Considerato in diritto
1. I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Le censure del ricorrente, invero, si sostanziano nella riproposizione delle medesime doglianze già sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito.
L'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.
2. Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio e dell'attribuzione dello stesso alla persona dell'imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità.
il ricorrente solo apparentemente svolge una critica alle argomentazioni logiche fornite dai giudici di merito, offrendo in realtà una propria diversa prospettazione dei fatti, la quale non può essere delibata in sede di legittimità a fronte di una motivazione che possiede una chiara e puntuale trama argomentativa, in fatto ed in diritto.
L'esame della motivazione della sentenza impugnata rivela un'attenta analisi della regiudicanda poiché la Corte territoriale, prendendo in esame tutte le deduzioni difensive, è pervenuta alle sue conclusioni percorrendo un itinerario logico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità e sulla base di apprezzamenti in fatto, in alcun modo qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogici.
La Corte territoriale aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento impugnato la tesi oggi riproposta, rimarcando come il P.F. fosse presente in cantiere il giorno dei fatti, quindi aveva potuto osservare che i lavori erano cominciati e proseguiti nonostante l'omessa disalimentazione e l'omesso blocco della circolazione, mentre appare decisamente poco credibile che RFI abbia consento la sola posa del trefolo sui binari per poi lasciarli incustoditi in attesa di un futuro via libera conseguente alla redazione del verbale di secondo livello e di una disalimentazione che, per la sue serie conseguenza sul traffico ferroviario, certamente doveva essere predisposta ed autorizzata con largo anticipo; del resto il lavoro di srotolamento era terminato e proprio il P.F. aveva incaricato due operai di andare a prelevare un'altra bobina di trefolo necessaria per andare aventi, segno evidente che quello ricevuto in precedenza era stato interamente posato e si stava procedendo alla sua sistemazione in quota.
E' lo stesso ricorrente che riporta il punto centrale della motivazione del provvedimento impugnato, senza confrontarvisi, laddove a pag. 19, rigo 3 e ss. di legge ".. .quanto al P.F., responsabile di linea operativo di R.F.I spa, vanno preliminarmente richiamate le condivisibili argomentazioni spiegate in primo grado alle pag 9 e ss, non superate da valide argomentazioni difensive di segno opposto: egli fa firmato la bolla di consegna del materiale necessario per i lavori (consegnato il 20 e 24 settembre) ed era presente in cantiere la mattina dell'incidente, sia pure fino a un paio di ore prima dello stesso ".
Non può sostenersi, come fa la difesa, che la semplice consegna del materiale non dimostri che l'imputato fosse a conoscenza dell'avvio dei lavori: ciò è fattualmente smentito dalla circostanza che il P.F. era presente in cantiere il giorno dei fatti e, quindi, aveva potuto osservare di certo che i lavori erano cominciati e proseguiti (nonostante l'omessa disalimentazione e l'omesso blocco della circolazione) . Né convince la tesi secondo la quale egli avrebbe constatato solo la stesura a terra dei trefoli: a tacere del fatto che, comunque, i lavori erano iniziati senza il rispetto delle regole de quibus (circostanza che, come detto, egli non poteva ignorare) e ciò ha una valenza causale evidente nella produzione della morte del S.V., non può sostenersi che il P.F. abbia autorizzato gli operai solo a tale attività in attesa della redazione del verbale e del distacco della corrente sia perché ciò è stato smentito dall'istruttoria (da cui è emerso che alla data del 24 non era stata neanche predisposta una riunione strumentale a tale adempimento documentale) e sia perché appare francamente inverosimile che R.F.I. spa avesse consentito la posa del trefolo sui binari per poi lasciarli lì incustoditi (sebbene gli episodi di furto siano più che frequenti e, inoltre, proprio il furto dei trefoli avesse imposto l'intervento in esame) in attesa di un futuro via libera conseguente alla redazione del "verbale di secondo livello" e di una disalimentazione che, per le sue serie conseguenze sul traffico ferroviario, certamente doveva essere predisposta e autorizzata con largo anticipo. Non è vero, quindi, che i lavori fossero iniziati a sua insaputa, né può sostenersi ragionevolmente che proprio la mancata redazione del verbale fosse prova della mancanza di consapevolezza da parte del P.F. circa ìl concreto avvio dei lavori: egli ha consegnato agli operai materiale e non vi è ragione per ritenere che ciò non fosse attività prodromica all'immediato inizio degli stessi; dì più era presente nel cantiere e non può non aver osservato che i lavori erano iniziati e proseguiti anche mediante la tesa in quota del trefolo, lavoro che stava compiendo la vittima al momento del sinistro
Quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche la corte rimarca che non sono emersi elementi suscettibili di positiva valutazione non bastando il mero stato di incensuratezza, la gravità del grado della colpa e le conseguenze negative della loro condotta, in uno alla circostanza che nessuno degli imputati aveva portato un effettivo contributo alla ricostruzione del fatto erano elementi da valutare in senso negativo, mentre il risarcimento del danno era stato operato solo dalle compagnie assicurative.
La motivazione è dunque resa. Va rilevato che, secondo un principio ampia mente consolidato di codesta giurisprudenza di legittimità, nel motivare il diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (così, tra le tante, Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899-01, e Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Rv. 248244-01).
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.