Considerato in diritto
1.Il ricorso è inammissibile.
2. In ordine al primo motivo, avente ad oggetto la prescrizione del reato, va ribadito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a fnorma dell'art. 129 cod.proc.Pen. ( v. ad es., in ordine alla inamissibilità per manifesta infondatezza Sez. U, n. 32 e1 2211112000, D.L., v. 217266). A ciò si aggiunga che è inammissibile il ricorso per cassazione proposto unicamente per far valere la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata e prima della sua presentazione, privo di qualsiasi doglianza relativa alla medesima, in quanto viola il criterio della specificità dei motivi enunciato nell'art.581, lett.c) cod. proc.pen. ed esula dai casi in relazione ai quali può essere proposto a norma dell'art. 606 dello stesso codice (Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531).
In proposito occorre solo sottolineare che la sentenza in esame è stata pronunciata in data 12 febbraio 2020 e, dunque, prima del decorso del termine massimo di prescrizione del reato, che risale al 20 novembre 2012. Difatti, ai fini del computo della prescrizione rileva il momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna e non quello successivo del deposito della stessa (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Camimi, Rv. 277593).
3. Le altre due censure, che possono essere esaminate congiuntamente, in quanto mirano, in modo complessivo, ad aggredire l'affermazione di responsabilità del ricorrente, sono manifestamente infondate.
Occorre premettere che, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, l'infortunio si è verificato a causa della collisione del carrello condotto dalla vittima, immessasi, dopo una curva, in un corridoio, con un altro mezzo ivi parcheggiato, senza alcuna specifica ragione, come tollerato e consentito in azienda, non esistendo all'epoca dei fatti alcuna area destinata al parcheggio, nonostante le segnalazioni pervenute in ordine alle connesse problematiche. Nella sentenza di primo grado si è precisato che "l'incidente non si sarebbe verificato se il collega (allontanatosi per una banale pausa caffè) non avesse parcheggiato il mezzo in quel punto". L'omissione colposa del datore di lavoro è stata individuata nella mancata adozione di misure necessarie alla tutela dei lavoratori nelle operazioni di circolazione - misura identificata dai giudici di merito con la creazione di un'area di parcheggio al fine di prevenire l'intralcio al passaggio dei mezzi costituito dalla presenza di veicoli in sosta o, comunque, con altre azioni idonee ad evitare il pericoloso ingombro.
Alla luce di tale puntuale ricostruzione, deve, in primo luogo, rilevarsi che le norme cautelari, la cui violazione ha causato l'infortunio del lavoratore, risultano individuate con precisione già nel capo di imputazione - in particolare l'art.15, lett. a, b, e c, del d.lgs. n. 81 del 2008, che impone al datore di lavoro la valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori, la programmazione della prevenzione e l'eliminazione dei rischi o, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo, obblighi il cui contenuto va definito alla luce degli allegati del provvedimento normativo in esame, tra cui l'allegato IV, che, nello stabilire i requisiti dei luoghi di lavoro, si sofferma sulla sicurezza delle vie di circolazione, prescrivendo una serie di cautele e precauzioni, tra cui, al punto 1.4.10, la necessità che le stesse siano sgombre da materiali che possano ostacolare il transito. Il sostantivo "materiali" non può essere interpretato in senso restrittivo, come proposto dal ricorrente, e, quindi, contrapposto ai mezzi destinati al transito e alla movimentazione delle merci. Difatti, gli stessi veicoli integrano oggetti materiali, suscettibili di essere ricompresi nel genus richiamato dal 1.4.10, laddove, non essendo in movimento, possano tradursi in ingombro della via di transito e in un intralcio alla circolazione. A ciò si aggiunga che, sebbene non sia espressamente prescritta la creazione in un magazzino di un'area di parcheggio, proprio il punto 1.4.10 dell'allegato IV al d.lgs. n. 81 del 2008 tendenzialmente esclude che i veicoli in sosta possano essere lasciati sulle vie di transito ed il successivo punto 1.4.11 impone, laddove non possa adottarsi altra precauzione più efficace, un'adeguata segnaletica.
Parimenti la decisione individua, in modo logico ed ineccepibile, il nesso di causalità tra la condotta colposa del datore di lavoro e l'infortunio, conformemente al principio secondo cui, nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138). Al contrario, il ricorrente si è limitato ad ipotizzare la verificazione dell'infortunio con modalità diverse (e, cioè, dovuto alla collisione tra due veicoli in movimento) o la mancata verificazione dell'infortunio, stante la sufficienza dell'area al passaggio del muletto nonostante la presenza del carrello in sosta. Si tratta, però, della prospettazione astratta di avvenimenti diversi rispetto a quello realmente avvenuto, che non incide sulla ricostruzione dei fatti.
A fronte della puntuale ed esaustiva motivazione delle sentenze di merito sugli elementi del reato, le censure del ricorrente, rispetto a cui si è lamentata l'omessa o contraddittoria risposta, risultano prive di rilievo, in quanto inconsistenti ed inconferenti. Per completezza, deve solo precisarsi che in parte il ricorso tende ad una diversa interpretazione del materiale probatorio (ad esempio, in ordine alle precedenti segnalazioni delle problematiche inerenti alla circolazione), che non è consentita in questa sede, e denuncia travisamenti delle prove inesistenti.
In proposito deve ricordarsi, da un lato, che n tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482), e, dall'altro lato, che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", solo nelle ipotesi (che non ricorrono nel caso di specie) in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, oppure quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle partì (Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155).
5. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo alcuna ragione di esonero, della sanzione pecuniaria, che si reputa equo liquidare in euro tremila, in favore della Cassa delle Ammende, oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile.