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TAR Puglia Sentenza n. 171/2019

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TAR Puglia Sentenza n 171 2019

TAR Puglia Sentenza n. 171/2019

Demolizione di una tettoia box auto di ampie dimensioni senza il permesso di costruire, non si tratta di struttura precaria ma stabilmente utilizzata

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Pubblicato il 04/02/2019
Sent. n. 171/2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Terza
ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1403 del 2011, proposto da [omissis], rappresentati e difesi dall'avvocato Pantaleo Ernesto Bacile, con domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, via B. Martello, n. 19;
contro
Comune di Tuglie, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio; per l'annullamento
- dell'ordinanza n. 55/2011 del 08/06/2011, notificata in data 22/06/2011, con cui il Responsabile dello Sportello Unico per l'Edilizia del Comune di Tuglie ha ingiunto ai ricorrenti la demolizione delle opere edilizie eseguite in assenza di permesso di costruire ivi descritte con avviso di ripristino dei luoghi;
- nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2018 la dott.ssa Anna Abbate e udito per i ricorrenti l'Avv. E.P. Bacile;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

[omissis] impugnano l’ordinanza di demolizione n. 55 dell’8/06/2011, notificata il 22/06/2011, con cui il Dirigente dell’U.T.C. del Comune di Tuglie ha loro ingiunto, ex art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, la demolizione delle seguenti opere edilizie realizzate in carenza di permesso di costruire:
“1. realizzazione di una tettoia in ferro ad uso deposito autovetture delle dimensioni interne di ml. 10,30 x 19,05 ed avente una altezza media utile interna di ml. 2,80, con pavimentazione in battuto di cemento;
2. installazione di un manufatto prefabbricato in pannelli coibentati ad uso ufficio, delle dimensioni esterne di ml. 4,85 per 2,35 ed avente una altezza utile interna di ml. 2,25, con annessa pensilina della sporgenza di circa ml. 1,10 poggiata ad angolo su un pilastrino in ferro del diametro di cm 10 x 10”; nonché ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale.
A sostegno del gravame interposto i ricorrenti hanno dedotto le seguenti censure:
1. Violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380. Violazione dell’art. 37 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380. Falsa od erronea prospettazione dello stato dei luoghi. Difetto istruttorio. Difetto di motivazione. Eccesso di potere.
2. Violazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 sotto altro profilo. Perplessità e contraddittorietà dell'atto. Difetto di motivazione ulteriore.
3. Violazione dell’art. 41 della L.R. 32 maggio 1980 n. 56. Ulteriore difetto istruttorio. Eccesso di potere.
4. Violazione degli artt. 7, 8 e ss. della L. n. 241/1990. Eccesso di potere.
Dopo avere illustrato il fondamento giuridico della domanda di annullamento azionata, i ricorrenti concludevano come sopra riportato.
Non si è costituito in giudizio il Comune di Tuglie, che però, in data 03/11/2011, ha depositato in giudizio una relazione di controdeduzioni.
In data 07/11/2018, i ricorrenti hanno depositato una memoria difensiva in vista della pubblica udienza, nella quale hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni già rassegnate ed hanno, altresì, contestato e chiesto l'espunzione dal presente procedimento della relazione depositata dal Comune intimato.
All’udienza pubblica del 19/12/2018, sulle conclusioni di parte ricorrente, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

0. Il ricorso è infondato nel merito e va, pertanto, respinto.
In via preliminare, osserva il Collegio che si può prescindere dalla richiesta di espunzione della relazione (irritualmente) depositata agli atti di causa dal Comune di Tuglie (non costituito in giudizio), in quanto la stessa appare irrilevante ai fini della decisione di merito.
1. Con il primo pluriarticolato motivo di gravame, i ricorrenti, sostanzialmente, contestano la riconducibilità delle opere edilizie abusive di cui trattasi nel novero degli interventi soggetti al regime del permesso di costruire e alla conseguente sanzione ripristinatoria della demolizione e dell'acquisizione gratuita al patrimonio comunale di cui all’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, in quanto (a loro dire) si tratterebbe di interventi di edilizia libera o rientranti tra quelli che il D.P.R. n. 380/2001
e ss.mm. assoggetta al regime della D.I.A. (“Dichiarazione di Inizio Attività”, oggi S.C.I.A. o “Segnalazione Certificata di Inizio Attività”), con conseguente applicazione dell’art. 37 del medesimo D.P.R. n. 380/2001 e della sanzione pecuniaria ivi prevista.
Le censure sono infondate, in quanto le opere edilizie abusive di cui trattasi (“tettoia in ferro ad uso deposito autovetture”, avente superficie interna di quasi 200 mq. e “manufatto prefabbricato in pannelli coibentati ad uso ufficio”, secondo la descrizione contenuta nel provvedimento impugnato e non contestata in punto di fatto dai ricorrenti), costituiscono strutture non precarie, ma stabilmente utilizzate come deposito (a tale riguardo nel ricorso si fa espressamente riferimento a “l'uso dell'aia quale ricovero notturno di vetture”) o (più in generale) come ambiente di lavoro, soggette al regime del permesso di costruire ex art. 3, lett. e.5) del D.P.R. n. 380/2001 (ai sensi del quale sono comunque da considerarsi “interventi di nuova costruzione”“l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere (…) che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformita' alle normative regionali di settore”) e non al regime della C.I.L. (“Comunicazione Inizio Lavori”), previsto per gli interventi di edilizia libera, o della D.I.A..
Invero, costituisce «principio consolidato in giurisprudenza che la precarietà dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico ma temporalmente limitato del bene: infatti, ai fini della ricorrenza del requisito della precarietà di una costruzione, che esclude la necessità del rilascio di un titolo edilizio, si deve prescindere dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data dal manufatto dal costruttore e si deve, invece, valutare l'opera alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale, con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre la concessione edilizia, tutti quei  manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo o pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale (ex multis T.A.R. Campania - Napoli 10.6.2011 n. 3114). Per individuare la natura precaria di un'opera, si deve quindi seguire «non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale», per cui un'opera se è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie anche quando le opere sono state realizzate con materiali facilmente amovibili (fra le decisioni più recenti cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1291 del 1° aprile 2016). La giurisprudenza consolidata ha inoltre evidenziato (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 10 giugno 2010, n. 2406) che produce trasformazione urbanistica ogni intervento che alteri in maniera rilevante e duratura lo stato del territorio, a nulla rilevando l’eventuale precarietà strutturale e l’amovibilità, ove ad essa non si accompagni un uso assolutamente temporaneo e per fini contingenti e specifici» (T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione I, 17/07/2018, n. 1174).
Ne consegue l’applicazione, nella fattispecie in esame, dell’art. 31, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 380/2001, ossia della sanzione ripristinatoria della demolizione e, in mancanza di quest’ultima, dell'acquisizione gratuita al patrimonio comunale.
2. Con il secondo motivo di gravame, i ricorrenti censurano la carenza di motivazione del provvedimento impugnato, anche sotto il profilo del pubblico interesse alla demolizione, in considerazione dell’(asserita) minore entità degli abusi rilevati e dell'epoca della loro realizzazione (risalente al 1997).
La censura è priva di pregio.
Infatti, secondo l’orientamento della giurisprudenza prevalente e condivisa da questo Tribunale, i provvedimenti sanzionatori di abusi edilizi, anche se trattasi di opere abusive di (asserita) minore entità e risalenti nel tempo, sono atti dovuti che non abbisognano di particolare motivazione circa la sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, posto che l’esercizio del potere repressivo-sanzionatorio risulta sufficientemente giustificato, quanto al presupposto, dalla mera (oggettiva) descrizione delle opere abusivamente realizzate (in carenza del prescritto titolo edilizio) e dalla assoggettabilità di queste ultime al regime del permesso di costruire, stante la previsione legislativa della conseguente misura sanzionatoria (cfr. ex multis, T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione III, 05/03/2018, n. 367; T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione III, 29/03/2018, n. 524; T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione III, 15/10/2018, n. 1507; T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione III, 12/11/2018, n. 1656).
In particolare, “è stato condivisibilmente osservato dalla giurisprudenza che «l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato e, quindi, non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione; non può ammettersi alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può giammai legittimare, né l’interessato può dolersi del fatto che l’amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi» (Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 11 maggio 2011, n. 2781; Consiglio di Stato, sez. V, sent. 27 aprile 2011, n. 2497; Consiglio di Stato, sez. V, sent. 11 gennaio 2011, n. 79)” (T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione III, 05/03/2018, n. 367, cit.).
Anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 17 ottobre 2017, con riferimento all’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, ha espressamente sancito che “Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata che impongano la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.
3. Con il terzo motivo di gravame, i ricorrenti contestano la violazione dell’art. 41, comma 5, della Legge Regionale Pugliese n. 56/1980, in quanto la gravata ordinanza di demolizione non è stata preceduta dalla acquisizione dei pareri della Commissione Edilizia e dell’Ufficio Tecnico Comunale.
Anche tale doglianza va disattesa.
Anzitutto, la provenienza dell’impugnata ordinanza proprio dal Dirigente dell’Ufficio Tecnico Comunale, come peraltro riconosciuto nel ricorso introduttivo del presente giudizio, rende priva di significato la necessità di acquisire, rispetto a tale provvedimento, un parere dello stesso organo di amministrazione attiva emanante; parere, invece, prescritto (insieme a quello della C.E.C.) dall’art. 41, comma 5, della Legge Regionale Puglia n. 56 del 1980, con riferimento al previgente regime normativo (da ritenersi, oramai, completamente superato dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 8 giugno 2001 n° 380), che ascriveva al Sindaco la competenza funzionale all’adozione dei provvedimenti sanzionatori de quibus (ex multis, T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione III, 13/06/2017, n. 1552).
In ogni caso, poi, la mancata acquisizione del parere dell’Ufficio Tecnico Comunale e del parere della Commissione Edilizia (anche nel caso in cui esista una Commissione Edilizia nel Comune di Tuglie) è resa irrilevante dell’art. 21 octies, comma secondo, parte prima, della Legge n. 241 del 1990 e ss.mm. (secondo il quale “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”), che, in caso di provvedimenti vincolati, rende irrilevanti le violazioni formali/procedimentali non incidenti sul contenuto sostanziale del provvedimento finale (cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione III, 13/06/2017, n. 1552, cit.; T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione III, 18/12/2017, n. 1993; T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione III, 25/05/2018, n. 889).
4. Con il quarto motivo di gravame, infine, i ricorrenti lamentano che l’ordinanza comunale impugnata è stata adottata in assenza della preventiva comunicazione di avvio del procedimento prevista dall’art. 7 della Legge n. 241/1990.
La censura è destituita di fondamento.
Infatti (in disparte il fatto che, nel caso di specie, l'avvio del procedimento risulta notificato ad uno dei ricorrenti, secondo quanto riconosciuto dalla stessa difesa di parte ricorrente nella memoria finale), secondo la giurisprudenza prevalente e condivisibile, anche di questo Tribunale, l'esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi, come innanzi detto, costituisce attività vincolata e doverosa della Pubblica Amministrazione, priva di contenuti discrezionali, relativa alla realizzazione di un assetto di interessi già prefigurato dalla disciplina edilizia e urbanistica applicabile, di talché il provvedimento di demolizione, in presenza di opere edilizie realizzate in carenza del permesso di costruire, costituisce atto vincolato per la cui adozione non è necessario l’invio di comunicazione di avvio del procedimento.
In ogni caso, poi, la mancata comunicazione di avvio del procedimento, laddove (in ipotesi)
considerata anche in questo caso dovuta, sarebbe comunque irrilevante ai sensi del sopra menzionato art. 21 octies, comma secondo, parte prima, della Legge n. 241 del 1990 e ss.mm., atteso che l’ordinanza di demolizione, essendo un provvedimento dal contenuto vincolato al riscontro delle condizioni legislativamente fissate, non può essere annullata per vizi formali/procedimentali non incidenti sul contenuto sostanziale del provvedimento finale (ex multis, T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione III, 13/03/2018, n. 427; T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione III, 25/05/2018, n. 889, cit.; T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione III, 16/08/2018, n. 1301; T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione III, 08/11/2018, n. 1651; T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione III, 12/11/2018, n. 1656, cit.).
5. Da ultimo, nella parte in fatto sia del ricorso introduttivo che della memoria difensiva finale, la difesa dei ricorrenti evidenzia, pur non formulando specifico motivo di gravame, che il terreno di cui trattasi “ricade in zona che da tempo ha perso la sua formale destinazione agricola, tanto è vero che l’A.C. di Tuglie con Delib. C.C. n. 26 del 28/08/2008 ha mutato detta destinazione da E/1 agricola in C/4 residenziale rada di nuova espansione ove sono consentite anche iniziative commerciali, proprio al fine di equiparare lo stato di fatto a quello di diritto, trattandosi di area adiacente e confinante ad altra già interessata dalla presenza di attività commerciali di compravendita di vetture  nuove ed usate (…).Tale nuova destinazione è tuttora in corso di valutazione da parte del C.U.R. della Regione Puglia ed è pertanto attesa la variazione di destinazione di piano.”.
A tale riguardo il Collegio rileva che (in disparte il fatto che la variante al P.R.G. di cui sopra è stata adottata dal Consiglio Comunale di Tuglie, ma non ancora approvata dal competente organo regionale) è del tutto irrilevante, ai fini della legittimità dell’ordinanza di demolizione impugnata, la disciplina urbanistica vigente nella zona omogenea (specie in mancanza di presentazione dell’istanza di sanatoria ex art. 36 del D.P.R. 380/2001), trattandosi, nella fattispecie per cui è causa, di opere edilizie abusive, in quanto eseguite in carenza del necessario permesso di costruire.
6. Per tutto quanto innanzi sinteticamente esposto, il ricorso deve essere respinto.
7. Nulla per le spese processuali, in ragione della mancata costituzione in giudizio dell’intimato Comune di Tuglie.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2018 con l'intervento dei magistrati:
Enrico d'Arpe, Presidente
Massimo Baraldi, Referendario
Anna Abbate, Referendario, Estensore

__________

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