Considerato in diritto
1. Il ricorso della parte civile è fondato in ordine a tutti i motivi, incentrati, in ultima analisi, sul vizio di motivazione nel suo complesso della pronuncia assolutoria di secondo grado, in ribaltamento della condanna pronunciata dal Tribunale.
2. Si deve premettere che non vi è discussione in ordine alla dinamica dell'infortunio come supra riportata. Le sentenze di primo e secondo grado convergono nella ricostruzione, secondo cui il lavoratore dipendente si era infortunato mentre era intento ad effettuare operazioni di pulizia di un macchinario con la soda caustica, senza avere alcun mezzo di protezione e senza essere stato formato e informato rispetto all'utilizzo, gestione e manipolazione di reagenti chimici.
3. A fronte di tale ricostruzione, il Tribunale nella sentenza di primo grado aveva fondato la pronuncia di condanna del datore di lavoro in ordine all'infortunio occorso al lavoratore dipendente sulle risultanze dell'istruttoria. I giudici avevano valorizzato la testimonianza resa dalla persona offesa, la quale aveva riferito di aver ricevuto da D.D., preposto e delegato alla sicurezza, l'ordine di pulire i macchinari con la soda caustica, come già in passato aveva visto fare a quest'ultimo: A.A. aveva precisato di non aver mai ricevuto in merito a tale tipo di mansione alcuna formazione e informazione e di non essere stato rifornito dei necessari dispositivi di protezione individuale, peraltro neppure presenti in azienda: il giorno dell'infortunio, egli ne aveva trovato soltanto un paio mal ridotti e aveva scelto di non utilizzarli. Avevano, altresì, dato rilievo alla trascrizione della conversazione intercorsa in data 5 luglio 2017 tra A.A., i suoi genitori e D.D.: questi aveva ammesso che in azienda non vi erano attrezzature protettive idonee e di non essere a conoscenza della pericolosità della soda caustica e aveva commentato che già in passato A.A., pur non avendo seguito alcun corso di formazione, lo aveva coadiuvato in tali operazioni di pulizia ed era rimasto colpito da uno schizzo di soda caustica, per fortuna sui pantaloni. Più in generale, nel corso di tale conversazione, B.B. era stato descritto dallo stesso D.D. come soggetto poco interessato ai rischi per la salute dei lavoratori.
Il Tribunale aveva ritenuto che, secondo un giudizio controfattuale mediante prognosi ex ante e in concreto, sussistesse il nesso causale tra la condotta colposa e l'evento delittuoso, essendo ascrivibile la lesione riportata dal lavoratore all'omessa adozione di misure e accorgimenti imposti all'imprenditore dalle norme di legge posta a tutela dell'integrità del lavoratore. L'evento lesivo si sarebbe potuto scongiurare - secondo il giudice di primo grado - designando quale preposto alla sicurezza un soggetto dotato di maggiore professionalità, competenza e esperienza e vigilando costantemente su certe prassi aziendali, così da tutelare il lavoratore anche dalla propria stessa imprudenza.
3.1. La Corte di Appello, con la sentenza impugnata, ha ribaltato la condanna, adottando il seguente percorso argomentativo:
- presso l'azienda C.C. il rischio di esposizione ad agenti chimici era qualificabile basso e l'unico lavoratore addetto all'uso della soda caustica era D.D., all'uopo regolarmente formato, come dato desumere dal documento di valutazione del rischio e dagli attestati di formazione. Con riferimento agli altri lavoratori, occasionalmente esposti al rischio, tra cui A.A., sussisteva per il datore di lavoro l'obbligo di informazione e addestramento (e non anche formazione) che l'imputato risultava avere regolarmente adempiuto. Tale ultima circostanza era suffragata dalle dichiarazione del teste E.E., il quale aveva dichiarato che B.B. e D.D. avevano informato i lavoratori sulla pericolosità di determinate sostanze, tra cui la soda caustica;
- l'obbligo del datore di lavoro di formare A.A. in ordine al rischio chimico non poteva discendere dalla riferita esposizione, in via di fatto, in occasioni precedenti al sinistro: verosimile era, infatti, la tesi difensiva, secondo la quale costui, in passato, aveva soltanto assistito D.D. durante le operazioni di pulizia con la soda caustica e si era limitato a tenere il tubo per sciacquare la vasca del vino, senza mai utilizzare personalmente tale pericoloso reagente e, comunque, indossando gli opportuni dispositivi di protezione;
le affermazioni effettuate da A.A. e D.D. nel colloquio privato registrato dal primo all'insaputa del secondo non potevano essere considerate attendibili, in ragione dell'interesse personale che animava i conversanti, consistito nell'aspettativa risarcitoria per l'A.A. e nella necessità di discolparsi per D.D.;
- il teste E.E., indifferente in quanto all'epoca della escussione dibattimentale non più dipendente dell'azienda agricola, aveva riferito che i dispositivi di protezione individuale erano presenti all'interno dell'azienda prima dell'incidente.
Sulla base di tali risultanze, la Corte ha escluso in capo al datore di lavoro i profili di colpa specifica contestati e ritenuti sussistenti dal primo giudice, ovvero sia la culpa in eligendo, sia la culpa in vigilando. Sotto il primo profilo, la Corte ha osservato che D.D. era soggetto di comprovata esperienza nel settore e, quindi, adeguato rispetto alle funzioni, come confermato dagli attestati di formazione dello stesso conseguiti, nonché dalla testimonianza di E.E. e che era "inverosimile", data la sua qualifica, che egli non fosse a conoscenza dei rischi connessi all'utilizzo della soda caustica. Sotto il secondo profilo, la Corte ha rilevato che la documentazione in atti valeva a provare l'avvenuto svolgimento delle riunioni antecedenti al sinistro e che il teste E.E. aveva spiegato come B.B. raccomandasse sempre ai lavoratori l'utilizzo dei dispositivi di protezione. L'attività posta in essere da A.A., inconsueta per la stagione e imprevedibile nella modalità, era stata commissionata da altri ed era idonea a interrompere il nesso causale tra la condotta colposa contestata all'imputato e l'evento lesivo, in quanto "comportamento eccentrico ed esorbitante rispetto alle mansioni assegnategli.
4. La motivazione della sentenza della Corte appare viziata sotto tutti i profili segnalati dalla parte civile ricorrente.
La Corte, invero, ha correttamente impostato il percorso argomentativo attraverso il confronto con i passaggi della sentenza di primo grado (nel rispetto del principio per cui il giudice d'appello, in caso di riforma, in senso assolutorio della sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio, pur non essendo obbligato alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale, è tenuto a strutturare la motivazione della propria decisione in maniera particolarmente solida, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte: ex plurimis, Sez. 4, n. 24439 del 16/06/2021, Frigerio, Rv. 281404). Tuttavia le diverse conclusioni tratte devono essere censurate sia sul piano della valutazione del materiale probatorio, sia sul piano strettamente giuridico.
Sotto il primo profilo si deve osservare che la Corte, quanto alla presenza in azienda dei dispositivi di protezione individuale, non solo non ha tenuto conto delle dichiarazioni della persona offesa e delle affermazioni effettuate da D.D. nel corso del dialogo intercettato a sua insaputa, ritenendole in maniera non sufficientemente motivata, inattendibili, ma soprattutto ha invocato la testimonianza di altro lavoratore, E.E., il quale aveva sì affermato che i dispositivi di protezione erano presenti in azienda, ma aveva anche precisato che si trovavano in magazzino e che, solo dopo l'infortunio, erano stati loro consegnati.
Più in generale, sul piano della conformità delle conclusioni al diritto, la Corte non ha tenuto conto di alcuni fondamentali principi che presiedono alla materia della sicurezza sui luoghi di lavoro e alla salute del lavoratore. Ci si riferisce al principio per cui "il datore di lavoro deve vigilare per impedire l'instaurazione di prassi contra legem foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, ove si verifichi un incidente in conseguenza di una tale prassi instauratasi con il consenso del preposto, l'ignoranza del datore di lavoro non vale ad escluderne la colpa, integrando essa stessa la colpa per l'omessa vigilanza sul comportamento del preposto" (Sez. 4, n. 20092 del 19/01/2021, Zanetti, Rv. 281174; Sez. 4, n. 10123 del 15/01/2020, Chironna, Rv. 27860-01); al principio per cui "in tema di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, l'attività di formazione del lavoratore, alla quale è tenuto il datore di lavoro, non è esclusa dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro. L'apprendimento insorgente dal fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge" (Sez. 4, n. 21242 del 12/02/2014, Nogherot, Rv. 259219-01 e in senso conforme, ex multis, Sez. 4, n. 8163 del 13/02/2020, Lena, Rv. 278603; Sez. 4, n. 49593 del 14/06/2018, T. Rv. 274042).
Soprattutto la Corte di Appello, nel definire come eccentrica ed imprevedibile la condotta del lavoratore infortunatosi, non ha tenuto conto dei principi espressi dalla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia. Si è, infatti, affermato che è vero che a seguito dell'introduzione del D.Lgs. 626/94 e, poi, del T.U. 81/2008 si è passati dal principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" al concetto di "area di rischio" (Sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva: tuttavia, resta, in ogni caso fermo, il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (Sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, cit.). All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4 n. 15124 del 13712/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; Sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, PMT c/ Musso Paolo, Rv. 275017), oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4 n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222). La decisone della Corte d'appello anche in relazione a tale profilo non appare rispettosa dei principi esposti, in quanto il lavoratore si è infortunato mentre stava svolgendo una mansione lavorativa demandatagli: egli non ha attivato un rischio eccentrico, rispetto alla sfera governata dal titolare della posizione di garanzia, ma semmai il rischio tipico di quella sfera.
5. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata ai fini civili, con rinvio, per nuovo, giudizio, al giudice civile competente per valore in grado di appello, a cui deve essere demandata la regolamentazione delle spese fra le parti.
Si deve, infine, disporre l'oscuramento dei dati della persona offesa ai sensi dell'art. 52 D.Lgs. 196/03.