Discariche: Italia deferita alla Corte di Giustizia UE
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Discariche: Italia deferita alla Corte di Giustizia UE
Il 17 maggio 2017 la Commissione europea ha deferito l'Italia alla Corte di giustizia dell'Ue per la mancata bonifica o chiusura di 44 discariche che costituiscono un grave rischio per la salute umana e per l'ambiente. La decisione, che fa parte del pacchetto infrazioni adottato il medesimo giorno, si riferisce alla procedura di infrazione aperta nel 2011 per violazione della direttiva Ue sulle discariche (Direttiva 1999/31/CE), che imponeva agli Stati membri di bonificare o chiudere entro il 16 luglio 2009 le discariche già autorizzate o in funzione prima del 16 luglio 2001 (“discariche preesistenti”). Nonostante i vari ammonimenti, l'Italia non risulta aver adottato misure per adeguare 44 discariche alle norme di sicurezza stabilite in tale direttiva, né risulta averle chiuse. Il ricorso alla Corte di giustizia dell'Ue potrebbe comportare per il nostro Paese una condanna al pagamento di sanzioni pecuniarie.
La Direttiva 1999/31/CE fissa una serie di rigidi requisiti operativi e tecnici per i rifiuti e le discariche, e stabilisce misure, procedure e orientamenti volti a prevenire o a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull'ambiente (intesto come acqua, suolo e atmosfera), nonché i rischi per la salute umana risultanti dalle discariche, durante il loro intero ciclo di vita.
A tal fine la direttiva: stabilisce le tipologie di rifiuti ammissibili e non ammissibili nelle discariche; definisce i requisiti e le procedure per l'apertura delle stesse (richiesta e rilascio di autorizzazioni) e per l'ammissione dei rifiuti; detta le procedure di controllo e sorveglianza della fase operativa e quelle relative alla chiusura e alla gestione successiva degli impianti.
Tra i punti chiave della direttiva:
- suddivisione delle discariche in tre tipologie: discariche per rifiuti pericolosi, discariche per rifiuti non pericolosi e discariche per rifiuti inerti (rifiuti che non si decompongono o bruciano, quali ghiaia, sabbia e roccia);
- divieto di conferire in discarica gomme usate o rifiuti liquidi, infiammabili, esplosivi o corrosivi, oppure provenienti da ospedali o istituti medici e veterinari;
- collocamento in discarca dei soli rifiuti trattati;
- collocamento nelle discariche per rifiuti pericolosi dei soli rifiuti che soddisfano determinati criteri di pericolosità;
- collocamento dei rifiuti urbani in discariche per rifiuti non pericolosi;
- attuazione, da parte degli Stati membri, di strategie nazionali per ridurre progressivamente la quantità di rifiuti biodegradabili da conferire in discarica fino a giungere ad una riduzione del 35%, rispetto al 1995, entro 15 anni dal recepimento della direttiva;
- obbligo, per i gestori di siti di discarica di richiedere un’autorizzazione e di fornire una serie di informazioni ai fini dell'apertura delle stesse (identità del richiedente e, in alcuni casi, del gestore; descrizione del tipo e del quantitativo di rifiuti da depositare; capacità e descrizione del sito, compresi il piano per il funzionamento, la sorveglianza e il controllo; metodi per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento; dettagli delle procedure di chiusura e gestione successiva alla chiusura);
- obbligo per le autorità nazionali di garantire che il prezzo di smaltimento dei rifiuti copra l’insieme dei costi connessi dalla creazione alla chiusura del sito;
- obbligo per i gestori dell'impianto di osservare una serie di procedure ai fini dell'ammissione dei rifiuti nelle discariche (tra cui: obbligo di ispezione dei rifiuti all'entrata e nel punto di deposito; iscrizione in appositi registri; rilascio di una ricevuta scritta per ogni consegna ammessa nella discarica);
- obbligo per i gestori dell'impianto di eseguire un preciso programma di controllo e sorveglianza4 e di notificare all'autorità nazionale eventuali effetti negativi sull'ambiente;
- responsabilità per i gestori dell'impianto della manutenzione, della sorveglianza e del controllo nella fase della gestione successiva alla chiusura dello stesso.
Inoltre, la direttiva, all'articolo 14, detta alcune condizioni affinché le "discariche preesistenti", ossia quelle già autorizzate o in funzione al momento del termine fissato per il suo recepimento, il 16 luglio 2001, possano continuare ad operare.
In particolare, stabilisce che entro otto anni da tale termine, gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per conformare tali discariche ai requisiti della direttiva sulla base della seguente procedura (di cui all'articolo 14, lettere da a) a c):
1) in primo luogo il gestore della discarica deve presentare all'Autorità competente, entro un anno dal termine fissato per il recepimento, un piano di riassetto contenente, oltre ai dati sulle condizioni attuali della discarica, anche la descrizione delle misure, ove necessarie, che si intendono adottare per conformare la discarica ai parametri richiesti dalla direttiva;
2) in seconda battuta, l'Autorità competente decide, definitivamente, sull'opportunità di approvare lo stesso e quindi di autorizzare il mantenimento in attività della discarica, oppure di disporne quanto prima la chiusura;
3) da ultimo, ove decidano per la continuazione delle attività della discarica, le competenti Autorità autorizzano i lavori e fissano, per l'attuazione del piano, un "periodo di transizione".
Detti lavori debbono risolversi nell'adeguamento della discarica ai requisiti della direttiva entro otto anni dalla data prevista per il suo recepimento.
In base alle disposizioni della direttiva il termine per la messa a norma o la chiusura delle discariche esistenti era il 16 luglio 2009, mentre quello per la presentazione dei piani di riassetto da parte dei gestori delle discariche era il 16 luglio 2002.
La procedura di infrazione nei confronti dell'Italia (n. 2011/2215)
La Commissione europea ha aperto nei confronti dell'Italia una procedura di infrazione per violazione dell'articolo 14 della Direttiva 1999/31/CE (procedura n. 2011/2215).
L'Italia ha recepito la direttiva con Decreto legislativo 13 gennaio 2003, n 36, tuttavia, a seguito delle richieste di chiarimento inviate al nostro Paese dal luglio 1999 e delle relative risposte, nel 2010 la Commissione osservava che a settembre 2009, ossia quando il termine fissato per la messa a norma o la chiusura delle discariche era già scaduto da qualche mese, in Italia risultavano ancora 187 discariche "preesistenti" non ancora regolarizzate.
A seguito di un ulteriore carteggio fra la Commissione e le Autorità italiane, queste ultime comunicavano, con nota del 16 maggio 2011, che le discariche "preesistenti" non ancora messe a norma ammontavano, a tale data, a n. 102 (di cui 3 di rifiuti pericolosi), così distribuite: Abruzzo (21 discariche), Basilicata (19 discariche), Calabria (4 discariche), Campania (5 discariche), Friuli Venezia Giulia (10 discariche), Emilia Romagna (2 discariche), Liguria (1 discarica), Lombardia (2 discariche), Marche (1 discarica), Molise (10 discariche), Piemonte (7 discariche), Puglia (6 discariche), Sardegna (12 discariche), Umbria (2 discariche).
Il 27 febbraio 2012 la Commissione europea ha inviato all'Italia una lettera di messa in mora ai sensi dell'articolo 258 del TFUE e il 23 novembre 2012 ha emesso un parere motivato.
La messa in mora è una fase di pre-contenzioso nella quale la Commissione chiede allo Stato in questione di fornire spiegazioni entro un dato termine. Se la risposta non è soddisfacente o non arriva viene emesso un parere motivato con il quale si chiede allo Stato di conformarsi entro una scadenza fissata. Se ciò non avviene la Commissione europea può adire la Corte di giustizia.
Un ulteriore parere motivato è stato emesso il 18 giugno 2015, poiché, a quasi sei anni dal termine ultimo per la chiusura, la Commissione europea rilevava la presenza di 50 discariche non ancora conformi e in attività. Inoltre, almeno una delle discariche in questione conteneva rifiuti pericolosi. All'Italia venivano quindi concessi due mesi di tempo per comunicare alla Commissione le misure adottate al fine di regolarizzare tale situazione. In caso contrario la Commissione si riservava la facoltà di deferire il nostro paese alla Corte di giustizia dell'UE.
Nonostante i progressi compiuti, il 17 maggio 2017 la Commissione europea, constatando la presenza di 44 discariche ancora da bonificare o da chiudere ha deciso di deferire l'Italia alla Corte di giustizia dell'Unione europea avviando un procedimento di contenzioso. Analoghi provvedimenti sono stati presi negli scorsi anni anche per altri Stati membri e la Corte ha già emesso sentenze di condanna alle spese nei confronti di Bulgaria (Causa C-145/147 ), Cipro (Causa C-412/14) e Spagna (Causa C-454/14).
Le 44 discariche sono così distribuite: Abruzzo (11 discariche), Basilicata (23 discariche), Campania (2 discariche), Friuli Venezia Giulia (3 discariche) e Puglia (5 discariche).
Si ricorda che, sempre relativamente all'articolo 14 della Direttiva 1999/31/CE, l'Italia è stata già condannata nel 2014 al pagamento di sanzioni pecunarie nell'ambito della procedura di infrazione "discariche abusive" (proc. n. 2003/2077). Tra gli inadempimenti del nostro Paese figurava infatti quello di non aver provveduto all'elaborazione, entro il 16 luglio 2002, dei piani di riassetto per alcune discariche, e conseguentemente all'espletamento all'iter procedurale di cui all'articolo 14, lettere da a) a c). La Corte di giustizia, con sentenza del 26 aprile 2007 (causa C-135/05) aveva dichiarato l’inadempienza dell’Italia condannandola al pagamento delle spese. Nell’ambito della causa C- 196/13, promossa dalla Commissione per l’inerzia dell’Italia ad adottare tutte le misure necessarie per conformarsi alla richiamata sentenza del 26 aprile 2007, il 2 dicembre 2014 la Corte di Giustizia ha condannato l'Italia al pagamento di una somma forfettaria di 40 milioni di euro più una penalità
decrescente su base semestrale di 42,8 milioni, progressivamente ridotta in ragione dei siti messi a norma conformemente alla sentenza.Secondo i più recenti dati forniti dal Ministero dell'ambiente il totale della penalità dovuta per il quarto semestre successivo alla pronuncia della Corte di giustizia ammonta a 21.400 milioni di euro.
Fonte: Commissione Europea
Comunicato Stampa 17 maggio 2017 http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-1283_en.htm
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