CONSIDERATO IN DIRITTO3. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
4. E' anzitutto affetto da genericità per aspecificità, in quanto non si confronta con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata che confutano in maniera puntuale e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi motivazionali le identiche doglianze difensive svolte nel motivo di appello (che, vengono, per così dire "replicate" in questa sede di legittimità senza alcun apprezzabile elementi di novità critica), esponendosi quindi al giudizio di inammissibilità.
Ed invero, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
5. Lo stesso è inoltre da ritenersi manifestamente infondato, atteso che la Corte d'appello ha, con motivazione adeguata e del tutto immune dai denunciati vizi, spiegato le ragioni per le quali ha disatteso le identiche doglianze difensive esposte nei motivi di impugnazione.
6. Quanto al primo motivo, i giudici respingono l'eccezione di nullità del d.c. a giudizio per presunta violazione del combinato disposto degli artt. 521, co. 2 e 522, c.p.p., rilevando come dalla lettura della contestazione, oggetto di modifica da parte del Pm all'ud. 27.10.2015, risulta chiaramente che all'imputata era stata contestata la modifica della destinazione d'uso del locale sottotetto, mediante la trasformazione dello stesso in unità abitativa attraverso l'abbassamento del piano di calpestio e la predisposizione di impianti idraulici ed elettrici; da qui, il rigetto dell'eccezione escludendosi qualsiasi genericità od indeterminatezza nella descrizione delle condotte contestate.
Si tratta di motivazione del tutto immune dai denunciati vizi, laddove si consideri che la modifica dell'imputazione di cui all'art.516 cod.proc.pen. presuppone un fatto in relazione al quale le emergenze dibattimentali rendano necessaria soltanto una puntualizzazione della ricostruzione degli elementi essenziali del reato o dei suoi riferimenti spazio-temporali. La nozione di fatto "diverso", adottata nella citata norma, deve essere intesa in senso materiale e naturalistico, con riferimento non solo al fatto storico che, pur integrando una diversa imputazione, resti invariato, ma anche al fatto che abbia connotati materiali parzialmente difformi da quelli descritti nel decreto che dispone il giudizio; mentre la locuzione "fatto nuovo
non enunciato nel decreto che dispone il giudizio", di cui al successivo art.518, concerne un accadimento del tutto difforme ed autonomo, per le modalità essenziali dell'azione o per l'evento, rispetto a quello originariamente contestato.
Orbene, alla luce delle emergenze processuali, è evidente che la modifica dell'imputazione operata dal Pm all'ud. 27.10.2015 avesse l'effetto di descrivere più puntualmente il fatto "diverso" nell'accezione indicata dall'art. 516, c.p.p., ossia un fatto che aveva connotati materiali parzialmente difformi da quelli descritti nel decreto che dispone il giudizio, in cui era stato contestato il medesimo reato consistente nella realizzazione di opere edilizie illegittime e nella modifica della destinazione d'uso del locale sottotetto. A ciò, peraltro va aggiunto che ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all'art. 521 cod. proc. pen. deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione (v., tra le tante: Sez. 3, n. 15655 del 27/02/2008 - dep. 16/04/2008, Fontanesi, Rv. 239866).
E, nel caso di specie, proprio analizzando quanto emergente dalla sentenza di primo grado, il reato edilizio , sub specie di modifica della destinazione d'uso, viene esplicitamente collegato ad una condotta individuata specificatamente nel rendere fruibile il locale sottotetto dell'immobile suddetto, attraverso, tra l'altro, l'abbassamento del piano di calpestio e la predisposizione di impianti elettrici, donde nessuna indeterminatezza era rilevabile, così scongiurandosi il rischio di lesione dei diritto di difesa.
7. Quanto al secondo ed al terzo motivo, che, attesa l'omogeneità dei profili di doglianza, meritano congiunta trattazione, gli stessi appalesano parimenti inammissibili.
Ed invero, quanto alla necessità del p.d.c. in relazione al mutamento della destinazione d'uso del sottotetto per finalità abitative, correttamente i giudici di appello richiamano la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui la destinazione abitativa di un sottotetto, che secondo gli strumenti urbanistici aveva soltanto una funzione tecnica, costituisce mutamento di destinazione d'uso per il quale è necessario il rilascio preventivo del permesso di costruire, atteso che la variazione avviene tra categorie non omogenee (in termini: Sez. 3, n. 17359 del 08/03/2007 - dep. 08/05/2007, P.M. in proc. Vazza, Rv. 236493). Sul punto non esplica alcun rilievo l'intervenuta modifica normativa operata dal d.l. n. 133 del 2014, essendo stato affermato da questa Corte che in tema di reati urbanistici, il mutamento di destinazione d'uso di un immobile previa esecuzione di opere edilizie, senza il preventivo rilascio del permesso di costruire, integra il reato di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, essendo irrilevanti le modifiche apportate dall'art. 17 del D.L. n. 133 del 2014 (conv. in legge n. 164 del 2014) all'art. 3 del citato d.P.R. che, nell'estendere la categoria degli interventi di manutenzione straordinaria al frazionamento o accorpamento di unità immobiliari con esecuzione di opere, se comportante variazione di superficie o del carico urbanistico, richiede comunque che rimangano immutate la volumetria complessiva e la originaria destinazione d'uso (in termini: Sez. 3, n. 3953 del 16/10/2014 - dep. 28/01/2015, Statuto, Rv. 262018). Nello stesso senso la giurisprudenza amministrativa, secondo il cui costante orientamento giurisprudenziale (TAR Napoli n. 3490/2015 e n. 4132/2013; Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza n. 175/2015 e n. 1512/2014; Consiglio di giustizia amministrativa, sentenza n. 207/2014), per l'identificazione dei volumi tecnici va fatto riferimento a tre ordini di parametri. Il primo ha carattere positivo ed è di tipo funzionale, dovendo sussistere un rapporto di strumentalità necessaria del volume tecnico con l'utilizzo della costruzione; il secondo e il terzo hanno carattere negativo e sono collegati: all'impossibilità di elaborare soluzioni progettuali diverse all'interno della parte abitativa, per cui tali volumi devono essere ubicati solo all'esterno; ad un rapporto di necessaria proporzionalità fra le esigenze edilizie ed i volumi, che devono limitarsi a contenere gli impianti serventi della costruzione principale e devono essere completamente privi di una propria autonomia funzionale, anche solo potenziale. È stato in particolare escluso che possa considerarsi volume tecnico un locale con requisiti di abitabilità, reso non abitabile con una semplice operazione di tamponamento delle finestre, essendo questa "una operazione in sé talmente semplice, reversibile e surrettizia da non privare l'ambiente della sua intrinseca qualità abitativa" (Consiglio di Stato, sezione VI, n. 2825/2014). Come pure è stato ritenuto che la
realizzazione di un locale sottotetto con vani distinti e comunicanti con il piano sottostante mediante una scala interna, costituisse "indice rilevatore dell'intento di rendere abitabile detto locale, non potendosi considerare volumi tecnici i vani in esso ricavati" (Consiglio di giustizia amministrativa siciliana, sentenza n. 207/2014; Consiglio di stato, sezione IV, sentenza n. 3666/2013; Tar PugliaLecce, sezione III, n. 2170/2011).
8.
E, nella specie, è la stessa ricorrente a riconoscere nella propria impugnazione (pag. 5) che i due corpi di fabbrica sono tra loro collegati da una botola, ciò che, unitamente agli altri elementi individuati dai giudici di merito, rendeva evidente la finalità abitativa del locale sottotetto; quanto infatti al presunto vizio motivazionale sul punto, le censure della ricorrente sono del tutto prive di pregio, non tenendo conto della puntuale motivazione dei giudici di appello che pervengono all'affermazione della responsabilità dell'imputata, riconoscendo la sussistenza della contestata modifica della destinazione d'uso del sottotetto per finalità abitative sulla scorta di argomenti la cui tenuta motivazionale è fuori discussione.Si legge in sentenza, in particolare, anzitutto che non rileva la circostanza che non fosse stato provato l'effettivo abbassamento del piano di calpestio, in quanto la natura delle opere realizzate all'interno del sottotetto dimostrava inequivocabilmente la modifica della destinazione d'uso dello stesso e la sua trasformazione in unità abitativa; ancora, si evidenzia come dal verbale di sequestro in atti risultava che il locale sottotetto si presentava, al momento, dell'accertamento, fornito di impiantistica elettrica e televisiva, di impiantistica idraulica e di riscaldamento in fase di completamento, presentatosi l'area completamente pavimentata ad eccezione di un piccolo locale, la cui destinazione alla realizzazione di un bagno era dimostrata dalla presenza di impiantistica idraulica.Sulla base di tale elementi, quindi, i giudici di appello pervengono alla logica conclusione per cui non poteva ritenersi che gli impianti rinvenuti fossero stati realizzati a servizio del locale sottostante, in quanto dal fascicolo fotografico e dal verbale di sequestro era chiaramente evincibile che il sottotetto non era un semplice locale destinato ad uso tecnico, poiché era munito di finestre corredate da infissi, era rifinito, la pavimentazione era nuova ed all'interno di era anche un locale destinato alla realizzazione di un bagno. Infine, correttamente, affermano i giudici di merito, la responsabilità non poteva essere esclusa per il fatto che le opere avessero carattere interno, richiamando sul punto la consolidata giurisprudenza amministrativa, condivisa dal Collegio, secondo cui per la normativa edilizia (art. 3 comma 1, lettere a e c del
T.U. n. 380 del 2001, in combinato disposto con l'art. 10 comma 1, lett. c e con l'art. 23 ter del medesimo T.U.), le opere interne e gli interventi di ristrutturazione urbanistica, come pure quelli di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo, necessitano del preventivo rilascio del permesso di costruire ogni qualvolta comportino mutamento di destinazione d'uso tra due categorie funzionalmente autonome (v., tra le tante: T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 04/04/2017, n.4225).
9. Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze della ricorrente, dunque, appaiono manifestamente infondate, in quanto si risolvono nel "dissenso" sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per una presunta violazione di legge e per un vizio motivazionale con cui, in realtà, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, ne' deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 - dep. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745).
10. Quanto, infine, all'eccezione relativa alla estinzione dei reati per intervenuta prescrizione, i giudici individuano correttamente il dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione alla data del sopralluogo (4.12.2012), atteso che tale data coincide con il sequestro del manufatto abusivo, rilevandosi peraltro l'inconsistenza della tesi difensiva secondo cui i lavori eseguiti nel locale sottotetto fossero stati ultimati in precedenza, atteso che dalla sentenza - che richiama il verbale di sequestro in atti -, emergeva che i lavori erano in corso di esecuzione al momento del sopralluogo. Tenuto conto del termine massimo di anni 5, la prescrizione sarebbe maturata alla data del 4.12.2017, ma considerate le sospensioni verificatesi in primo grado, pur accettando quelle individuate dalla difesa in gg. 154, il relativo termine (7.05.2018) non era decorso alla data della sentenza d'appello (11.04.2018), con conseguente manifesta infondatezza sul punto del ricorso.
Non rileva, infatti, la circostanza che la prescrizione sia successivamente maturata, trovando infatti applicazione il principio per cui l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. (Nella specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 - dep. 21/12/2000, D. L, Rv. 217266).
11. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.