Considerato in diritto
1. Il ricorso é inammissibile, in quanto manifestamente infondato in tutti e tre i motivi di lagnanza, con la conseguenza che non rileva il decorso del tempo ai fini della prescrizione del reato.
2. Quanto al primo motivo di ricorso, le censure che muove l'esponente sembrano nell'essenziale tese ad escludere la correttezza dell'addebito nella parte in cui vi si richiamano l'art. 71 del D.Lgs. n. 81/2008 e l'allegato VI, punto 3.1.6., prescrizioni ritenute dal deducente affatto generiche e che, in primo e in secondo grado, sarebbero state declinate in modo contraddittorio e confliggente.
A fronte di ciò, però, é in primo luogo di tutta evidenza che il contenuto dell'editto imputativo é riferito alla violazione delle previsioni poste a tutela dei lavoratori in relazione al sollevamento di carichi nei cantieri. In questo senso depone, in particolare, il richiamo alle disposizioni di cui al punto 3 dell'allegato VI, riferite all"'uso delle attrezzature di lavoro che servono a sollevare e movimentare i carichi"; e in specie al punto 3.1.6, che nella prima parte letteralmente così recita: «Gli accessori di sollevamento devono essere scelti in funzione dei carichi da movimentare, dei punti di presa, del dispositivo di aggancio, delle condizioni atmosferiche nonché tenendo conto del modo e della configurazione dell'imbracatura».
Ora, ciò che si addebita al R.R. é, per l'appunto, di avere posto il suo dipendente nelle condizioni di non operare in sicurezza in relazione alle tipologie di carico da sollevare.
In primo grado, secondo l'espresso richiamo operato dalla Corte lagunare a pagina 4 della sentenza, l'addebito si é sostanziato in una duplice direttrice: ossia, in primo luogo, "nel non avere predisposto idonee procedure per l'utilizzo degli accessori di imbragatura dei basamenti" e, in secondo luogo, "nell'aver tollerato la prassi aziendale di non utilizzare la terza corda di stabilizzazione del carico non completo".
Nella sentenza impugnata, a fronte delle censure del ricorrente, la Corte di merito non si é in alcun modo discostata dalle conclusioni del primo giudice, in quanto ha semplicemente meglio specificato - richiamando la relazione SPISAL, pag. 5 - le manchevolezze già individuate in primo grado, precisando in primo luogo che "il sistema di sollevamento utilizzato prevedeva di usare, in associazione al carroponte, delle fasce di fibra tessile associate a dei perni cilindrici metallici inseriti in fori presenti nella struttura del manufatto che erano privi di idonei sistemi atti ad impedire la fuoriuscita dal corpo perno con conseguente impossibilità di garantire stabilità del carico durante le fasi di sollevamento e spostamento"; e, in secondo luogo, censurando la prassi aziendale di utilizzare la terza corda solo per il sollevamento dei manufatti completi, laddove "la valutazione circa l'opportunità dell'uso di una terza corda per ottenere una maggiore stabilità del carico (... ) non avrebbe dovuto essere rimessa alla discrezione del dipendente, ma avrebbe dovuto essere inserita in un documento procedurale chiaro e valido per ogni specifico caso" (pag. 5 sentenza impugnata).
Non é dato cogliere alcuna differenza sostanziale tra l'individuazione degli addebiti operata nella sentenza di primo grado e quella precisata dalla Corte territoriale, atteso che gli addebiti si sostanziano in ambo i casi nelle censure mosse alle carenze funzionali nei dispositivi di sicurezza degli accessori di sollevamento dei carichi, nonché nella presenza di prassi aziendali pericolose (sulla rilevanza di queste ultime vds. ad es. Sez. 4, n. 26294 del 14/03/2018, Fassero Gamba, Rv. 272960; o Sez. 4, n. 13858 del 24/02/2015, Rota e altro, Rv. 263287).
3. Quanto alla ritenuta abnormità del comportamento del lavoratore, dedotta con il secondo motivo di doglianza, l'assunto del ricorrente nasce all'evidenza da un fraintendimento della nozione di abnormità che all'uopo rileva.
Va perciò a tal fine ribadito il principio, affermato dalla sentenza a Sezioni Unite n. 38343/2014 (Espenhahn ed altri, c.d. sentenza Thyssenkrupp), in base al quale, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, é necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (negli stessi termini vds. anche Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 - dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; cfr. in termini sostanzialmente identici Sez. 4, n. 15174 del 13/12/2017 - dep. 2018, Spina e altro, Rv. 273247); ed é di tutta evidenza che nell'ambito di tale sfera di rischio rientrava certamente l'operazione di movimentazione del carico che era in corso al momento dell'infortunio, e alla quale il L.V. era stato assegnato.
Non vale, in sostanza, la mera valutazione del ricorrente circa una ritenuta avventatezza del lavoratore legata all'inutilità della sua decisione di posizionarsi sotto il carico, laddove egli poteva manovrare il carico stesso utilizzando il radiocomando messogli a disposizione: nel solco della giurisprudenza di legittimità ormai costante si é recentemente precisato che, in tema di infortuni sul lavoro, perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, é necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242).
4. Quanto infine al terzo motivo di lagnanza, risulta evidente che, con riguardo alla dedotta impossibilità di introdurre dispositivi di bloccaggio finalizzati alla prevenzione dello scivolamento delle fasce dai supporti metallici, la tesi del ricorrente é tesa a mettere in discussione quella, opposta, sostenuta dal servizio SPISAL e da lui apertamente confutata: ciò che, all'evidenza, non é consentito nell'ambito del presente giudizio di legittimità, essendo preclusa in questa sede la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507). Per quanto poi riguarda l'asserzione secondo la quale l'impiego generalizzato della terza corda doveva intendersi come sempre previsto (ossia anche nel caso di sollevamento di carichi non interi, come nella specie), é del tutto ovvio che tale asserzione non può fondarsi sulla sola presenza di un golfare sul pezzo, essendo di contro necessaria l'introduzione di una espressa e specifica procedura che sottraesse al singolo lavoratore la possibilità di scelta circa l'impiego della terza corda: procedura che, come chiarito nella sentenza impugnata, non era invece prevista.
5. La manifesta infondatezza del ricorso priva di rilevanza, come si é detto, il fatto che sia decorso il termine di prescrizione del reato.
Alla declaratoria d'inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.