Considerato in diritto
1. Tutti i motivi di ricorso sono infondati.
2. Va premesso che ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., il sindacato del giudice di legittimità sul provvedimento impugnato deve essere volto a verificare: che la motivazione della pronuncia sia "effettiva" e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; non sia "manifestamente illogica", perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; non sia internamente "contraddittoria", sia quindi esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; non risulti fondata su argomenti logicamente "incompatibili" con «alt ri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame» in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Alla Corte di cassazione è preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Un tal modo di procedere, infatti, trasformerebbe la Corte da giudice di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto (tra tante: Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747).
Va rammentato, inoltre, che quando - come nel caso di specie - vi è concordanza tra i giudici del gravame e il giudice di primo grado nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo (dr. tra le tante: Sez. 2, n. 9106 del 12/ 02/ 2021, Caradonna, Rv. 280747; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019).
3. Dalla precisa ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza di primo grado si comprende che l'impianto di anodizzazione nel quale si verificò l'infortunio poteva funzionare secondo modalità automatiche o manuali. Nel primo caso, l'impianto era gestito a distanza da una sala di controllo; nel secondo caso, era gestito da un operatore presente sulla passerella principale. In caso di funzionamento automatico, i movimenti dei carroponti erano sincronizzati da un sistema informatico e non era prevista la presenza di lavoratori nell'area di operatività delle macchine. In caso di funzionamento manuale, invece, era necessaria la presenza di operatori nell'impianto. In questo secondo caso, si poteva scegliere se far operare i carroponti in modalità manuale affidando ad un operatore il compito di movimentarli tramite una pulsantiera o, invece, in modalità semiautomatica, nel qual caso l'operatore programmava sulla pulsantiera le modalità di funzionamento dei carroponti.
Non è controverso, perché risulta anche dal contenuto del ricorso, che, al momento dell'infortunio l'impianto funzionava in modalità manuale (secondo le sentenze di merito la modalità automatica non sarebbe mai stata utilizzata) e i carroponti funzionavano con modalità semiautomatica, dunque secondo un programma predisposto elettronicamente da un operatore e non immediatamente modificabile dall'operatore stesso. Non è controverso, inoltre, che R.A. sia stato schiacciato da un carroponte mentre si trovava su una passerella che correva parallelamente rispetto alle vasche di anodizzazione. Le sentenze di merito riferiscono (e anche il ricorrente sottolinea questa circostanza considerandola rilevante in chiave difensiva) che l'infortunato raggiunse la passerella percorrendo una scaletta che collega la zona di carico e scarico alla zona vasche e lo fece per osservare più da vicino il carroponte n. 7, sul quale doveva compiere un intervento di manutenzione. Come risulta dalle sentenze di merito (e come anche il ricorrente sottolinea), la scaletta in parola aveva sostituito una precedente scaletta a pioli. La scaletta non era (e non era mai stata) presidiata da un cancello: alla base, c'era una catenella in plastica con un cartello che indicava il divieto di accesso; al termine c'era un'altra catenella che (come precisato nella sentenza di primo grado) non era «dotata di lucchetto o altro presidio di sicurezza>>.
Le sentenze di merito chiariscono che, in corrispondenza del quadro di comando, i carroponti erano dotati di rilevatori di presenza (fotocellule a riflessione) e si bloccavano automaticamente se le fotocellule rilevavano la presenza di ostacoli in quell'area, ma nessun presidio analogo era stato previsto in corrispondenza delle passerelle che corrono parallelamente alle vasche, sicché la presenza di ostacoli sulle stesse non veniva rilevata e non determinava l'immediato arresto del carroponte in movimento. La sentenza di primo grado dà atto che, dopo l'infortunio, anche sulle passerelle furono inseriti rilevatori di presenza.
4. Muovendo da queste premesse in fatto, si deve convenire col ricorrente che l'infortunio non fu determinato dalla «improvvida decisione del G.F. di eliminare il cancelletto con la elettroserratura previsto dal costruttore e di sostituirla, di sua iniziativa, con quella scaletta» così determinando «una prassi secondo cui il manutentore avrebbe dovuto ottenere l'autorizzazione all'accesso da parte dell'ossidatore e questi, a sua volta, avrebbe bloccato il movimento dei carroponti» (così testualmente pag. 4 della motivazione della sentenza impugnata). Si deve osservare, però, che, già nella sentenza di primo grado, era stata esclusa la sussistenza di profili di colpa specifica riguardanti la modifica dei varchi di accesso alle passerelle sia con riferimento all'omessa predisposizione del sistema di blocco del cancelletto, sia con riferimento alla modifica delle scale di accesso alle passerelle (pag. 10 e 11 della motivazione), sicché la Corte di appello era chiamata a valutare solo una condotta omissiva consistita: in primo luogo, nel non aver adeguatamente valutato il rischio <<derivante dalle operazioni che necessitano l'esposizione dei lavoratori alle zone pericolose»; in secondo luogo nel non aver predisposto «protezioni fisse o mobili atte ad impedire l'accesso alle zone pericolose dell'impianto di ossidazione».
4.1. Le motivazioni con le quali tale condotta omissiva è stata ritenuta sussistente non possono essere ritenute incomplete, illogiche o contraddittorie.
Le sentenze di merito rilevano infatti:
- che R.A. si recò sulla passerella che corre parallelamente alle vasche per svolgere attività di manutenzione e proprio per questo era stato assunto (faceva parte, infatti, del reparto manutenzione);
- che il cartello apposto sulla catenella che dava accesso alla scala inibiva l'ingresso ai non addetti ai lavori e, pertanto, indicava un divieto non rivolto ai manutentori;
- che l'impianto avrebbe potuto funzionare completamente in automatico senza la presenza di operatori e, per decisione di G.F., questa modalità operativa non fu mai utilizzata dall'impresa;
- che le catenelle poste all'inizio e alla fine della scala erano facilmente amovibili.
Quanto alle informazioni ricevute dall'infortunato in ordine alla necessità di avvisare il caporeparto prima di accedere alle passerelle, la sentenza di primo grado dà atto dell'esistenza di una regola non scritta, ma comunicata verbalmente a tutti i dipendenti, secondo la quale, prima di accedere alle scale - e da lì alle passerelle - il manutentore avrebbe dovuto avvisare l'ossidatore di turno per farsi indicare i tempi e le modalità dell'accesso. Ritiene, tuttavia, che la previsione di tale modalità operativa non fosse adeguata a fini di sicurezza perché avrebbe dovuto essere accompagnata dalla previsione di dispositivi idonei a impedire l'accesso alle passerelle in assenza di autorizzazione o, comunque, di dispositivi atti a bloccare il funzionamento dei carroponti in presenza di operatori sulle passerelle. Sottolinea inoltre: che nel documento di valutazione del rischio era contemplato, quale rischio specifico per i manutentori, quello di schiacciamento da parti in movimento dell'impianto; che, per prevenirlo, il DVR prevedeva la predisposizione di dispositivi di sicurezza e il «controllo sulla loro non rimozione o elusione»; che, in concreto, tale controllo non fu attuato perché le catenelle poste alla base e al termine della scala che R.A. utilizzò per raggiungere la passerella non erano dotate di lucchetti o altri presidi di sicurezza. Osserva che «il datore di lavoro non aveva previsto il pericolo derivante dal movimento dei carroponti in funzione semi-automatica [...], omettendo di installare presidi di sicurezza idonei a consentirne l'arresto» in presenza di ostacoli sulle passerelle.
Nel richiamare queste argomentazioni, la Corte territoriale sottolinea che l'ostacolo rappresentato dalla catenella era, nella sostanza, «inesistente» e che «la necessità dell'autorizzazione non era stata neppure formalizzata». Aggiunge poi - richiamando in proposito dichiarazioni testimoniali - che, nel caso di specie, l'accesso del manutentore era stato preannunciato all'ossidatore, il quale sapeva che un manutentore avrebbe dovuto recarsi sulla passerella per controllare una anomalia nel funzionamento di un carroponte. Ritiene che tali circostanze obiettive confermino «la pericolosità [...] della prassi adottata e dell'incertezza operativa che la stessa, neppure adeguatamente formalizzata, determinava tra gli operatori».
4.2. Si tratta di argomentazioni conformi ai principi di diritto più volte affermati da questa Corte di legittimità secondo la quale l'obbligo del datore di lavoro di vigilare sull'esatta osservanza, da parte dei lavoratori, delle prescrizioni volte alla tutela della loro sicurezza, può ritenersi assolto soltanto in caso di predisposizione e attuazione di un sistema di controllo effettivo e adeguato al caso concreto (Sez. 4, n. 35858 del 14/09/2021, Tamellini, Rv. 281855; Sez. 4, n. 12297 del 06/10/1995, Villa, Rv. 203135) .
5. Con specifico riferimento all'ipotizzato concorso di colpa del costruttore - che ha certificato la conformità dell'impianto alla normativa CE e ha indicato le procedure da seguire per accedere alle passerelle nel caso in cui l'impianto fosse azionato manualmente - la sentenza impugnata rileva:
- che il rischio derivante dai movimenti degli organi meccanici non era un vizio occulto essendo visibile a tutti che la gamba del carroponte in movimento giungeva oltre la passerella fino al bordo della vasca e poteva investire una persona che vi si trovasse;
- che non si può parlare di un vizio occulto - e, di conseguenza, la colpa del datore di lavoro non può essere esclusa - sol perché i tecnici della prevenzione, che avevano eseguito sopralluoghi nell'impianto, non avevano rilevato anomalie, atteso che l'ispezione eseguita si era limitata a una verifica del corretto funzionamento delle gru.
Si deve ricordare allora che l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare un determinato impianto grava sul datore di lavoro e a questa regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo o di un vizio di progettazione o costruzione di una macchina o di un impianto, sia reso impossibile per le speciali caratteristiche del vizio, della macchina o dell'impianto (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 22249 del 14/03/2014, Enne, Rv. 259229; Sez. 4, n. 1184 del 03/10/2018, dep. 2019, Motta Pelli, Rv. 275114; Sez. 4, n. 41147 del 27/10/2021, Favaretto, Rv. 282065): una situazione non ravvisabile nel caso di specie, atteso che il rischio da schiacciamento era stato espressamente contemplato per i lavoratori addetti alla manutenzione nel documento di valutazione del rischio e una direttiva non scritta stabiliva la necessità di informare il caporeparto prima di accedere alle passerelle.
6. La sentenza impugnata esclude il concorso di colpa del lavoratore quando sottolinea che, in concreto, l'accesso del manutentore alla passerella era stato preannunciato all'ossidatore e che la necessità di chiedere un'autorizzazione per poter accedere alla passerella «non era stata neppure adeguatamente formalizzata>>. La motivazione non è incongrua né manifestamente illogica ed è conforme ai principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza di legittimità secondo i quali il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, può essere considerato espressione di un «rischio eccentrico» idoneo ad escludere la responsabilità del datore di lavoro, solo se questi ha posto in essere anche le cautele finalizzate alla disciplina e al governo del rischio di comportamento imprudente (cfr. Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242). Ne consegue che, qualora il comportamento negligente del lavoratore infortunato abbia dato occasione all'evento, ma l'evento sia da ricondurre comunque all'insufficienza di cautele la cui adozione avrebbe neutralizzato il rischio derivante dal comportamento imprudente, la responsabilità del datore di lavoro non viene meno (Cfr. Sez. 4, n. 7364 del 14/01/2014, Scarselli, Rv. 259321).
7. All'infondatezza del primo e secondo motivo di ricorso consegue l'infondatezza del terzo motivo nel quale il ricorrente sostiene che, essendo stato l'evento determinato da un'erronea valutazione del costruttore (che certificò la conformità dell'impianto e indicò le procedure da seguire per accedervi) e dal comportamento imprudente del lavoratore (che raggiunse la passerella senza essere stato autorizzato a farlo), le attenuanti generiche e l'attenuante di cui all'art. 62 n 4 cod. pen. avrebbero dovuto essere valutate prevalenti sulle aggravanti. Le ragioni per le quali il giudizio di comparazione è stato eseguito in termini di equivalenza, infatti, appaiono congruamente motivate e, per giurisprudenza costante, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti sono censurabili in cassazione soltanto nell'ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 46343 del 26/10/2016, Montesano, Rv. 268473; Sez. 2, n. 4357 del 01/12/1981, Piemonti, Rv. 153425).
8. Col quarto e ultimo motivo, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale non ha ritenuto di ridurre la pena inflitta in primo grado e sostiene che tale decisione sarebbe stata adottata perché si è erroneamente ritenuto che G.F. avesse eliminato il cancelletto con elettroserratura previsto dal costruttore e avesse facilitato l'accesso alla passerella rendendolo possibile tramite una scaletta.
Tali doglianze sono manifestamente infondate come emerge dalla lettura della sentenza impugnata, che ritiene adeguata la pena inflitta in primo grado - oltre che per la gravità del reato commesso - perché G.F. decise di non adottare mai la modalità automatica di funzionamento dell'impianto ed è gravato da un precedente specifico.
9. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.