Diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Invero, si osserva, in primo luogo, che in sede di rinvio, la Corte territoriale era tenuta a valutare "la sussistenza della responsabilità degli imputati, anche in relazione all'ipotesi ricostruttiva che il traumatismo mortale sia stato determinato dall'errata manovra della benna, ciò per l'omesso rispetto delle norme che vietano l'interferenza tra operai ed escavatore durante l'attività operativa di quest'ultimo macchinario".
In ogni caso, per costante giurisprudenza di questa Corte, va ribadito che il direttore dei lavori nominato dal committente è responsabile dell'infortunio sul lavoro quando gli viene affidato il compito di sovrintendere all'esecuzione dei lavori, con la possibilità di impartire ordini alle maestranze sia per convenzione, cioè per una particolare clausola introdotta nel contratto di appalto, sia quando per fatti concludenti risulti che egli si sia in concreto ingerito nell'organizzazione del lavoro (Sez. 4, n. 49462 del 26/03/2003 - dep. 31/12/2003, Viscovo, Rv. 227070; Sez. 4, n. 1559 del 26/11/1993 - dep. 08/02/1994, Disca, Rv. 197086).
Invero, premesso che l'infortunio ebbe a verificarsi per l'omessa adozione delle misure antinfortunistiche previste dall'art. 12 d.P.R. n. 164 del 1956, non può sostenersi che il E.G.G., quale direttore dei lavori del cantiere, non assumesse una posizione di garanzia rispetto alla sicurezza del luogo di lavoro e non fosse destinatario al pari dell'appaltatore e del subappaltatore, delle norme antinfortunistiche e, in particolare, di quella appena indicata. Contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, egli è fra i soggetti penalmente responsabili della mancata attuazione delle misure antinfortunistiche e ciò ai sensi dell'art. 3 del d.P.R. n. 164 del 1956 che richiama gli artt. 4, 5 e 6 del d.P.R. n. 547 del 1955. Peraltro, come ammesso dalle stesso ricorrente, egli era stato nominato direttore del cantiere (si veda anche la produzione fotografica in atti effigiante la fotografia dei dati relativi all'appalto, in cui, appunto il "direttore di cantiere" è in indicato nel "geom. E.G.G.") e, in ogni caso, vale il principio dell'effettività delle mansioni e, a dimostrazione che l'incarico svolto dal E.G.G. non fosse né saltuario, né occasionale, depone il fatto che egli, come accertato nella sentenza della Corte d'appello di Salerno del 3 ottobre 2011, accorse immediatamente sul luogo dell'infortunio, a riprova che alla qualifica formale corrispondevano i poteri ad essa connessi.
La responsabilità dell'evento è riconducibile, quindi, alle condotte omissive dell'appaltatore, del subappaltatore e anche del direttore del cantiere, per il principio della responsabilità concorsuale, e non alternativa, tra di loro delle diverse posizioni di garanzia.
3. Il secondo motivo è inammissibile in tutti i suoi profili.
3.1. Quanto alla ricostruzione delle cause dell'infortunio mortale, secondo quanto accertato dalla sentenza impugnata con apprezzamento fattuale logicamente argomentato e aderente alle emergenze processuali, il decesso del V.G. fu provocato da un colpo inferto dalla benna dell'escavatore del D.P., il quale stava effettuando la realizzazione di una trincea per il posizionamento di tubature. E difatti, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale sulla scorta degli esiti della consulenza medico-legale: la morte dell'operaio sopraggiunse per un'imponente e irrefrenabile emorragia, determinata dalla lacerazione del fegato e dallo spappolamento del rene destro; le lesioni riscontrate interessano la regione anteriore destra ed erano del tutto compatibili con l'azione esercitata dalla benna dell'escavatrice, corpo contundente di notevole forza cinetica, manovrato dall'operaio D.P.. Al cospetto di tale motivazione, il ricorrente pretende una diversa spiegazione degli accadimenti, che non è ammissibile in sede di legittimità.
3.2. Quanto, poi, all'interpretazione dell'art. 118, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008 (secondo cui "nei lavori di escavazione con mezzi meccanici deve essere vietata la presenza degli operai nel campo di azione dell'escavatore e sul ciglio del fronte di attacco"), va osservato che la Corte di cassazione, in sede di annullamento con rinvio, ne ha fornito una chiara interpretazione, vincolante per il giudice del rinvio, precisando che, come si è detto, "la violazione di tale obbligo è stata più volte fonte di affermazione di responsabilità di coloro che erano tenuti all'attuazione e controllo delle misure di sicurezza". Uniformandosi a tale principio, la Corte territoriale ha accertato che il ricorrente, unitamente agli altri imputati nelle qualità loro rispettivamente ascritte, non adottò alcuna misura idonea ad evitare che l'operaio V.G. lavorasse al di fuori della sfera di operatività della benna, e, quindi, in una zona immune dalla pericolosa interferenza con il mezzo meccanico. La Corte, infine, ha parimenti escluso che la vittima avesse posto in essere, nell'espletamento delle proprie mansioni, un comportamento imprevedibile, eccezionale o abnorme, tale, quindi, da spezzare il nesso eziologico tra la condotta colposa dell'imputato e il verificarsi dell'evento lesivo.
4. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Al proposito, è sufficiente richiamare, ancora una volta, quanto già affermato dalla sentenza resa da questa Corte in sede di annullamento con rinvio, laddove ha dato continuità al costante orientamento di legittimità secondo cui "per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Cass. Sez. Un., Sentenza n. 36551 del 15/07/2010, dep. 13/10/2010, Rv. 248051).
Alla luce di tale principio, la Corte, nel caso di specie, ha affermato che "valutare la sussistenza della responsabilità degli imputati sulla base di una diversa ricostruzione del fatto, rispetto a quella contenuta nel capo di imputazione, non costituisce violazione del principio di correlazione, soprattutto quando, come nel caso che ci occupa, la causalità alternativa è stata introdotta come argomento difensivo per escludere la responsabilità degli imputati secondo la originaria imputazione". Il motivo, riproposto in questa sede, è perciò inammissibile.
5. Si osserva, infine, che il reato non è prescritto.
Invero, poiché il fatto è stato commesso il 06/06/2000, il termine massimo di prescrizione, pari a quindici anni, cui devono sommarsi 162 giorni di sospensione (dal 23/10/2015 al 25/11/2015, pari a 33 giorni, per rinvio su istanza della difesa, dal 25/11/2015 al 02/02/2016, pari a 69 giorni, per rinvio su istanza della difesa, dal 01/03/2005 al 29/11/2005, pari a 60 giorni, per legittimo impedimento del difensore), è maturato il 15/11/2015, e quindi prima della sentenza impugnata.
Va chiarito che nessuna efficacia può esplicare la rinuncia alla prescrizione espressa dall'imputato in data 23/10/2015, in quanto, a quella data, non era ancora decorsa; invero, per pacifica giurisprudenza, la rinunzia dell'imputato alla prescrizione è inefficace se il termine di prescrizione non è ancora maturato al momento della rinunzia medesima (da ultimo cfr. Sez. 4, n. 48272 del 26/09/2017 - dep. 19/10/2017, Comat Srl e altri, Rv. 271292).
Nondimeno, va rilevato che l'inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d'ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609, comma 2, cod. proc. pen., l'estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso (per tutti, Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 - dep. 25/03/2016, Ricci, Rv. 266818), come è. avvenuto nel caso di specie.
6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in
dispositivo; consegue, altresì, la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili D.G. e F.G. nella misura liquidata in dispositivo.