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Cassazione Penale Sent. Sez. 3 Num. 19324 | 8 Maggio 2023

ID 19776 | | Visite: 1240 | Giurisprudenza ambientePermalink: https://www.certifico.com/id/19776

Soppressione del SISTRI e sostituzione con il RENTRI

Cassazione Penale Sent. Sez. 3 Num. 19324 dell'8 Maggio 2023

ID 19776 | 09.06.2023

Soppressione del SISTRI e sostituzione con il RENTRI (Registro elettronico nazionale per la tracciabilità dei rifiuti) 

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RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza del 7 febbraio 2022 la Corte di appello di Bari, in parziale riforma di quella emessa il 15 giugno 2020 dal Tribunale di Foggia, ha condannato L. Liberti alla pena di 4 mesi di arresto ed € 4.000,00 di ammenda, concesse le circostanze attenuanti generiche, esclusa la recidiva, per la contravvenzione ex art. 256, comma 1, lett. b), e comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006.

La Corte di appello ha rimodulato la pena inflitta all’imputato, confermando nel resto la statuizione di primo grado, tanto in riferimento all’applicazione della confisca dei rifiuti pericolosi, quanto al diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena e al rigetto delle richieste delle parti civili, ****** e ******, intervenute in giudizio.

Secondo l’imputazione, Leonardo Liberti, quale legale rappresentante della ditta individuale «******» di *** ****, esercente regolare attività di raccolta e recupero di materiali ferrosi, gestiva in modo incontrollato presso la sua azienda ubicata nel Comune di ****, all’interno del capannone attiguo al piazzale, un deposito di rifiuti pericolosi rappresentati da kg. 7.870 circa di batterie esauste per autovetture (Codice Europeo del Rifiuto – C.E.R. 16.01.01* – Batterie al piombo) stoccate in 7 cassoni di plastica, in assenza di autorizzazione della competente autorità amministrativa (accertato in Apricena il 16 febbraio 2017).

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, articolando tre motivi.

2.1. Con il primo motivo si deduce ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione degli art. 260-ter, comma 5, d.lgs. n. 152 del 2006, 11, comma 3-bis, d.l. 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125 (come successivamente modificato dal d.l. 30 dicembre 2016, n. 244, convertito, con modificazione, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19), nonché dell’art. 240, comma 4, cod. pen.

La Corte di appello, confermando la confisca dei rifiuti pericolosi, avrebbe ritenuto applicabile, in luogo dell’art. 452-undecies, comma 4, cod. pen., applicato dal Tribunale, l’art. 260-ter d.lgs. n. 152 del 2006, nonostante tale norma sia stata abrogata, con la soppressione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), dal d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12.

Ad ogni modo, alla data di accertamento del reato, il 16 febbraio 2017, l’art. 260-ter d.lgs. n. 152 del 2006 non avrebbe potuto applicarsi a norma dell’art. 11, comma 3-bis, d.l. n. 101 del 2013 citato.

La confisca disposta rientrerebbe nell’ipotesi generale di cui all’art. 240, comma 4, cod. pen., che sarebbe esclusa quando la detenzione della cosa può essere consentita mediante il rilascio di autorizzazione amministrativa, come sarebbe avvenuto nel caso in esame.

2.2. Con il secondo motivo, si deduce l’inosservanza o erronea applicazione dell’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006.

Tale norma, su cui si fonderebbe la condanna confermata anche dalla Corte di appello, punirebbe il titolare di impresa che abbandoni o depositi in modo incontrollato i rifiuti, circostanza che sarebbe stata ripetutamente ed esplicitamente esclusa dal Giudice di primo grado.

2.3. Con il terzo motivo, si denuncia il vizio della motivazione, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., sulla risposta fornita dalla Corte territoriale al motivo di appello con il quale si sarebbe dedotto il difetto di corrispondenza tra l’imputazione, relativa alla violazione dell’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, e la sentenza di primo grado.

La motivazione della sentenza di appello sarebbe illogica e contraddittoria: la Corte territoriale avrebbe riconosciuto che il Tribunale escluse la conservazione delle batterie da parte dell’imputato «in maniera incontrollata»; ciononostante, avrebbe ritenuto che l’imputato abbia gestito i rifiuti in maniera incontrollata, a prescindere dalle modalità di conservazione.

La Corte di appello avrebbe ritenuto sufficiente ad integrare il reato l’assenza di regolare autorizzazione, mentre tale circostanza rileverebbe ai fini della commissione del reato di cui primo comma dell’art. 256 d.lgs. n. 152 del 2006 e non anche dell’integrazione della fattispecie di cui al secondo comma.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il secondo ed il terzo motivo, con i quali si deducono i vizi di violazione di legge e della motivazione in relazione all’art. 256, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, sono manifestamente infondati.

1.1. Secondo il capo di imputazione il fatto ascritto all’imputato, che svolgeva una regolare attività di raccolta e recupero di materiali ferrosi, è quello di avere gestito in modo incontrollato presso la sua azienda un deposito di rifiuti pericolosi rappresentati da batterie esauste per autovetture stoccate in 7 cassoni di plastica, in assenza di autorizzazione. Il capo di imputazione richiama l’art. 256, comma 1, lett. b), e comma 2 d.lgs. n. 152 del 2006.

1.2. La Corte di appello ha condannato l’imputato, come risulta dalla prima pagina della sentenza, per la raccolta, presso l’azienda del ricorrente, delle batterie esauste stoccate nei 7 cassoni, senza autorizzazione; anche il terzo capoverso di pagina 2 della sentenza richiama tale condotta.

La Corte territoriale ha chiarito, nel capoverso successivo, che il riferimento nell’imputazione alla gestione incontrollata si riferisce alla circostanza che l’imputato ha svolto l’attività non autorizzata di raccolta, e ciò a prescindere che i beni fossero conservati nel capannone. L’espressione «in modo incontrollato» è stata ritenuta pleonastica, poiché si riferisce all’assenza di autorizzazione. La condanna è intervenuta sulla base di due elementi di fatto: la presenza dei rifiuti pericolosi, non contestata, e la mancanza di autorizzazione amministrativa.

1.3. Il fatto per il quale è intervenuta la condanna, la raccolta non autorizzata dei rifiuti pericolosi, rientra nell’art. 256, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 152 del 2006, norma indicata nell’imputazione.

Il reato ex art. 256, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006, è comunemente definito di gestione di rifiuti in assenza di autorizzazione e tale definizione si rinviene anche in giurisprudenza; cfr. Sez. 3, n. 4770 del 26/01/2021, Cappabianca, Rv. 280375 – 01, secondo cui il reato di gestione di rifiuti in assenza di autorizzazione, previsto dall’art. 256, comma 1, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, non ha natura di reato proprio, realizzabile dai soli soggetti esercenti professionalmente un’attività di gestione di rifiuti, ma costituisce un’ipotesi di reato comune, che può essere commesso da chiunque svolga tale attività di fatto o in modo secondario, purché non del tutto occasionalmente, e che, per la sua natura istantanea, si perfeziona anche con una sola delle condotte alternativamente previste dalla norma incriminatrice (fattispecie relativa a rifiuti speciali, in cui la Corte ha escluso l’occasionalità dell’attività per la natura e la quantità dei rifiuti, destinati ad essere interrati con un mezzo meccanico in un fondo preso in affitto, nonché per il coinvolgimento nell’attività di due persone).

1.4. Il riferimento nell’imputazione al comma 2 – che punisce la diversa condotta dei «titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’articolo 192, commi 1 e 2» - è, dunque, del tutto pleonastico e privo di concreti riferimenti nel fatto riportato nell’imputazione; né per tale reato è intervenuta la condanna.

I motivi di ricorso per cassazione sono, dunque, manifestamente infondati.

2. Il primo motivo è fondato. Con l’appello la difesa contestò la legittimità della confisca delle batterie, in punto di diritto.

La Corte territoriale, in relazione alla confisca, ha erroneamente applicato l’art. 260-ter d.lgs. n. 152 del 2006, poiché tale norma è stata abrogata.

Come affermato da Sez. 3, n. 4588 del 20/12/2022, Gallone, dep. 2023, non massimata, l’art. 6, comma 2, della l. n. 12/2019, che ha convertito il d.l. n. 135/2018 – con la quale il legislatore ha soppresso definitivamente il Sistema informatico di controllo per la tracciabilità dei rifiuti (cd. SISTRI) sostituendolo con il «Registro elettronico nazionale per la tracciabilità dei rifiuti, gestito direttamente dal Ministero dell’Ambiente» (il cui funzionamento è demandato ad un decreto dello stesso Ministero che non ha ancora visto la luce) – dispone che «Dal 10 gennaio 2019, sono abrogate, in particolare, le seguenti disposizioni: a) gli articoli 16, 35, 36, 39 commi 1, 2, 2-bis, 2-ter e 2-quater, 9, 10 e 15, del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205».

Poiché l’art. 36 ha inserito, dopo l’art. 260, gli artt. 260-bis e 260-ter, si deve ritenere che quest’ultima disposizione non sia più in vigore con la conseguenza che la confisca del mezzo utilizzato per il trasporto di rifiuti resta disciplinata dall’art. 259, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006.

3. Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla confisca delle batterie in sequestro, con rinvio giudizio per nuovo sul punto alla Corte di appello di Bari.

Poiché l’annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, ma il rinvio concerne esclusivamente il capo relativo alla confisca, deve dichiararsi ai sensi dell’art. 624 cod. proc. pen., irrevocabile l’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine al reato per cui è intervenuta la condanna.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicabilità della confisca con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Bari.

Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

Visto l’art. 624 c.p.p. dichiara la irrevocabilità della sentenza in ordine all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato.

Così deciso il 08/03/2023.

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