Considerato in diritto
1. Preliminarmente, va esaminata la questione di nullità proposta nel primo motivo di ricorso della Vega Prefabbricati s.r.l., non senza rilevare altrettanto preliminarmente, con riguardo ad altra censura svolta dalla medesima parte ricorrente, la regolare formulazione di conclusioni, riportate nelle intestazioni delle sentenze, da parte della pubblica accusa in entrambe le fasi di merito.
1.1. Deve essere sottolineato che il d. lgs. n.231/2001 ha previsto alcune forme di procedura speciali per l'accertamento della responsabilità delle imprese per illeciti amministrativi dipendenti da reato, regolate dagli artt.34-82 del testo normativo. Risulta, altresì, evocato il principio di sussidiarietà laddove l'art.34, aggiunge che il rito è regolato anche «secondo le disposizioni del codice di procedura penale e del decreto legislativo 28 luglio 1989 n. 271», in quanto compatibili e l'art.35 prevede che all'impresa si applichino anche, con il solito limite della compatibilità in concreto, «le disposizioni processuali relative all'imputato». La normativa coniuga, dunque, esigenze di effettività dell'accertamento ad esigenze di garanzia del diritto di difesa dell'ente strettamente correlate alla vicinanza dell'illecito amministrativo al fatto-reato, cosicchè le norme del codice di procedura devono essere applicate sulla base del duplice presupposto che non vi sia una norma speciale che disciplini l'atto e che vi sia compatibilità tra le norme speciali e le norme del codice di procedura penale. Con specifico riguardo alla difesa tecnica, l'art.40 prevede che l'ente che non ha nominato un difensore di fiducia o ne e' rimasto privo e' assistito da un difensore di ufficio, mentre con riguardo alla fase che precede la contestazione dell'illecito (art.59), la legge speciale prevede che l'informazione di garanzia inviata all'ente contenga l'invito a dichiarare ovvero eleggere domicilio per le notificazioni nonche' l'avvertimento che per partecipare al procedimento deve depositare la dichiarazione di cui all'articolo 39, comma 2 (art.57). Sul dubbio interpretativo concernente la nozione di «partecipazione» in relazione alla fase delle indagini preliminari, è intervenuta la pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite al fine di dirimere la questione se in tale fase l'ente goda del diritto di fruire della assistenza difensiva (ivi comprese le facoltà che il codice riconosce al difensore) indipendentemente dall'atto formale di costituzione posto in essere a norma dell'art. 39.
1.2. La Corte di legittimità, nel suo massimo consesso, ha ritenuto di enucleare dal citato art.57 il principio secondo il quale dalla scansione procedimentale segnata dall'invio dell'informazione di garanzia all'ente, che contiene, tra l'altro, l'avvertimento che, per partecipare al procedimento, deve depositare la dichiarazione di cui all'art. 39, comma 2, l'urgenza della reazione difensiva non può prevalere sulla disciplina speciale dettata da quest'ultima disposizione (Sez. U, n. 33041 del 28/05/2015, Gabrielloni, Rv. 26431301). Da tale momento, dunque, opera la disciplina speciale dettata in tema di responsabilità degli enti, che impone la formalizzazione della rappresentanza dell'ente sin dalle prime fasi del procedimento.
1.3. Nel caso concreto, non potendo dubitarsi del fatto che l'ente disponesse di un termine per gli adempimenti di cui all'art. 39 e per l'espletamento dei diritti difensivi connessi alla notificazione dell'avviso previsto dall'art.415 bis, cod. proc. pen., la decisione operata nelle fasi di merito, in cui si è richiamata l'avvenuta comunicazione dell'informazione di garanzia all'ente, risulta corretta.
2. Tanto premesso, il Collegio osserva che il primo motivo del ricorso proposto da P.G., assorbente rispetto ad ogni altra censura qui proposta dalle parti ricorrenti, è fondato.
2.1. Va premesso che nella sentenza di primo grado (pag.11) si legge che il datore di lavoro «non ha ottemperato allo specifico obbligo derivante a suo carico dall'art.111, comma 1 lettera a), d. lgs. 9 aprile 2008, n.81, in quanto ha omesso di predisporre il previsto sistema di protezione individuale per consentire al lavoratore di ancorarsi durante il lavoro in quota» e che nella sentenza di appello si legge «il d. lgs. 81/2008 contiene specifiche prescrizioni atte a garantire la sicurezza dei lavoratori che si trovino ad operare 'in quota' (art.111) ponendo in capo al datore di lavoro l'obbligo di provvedere affinchè le condizioni di lavoro siano sicure, predisponendo misure di protezione sia 'collettive' che 'individuali ...emerge con chiarezza dal materiale probatorio raccolto in sede di istruttoria dibattimentale l'insufficienza delle misure di protezione predisposte nel cantiere», indicando la Corte territoriale, nel passo della sentenza immediatamente successivo, la carenza di dispositivi di protezione individuale quali le linee vita.
2.2. Data tale premessa, il Collegio ritiene necessario esaminare in dettaglio l'enunciato delle disposizioni contenute nell'art. 111 d.lgs. n.81/2008; tale norma illustra, secondo un preciso schema logico, quale sia la condotta del datore di lavoro che il legislatore ha ritenuto idonea a garantire la sicurezza dei lavoratori che devono eseguire lavori in quota. La prima disposizione prevede che debba essere data priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale (art.111, comma 1 lettera a); la ratio di tale indicazione risiede nel fatto che i dispositivi di protezione collettiva sono atti ad operare indipendentemente dal fatto, ed a dispetto del fatto, che il lavoratore abbia imprudentemente omesso di utilizzare il dispositivo di protezione individuale. La seconda disposizione consente al datore di lavoro di scegliere il tipo più idoneo tra i sistemi di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota (art.111, comma 2); è, quindi, valorizzata la possibilità per il datore di lavoro di optare, in relazione allo stato di fatto, per un sistema piuttosto che per un altro. Un'ulteriore disposizione prevede che il datore di lavoro possa disporre l'impiego di sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi solamente nelle circostanze in cui risulti che l'impiego di un'altra attrezzatura di lavoro considerata più sicura non sia giustificato per la breve durata di utilizzo ovvero per caratteristiche del luogo non modificabili (art.111, comma 4); tale disposizione rafforza l'indicazione iniziale circa la preferenza del legislatore per i sistemi di protezione collettiva in relazione ai lavori in quota. L'obbligo di minimizzare i rischi insiti nelle attrezzature scelte è stato correlato dal legislatore al sistema prescelto dal datore di lavoro e l'installazione di dispositivi di protezione contro le cadute è stato correlato a tale scelta (art. 111 comma 5); è, dunque, nell'ambito del sistema prescelto dal datore di lavoro in ossequio alle disposizioni precedenti che deve essere valutata la responsabilità colposa del datore di lavoro per l'omissione di ulteriori cautele atte a minimizzare il rischio di caduta. Dalla disposizione contenuta nell'art. 111, comma 6, si desume, altresì, che solo l'esecuzione di lavori di natura particolare può giustificare l'eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute che, in ogni caso, dovrà essere immediatamente ripristinato una volta terminato il lavoro di natura particolare.
2.3. L'intero corpo di regole cautelari individuate dal legislatore per i lavori in quota indica, dunque, che i dispositivi di protezione collettiva sono da considerare lo strumento di maggior tutela per la sicurezza dei lavoratori, sia in quanto vengono indicati come prioritari tra i criteri da seguire nella scelta delle attrezzature di lavoro, sia in quanto l'adozione di attrezzature di protezione individuale o di sistemi di accesso e posizionamento mediante funi è indicata quale scelta subordinata nel caso in cui, per la durata dell'impiego e per le caratteristiche del luogo, non sia logico adottare un'attrezzatura di lavoro più sicura. Della ratio di tale principio si è detto.
3. Seguendo il percorso indicato dal legislatore, compito del giudice di merito era, dunque, in primo luogo, stabilire quale fosse la misura di protezione scelta nel caso concreto dal datore di lavoro, onde verificare se in tale scelta il datore si fosse attenuto ai criteri indicati dalla norma la cui violazione gli era contestata. Le sentenze dei due gradi di merito hanno, invece, sviluppato in via prioritaria la questione inerente alla carenza di dispositivi di sicurezza individuale come se la norma contestata (art.111, comma 1 lettera a) fornisse un criterio di scelta del tutto opposto a quello desumibile dal tenore letterale della disposizione.
3.1. In secondo luogo, era compito del giudice di merito verificare se, in relazione al tipo di sistema di protezione prescelto ed alle attrezzature adottate, il datore avesse correttamente individuato e fornito gli strumenti idonei a minimizzare i rischi per i lavoratori contro le cadute.
3.2. La Corte territoriale, in linea con l'impostazione seguita nella sentenza di primo grado, non si è attenuta allo schema logico-motivazionale indicato e la pronuncia risulta viziata per aver incentrato il giudizio circa la violazione da parte del datore di lavoro della regola cautelare idonea a prevenire il rischio poi concretizzatosi sulla assenza di dispositivi di protezione individuale, quali sono le piattaforme elevatrici, strumento di protezione collettiva, fosse la scelta privilegiata nel caso concreto per consentire al lavoratore di operare in condizioni di massima sicurezza. Né costituisce iter argomentativo coerente con la citata disciplina antinfortunistica affermare che le piattaforme elevatrici non fossero idonee a consentire un'«agevole» misurazione delle travi del fabbricato (pag.11) né tantomeno fossero misure sostitutive rispetto ai dispositivi linee vita, laddove sarebbe stato compito del giudice valutare in primo luogo se le misure di protezione collettiva messe a disposizione degli operai dalla Vega Prefabbricati s.r.l. fossero adeguate a garantire i livelli di sicurezza richiesti dalla normativa antinfortunistica per i lavori in quota, anche a prescindere dal fatto che l'uso di tali dispositivi avrebbe reso meno agevole la misurazione delle travi; è, infatti, compito del giudice, in ossequio alla previsione normativa, esaminare la validità della scelta del dispositivo indicato dal legislatore come prioritario e la concreta utilizzabilità di esso per eseguire il lavoro.
3.3. La motivazione della sentenza impugnata, seppur integrata dalla motivazione della sentenza di primo grado, si presenta, in definitiva, carente nell'esame della condotta omissiva del datore di lavoro; i giudici di merito avrebbero dovuto analizzare la violazione della regola cautelare ascrivibile al datore di lavoro secondo il diverso schema sopra indicato e solo all'esito di tale, completo, esame procedere a valutare l'incidenza causale della violazione accertata sull'evento concretizzatosi.
4. La fondatezza del primo motivo del ricorso proposto da P. G., incidendo sull'elemento materiale del reato, condiziona anche la decisione inerente all'illecito amministrativo dipendente da reato ed impone l'annullamento della sentenza con rinvio alla Corte di Appello di Bologna altra sezione per nuovo esame. La fondatezza del primo motivo di ricorso risulta assorbente rispetto alle ulteriori censure.