di recente, Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, Amato, quest'ultima quanto alla ritenuta esclusione della violazione del divieto di reformatio in peius nel caso di mero non rispetto della semplice proporzionalità tra le diverse pene posta a base del computo per l'ipotesi di annullamento in appello della sentenza di primo grado circa il reato più grave con rideterminazione della pena per il nuovo reato base).
5. In conclusione, all'inammissibilità del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende (misura ritenuta equa, ex art. 616 cod. proc. pen. come letto da Corte cost. n. 186 del 2000, in considerazione dei profili di colpa nella determinazione delle cause di inammissibilità emergenti dai ricorsi nei termini innanzi evidenziati).
Per converso, non consegue la rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte cive "C.C.-APS Onlus" che, nel presente procedimento a trattazione scritta, ha concluso limitandosi a chiedere alla Suprema Corte di rigettare i ricorsi. La memoria depositata nell'interesse della parte civile, esaurendosi nelle mere conclusioni di cui innanzi, non ha quindi fornito alcun contributo alla dialettica processuale in quanto priva di eccezioni o deduzioni dirette a paralizzare o ridurre la pretesa del ricorrente nonché di qualsivoglia riferimento specifico ai fatti oggetto del presente giudizio (sul punto, in fattispecie sostanzialmente sovrapponibile alla presente, tra le più recenti, Sez. 4, n. 14797 del 04/02/2025, Cervellera; si vedano altresì: Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino, in motivazione; Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226716 - 01, nonché Sez. U, n. 27727 del 14/12/2023, Gambacurta, Rv. 286581 - 01, con argomentazioni che, mutatis mutandis, rilevano anche nella presente fattispecie ancorché in fattispecie caratterizzata da difesa della parte civile effettuata solo per iscritto in processo di legittimità a trattazione orale).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende. Nulla per le spese alla parte civile.
Così deciso il 20 giugno 2025
Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2025.
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