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Legambiente - Liberi dall’Amianto?

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Legaambiente liberi dall amianto

Legambiente - Liberi dall’Amianto?

I ritardi dei piani regionali, delle bonifiche e delle alternative alle discariche

Roma, 28 marzo 2018

Ad oltre venti anni dalla L. 257/1992 che ha previsto la cessazione dell’impiego dell’amianto sull’intero territorio nazionale, oggi il tema degli effetti sulla salute dell’inalazione di fibre aerodisperse e della prevenzione dei rischi è ancora al centro dell’attenzione della comunità scientifica, dell’opinione pubblica e delle autorità. Le ragioni sono da ricercarsi nella dimensione numerica degli esposti prima del provvedimento di bando (che per l’Italia è amplissima), nella drammaticità del quadro clinico e delle prospettive di vita (in termini di sopravvivenza e in termini di qualità fisica, psicologica e relazionale) degli ammalati e della specificità delle caratteristiche eziopatologiche (che per il mesotelioma sono notoriamente l’assenza di
un livello di dose inalata associabile ad un rischio nullo, la robustezza della relazione dose-risposta e la latenza estremamente lunga dall’inizio dell’esposizione).

Con queste parole si apre il V rapporto del Registro Nazionale dei mesoteliomi (ReNaM), redatto nel 2015 dall’Inail. E non poteva essere altrimenti visti i 3,7 milioni di tonnellate di amianto grezzo prodotte in Italia tra il 1945 e il 1992 e 1,9 milioni di tonnellate importate nello stesso periodo.

Numeri e quantità che si traducono, a distanza di 26 anni dalla messa la bando dell’amianto nel nostro Paese, in 21.463 casi di mesotelioma maligno diagnosticati tra il 1993 e il 2012, di cui il 93% dei casi a carico della pleura e il 6,5% (1.392 casi)
peritoneali, e oltre 6mila morti all’anno.

In occasione della giornata mondiale delle vittime dell’amianto del 28 Aprile, Legambiente ribadisce l’urgenza e la necessità improrogabile per il nostro Paese di agire attraverso una concreta azione di risanamento e bonifica del territorio, che passa attraverso la rimozione dell’amianto dai numerosi siti industriali, edifici pubblici e privati che ci circondano quotidianamente e che ci rendono ancora oggi inconsapevolmente esposti alla fibra killer.

Per raggiungere questo ambizioso quanto necessario obiettivo Legambiente ha deciso di continuare la sua lotta contro l’amianto aggiornando le informazioni sulle attività che le Regioni stanno mettendo in campo, con grandi difficoltà e con enormi ritardi - visto che sono passati oltre 26 anni dalla Legge che ha messo al bando la pericolosa fibra - per risolvere il problema.

Come negli anni precedenti è stato inviato un questionario agli uffici competenti sul territorio regionale, per conoscere lo stato dell’arte dei Piani Regionali Amianto che sono il primo strumento necessario per capire l’entità del problema nel nostro Paese e le conseguenti risorse economiche, ma non solo, necessarie da mettere in campo. Le informazioni ottenute mostrano ancora una volta un quadro allarmante, per disomogeneità di conoscenze e informazioni a livello territoriale, ritardo nell’adempimento degli obblighi di legge, mancanza di bonifiche, impiantistica e campagne di informazione e sensibilizzazione ai cittadini. Questa le conclusioni e la triste sintesi alla luce della nostra inchiesta.

L’INCHIESTA DI LEGAMBIENTE

Il Piano Regionale Amianto ancora non è stato approvato in tutte le Regioni (dopo 26 anni dalla Legge 257 che prevedeva la loro pubblicazione entro 180 dall’entrata in vigore della stessa): mancano ancora all’appello il Lazio e la provincia Autonoma di Trento mentre resta indefinita la situazione in Abruzzo, Calabria e Molise che non hanno risposto al questionario nel 2018 e nell’edizione precedente (del 2015) avevano dichiarato di non averlo ancora approvato.

Il censimento è stato fatto in sei 6 delle 15 Regioni (il 40%), pur con qualche specifica o limitazione, mentre le restanti 9 Regioni hanno dichiarato di avere ancora in corso la procedura di censimento del territorio: Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Puglia, Sardegna, Sicilia, Veneto e nella Provincia Autonoma di Bolzano.

Seppur ancora parziale, in tutto risultano censite oltre 370mila strutture nel territorio nazionale per un totale di quasi 58milioni di metri quadrati di coperture in cemento amianto; numeri decisamente in crescita rispetto all’indagine del 2015 (rispettivamente +62% e +469%) a dimostrazione di quanto l’entità e la presenza di amianto in Italia sia stata fino ad oggi largamente sottostimata e di come l’avanzamento delle attività di censimento, seppur a rilento, sia fondamentale per conoscere esattamente lo stato dell’arte nel nostro Paese.

Di queste 370 mila strutture censite dalle regioni, 20.296 sono siti industriali (quasi il triplo rispetto all’indagine del 2015 che ne riportava solamente 6.913), 50.744 sono edifici pubblici (+10% rispetto al 2015%), 214.469 sono edifici privati (+50% rispetto al 2015%), 65.593 le coperture in cemento amianto (+95% rispetto al 2015%) e 18.945 altra tipologia di siti (dieci volte di quanto censiti nel 2015).

La mappatura dell’amianto, il secondo step previsto dalla legge 257/92, è stata realizzata da 7 le amministrazioni (Campania, Emilia Romagna, Marche, Puglia, Sardegna, Valle d’Aosta e Provincia Autonoma di Trento); è ancora in corso in Basilicata, nella provincia autonoma di Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Sicilia e Veneto. Non risulta fatto nel Lazio. Stando ai dati forniti nel 2015, la mappatura risulterebbe completata anche in Liguria, Lombardia, Molise Toscana e Umbria mentre era in ancora in corso in Calabria. Non risultano dati per l’Abruzzo.

Attualmente la Banca Dati Amianto coordinata dal ministero dell’Ambiente riporta 86.000 siti mappati su tutto il territorio nazionale; le risposte pervenute dalle regioni che hanno partecipato all’indagine di Legambiente riportano 66.087 siti mappati per un totale di oltre 36,5 milioni di metri quadrati di coperture (la differenza è dovuta alla mancata risposta da parte di alcune amministrazioni). Ma se fino a tre anni fa erano stati individuati oltre 300 siti in classe di priorità 1, ovvero a maggior rischio, su cui avviare da subito le azioni di risanamento, i risultati della nostra indagine fotografano invece una realtà molto più allarmante: sono infatti saliti a 1.195 i siti ricadenti in I Classe (triplicati quindi nei tre anni di aggiornamento dei dati) e a 12.995 quelli in II Classe (8.214 in Piemonte e 1.357 nelle Marche).

A rilento le attività di bonifica dei siti, l’unica attività in grado di mettere in sicurezza la salute delle persone che abitano o lavorano in ambienti contaminati: 6.869 sono infatti gli edifici pubblici e privati bonificati, più o meno gli stessi indicati nel 2015 (nel 2015 erano 27.020 di cui 22.075 solo in Lombardia che, però, non ha fornito il dato in questo aggiornamento del 2018). Numeri impietosi, quelli delle bonifiche, che si riflettono sulle quantità di materiali smaltite in discarica nel 2015 (fonte Ispra): 369mila tonnellate di rifiuti contenenti amianto prodotti (71% al Nord, 18,4 al Centro e 10,6 al Sud), di cui 227mila tonnellate smaltiti in discarica e 145mila tonnellate esportati nelle miniere dismesse della Germania a fronte di quasi 40 milioni di tonnellate di amianto presenti sul territorio.

E non sono assolutamente sufficienti gli impianti di smaltimento presenti e previsti sul nostro territorio: le regioni dotate di almeno un impianto specifico per l’amianto sono solamente 8 (erano 11 fino a tre anni fa) per un totale di 18 impianti (in Sardegna e Piemonte ce ne sono 4 - di cui uno per le sole attività legate al SIN di Casale Monferrato in Piemonte - 3 in Lombardia – di cui 1 attivo e due autorizzati ma non ancora in esercizio - 2 in Basilicata ed Emilia Romagna, 1 solo l’impianto esistente in Friuli Venezia Giulia, Puglia e nella Provincia Autonoma di Bolzano – che non riceve più materiali dal 2014).

Le volumetrie residue comunicate con i questionari sono pari a 2,7 milioni di metri cubi (un terzo in meno rispetto ai 4,1 milioni di mc del 2015) e sarebbero a malapena sufficienti a smaltire i soli quantitativi già previsti, ad esempio, dal Piano Regionale della Regione Piemonte che stima in 2 milioni di metri cubi i quantitativi delle coperture in cemento amianto ancora da bonificare.

Il piano nazionale amianto

Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Ambiente (aggiornati a novembre 2017), che ha ricevuto l’incarico di realizzare, di concerto con le Regioni, la mappatura completa della presenza di amianto sul territorio nazionale (il cosiddetto Piano Nazionale Amianto), in Italia ci sono circa 86.000 siti interessati dalla presenza di amianto, di cui 7.669 risultano bonificati e 1.778 parzialmente bonificati. Tra questi siti rientrano anche i 779 impianti industriali (attivi o dismessi) censiti (l’aggiornamento in questo caso è risalente al giugno 2014) e i 10 SIN (siti di Interesse Nazionale da bonificare) che presentano problemi connessi al rischio amianto.

Numeri che lo stesso Ministero dell’Ambiente ritiene essere sottostimati, in quanto i dati raccolti dalle Regioni – che hanno utilizzato criteri non omogenei nella raccolta dei dati - non consentono ancora una copertura omogenea del territorio nazionale.

Difficoltà quindi ad avere un quadro esaustivo a livello nazionale non solo per la disomogeneità dei dati raccolti (nonostante “le modalità di esecuzione della mappatura sono state concordate e definite a livello nazionale con le stesse regioni e province autonome che hanno creato un apposito Gruppo Interregionale Sanità ed Ambiente”) ma anche in virtù del fatto che non tutte le Regioni forniscono regolarmente l’aggiornamento annuale dei dati sul censimento e sulla mappatura come invece prevede obbligatoriamente la legge (il termine stabilito è il 30 giugno di ogni anno).

Uno degli obiettivi del Piano nazionale Amianto era anche arrivare ad una razionalizzazione della normativa di settore; tale obiettivo era effettivamente una delle priorità in quanto in oltre 20 anni di produzione normativa, si era giunti ad una situazione ingarbugliata e spesso contraddittoria tra norma e norma, tanto da non rendere agevole e di facile interpretazione la procedura sia per il legislatore che per gli utenti.

In questa direzione di armonizzazione e semplificazione era volta la stesura del “Testo Unico per il riordino, il coordinamento e l'integrazione di tutta la normativa in  materia di amianto”, presentata nel novembre del 2016 al Senato, e realizzato dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno degli infortuni e delle malattie professionali. Il provvedimento, che prevede 128 articoli suddivisi in otto titoli che toccano diverse materie (dall'ambiente alla sicurezza del lavoro, dallo sviluppo alla giustizia, dalla tutela della sicurezza sul lavoro alla tutela della salute collettiva) prevede delle novità rispetto al passato, come “l’obbligo di denuncia e di bonifica, esteso a tutti gli edifici, compresi quelli privati” per poter garantire una mappatura affidabile da parte di Regioni e Asl, oppure l'obbligo di “trasmissione da parte del medico e dell'Asl ai Centri operativi regionali (Cor) delle informazioni relative ai pazienti, in caso di accertamento della malattia” con la finalità di avere un registro tumori presso l'Inail (ReNaM) in continua evoluzione e aggiornamento. Altra novità prevista l’istituzione di una Agenzia Nazionale Amianto che dovrebbe diventare il punto di riferimento generale per i molteplici settori che riguardano l’amianto.

Il Testo Unico è al momento ancora fermo in Senato. In questa fase sarebbe opportuno intervenire per migliorarlo in molti aspetti e contenuti:

- quello relativo al “rischio zero”, ovvero che venga stabilito “a tavolino” un limite di concentrazione per i diversi tipi di impiego sotto il quale è ritenuto nullo il rischio mentre sarebbe da intendere come possibile valore che segnala la pericolosità dell’amianto per le persone esposte in quell’ambiente;
- nello stabilire il superamento dei termini di prescrizione per questo tipo di reati legati alla tutela della salute;
- nel superare il conflitto di interessi esistente a carico dell’Inail che è nello stesso tempo ente riconoscitore della correlazione e ente risarcitore;
- nell’affrontare il problema della presenza dell’amianto nelle acque, visto il largo utilizzo del minerale nelle condutture idriche ancora in attività in larga parte del Paese;
- nello stabilire procedure uniche per la definizione dello stato di degrado delle coperture in c.a. vista la differenza di valutazione applicata da regione a regione;
- uniformando il prezziario per gli interventi di bonifica sul territorio;
- prevedendo e incentivando l’attivazione della “micro raccolta” (esperienza già adottata da numerosi comuni) che, coinvolgendo le Aziende Municipalizzate per la raccolta dei RSU, vada incontro alle necessità di privati cittadini per lo smaltimento di limitate quantità di materiali contenenti amianto, limitando così anche il diffondersi di pratiche di abbandono incontrollato di rifiuti.

Sarebbero ancora molte le voci in cui poter intervenire o gli argomenti da introdurre nel Testo Unico, così come sarebbero ulteriormente da incentivare le attività di sostituzione delle coperture in amianto con pannelli fotovoltaici, come già avvenuto in passato, che avevano dato dei buoni risultati e visto la partecipazione di numerose imprese e privati.

_________

Sommario
PREMESSA
I RITARDI DELLE REGIONI ALLA SFIDA DELL’AMIANTO
1.1 I PIANI REGIONALI AMIANTO (PRA)
1.2 CENSIMENTO E MAPPATURA
1.3 STATO DI AVANZAMENTO DELLE BONIFICHE SUL TERRITORIO REGIONALE
1.4 MONITORAGGIO
1.5 IMPIANTI DI SMALTIMENTO
1.6 COSTI E INCENTIVI
1.7 FORMAZIONE E INFORMAZIONE
2 GLI ASPETTI SANITARI DELL’AMIANTO IN ITALIA
3 RELAZIONE TECNICA SULLO STATO ATTUALE DELLE TECNOLOGIE ESISTENTI PER L’INERTIZZAZIONE DELL’AMIANTO
3.1 INTRODUZIONE DELLE TECNOLOGIE ESISTENTI
3.2 TRATTAMENTI TERMICI
3.2.1 Trattamenti termici semplici
3.2.2 Trattamenti termici con ricristallizzazione controllata
3.2.3 Trattamenti termici in presenza di altri materiali inorganici
3.2.4 Trattamenti con microonde
3.3 TRATTAMENTI CHIMICI
3.3.1 Trattamenti chimici classici (subcritici)
3.3.3 Trattamento con agenti riducenti
3.4 TRATTAMENTI MECCANOCHIMICI
3.5 CONFRONTO TRA LE MACROCATEGORIE
3.6 CONCLUSIONI
Bibliografia

Fonte: Legambiente

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