Cassazione Penale Sent. Sez. 4 Num. 30814 | 09 Agosto 2022

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Sentenze cassazione penale

Cassazione Penale Sez. 4 del 09 agosto 2022 n. 30814

Arresto cardiocircolatorio da folgorazione. Eccentricità del rischio attivato dal lavoratore e individuazione dell'area di rischio gestita dal datore

Penale Sent. Sez. 4 Num. 30814 Anno 2022
Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: ANTEZZA FABIO
Data Udienza: 11/05/2022

Ritenuto in fatto

1. La Corte d'appello di Palermo con la pronuncia indicata in epigrafe, assolvendo l'imputato per insussistenza dei fatti, ha riformato la sentenza con la quale L.N.G. è stato condannato dal G.u.p. del Tribunale di Termini Imerese, all'esito di giudizio abbreviato, con riferimento al delitto di omicidio colposo del lavoratore I.F. , di cui all'art. 589, comma 2, c.p. (capo a), nonché in ordine a contravvenzioni in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Tale ultimo riferimento in particolare è alle fattispecie previste dall'art. 5, lett. c, D.Lgs. n. 9 aprile 2008, n. 81, in relazione agli artt. 183637 dello stesso decreto (capo b), nonché dagli artt. 81 c.p. e 87, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 81 del 2008, in relazione agli artt. 80, commi 1, 2 e 3, 71, comma 7, 77, comma 3, 82, comma 1, e 83, comma 1, dello stesso decreto (capo c).

2. L'imputazione di cui al capo a) ha ad oggetto l'omicidio colposo del lavoratore I.F. deceduto per arresto cardiocircolatorio da folgorazione verificatosi durante il suo tentativo di riparare i cavi elettrici da lui tranciati, con la benna dell'escavatore, nell'atto di eseguire lavori di scavo presso un piazzale dell'azienda agricola nella titolarità dell'imputato. Si è in particolare trattato di una linea elettrica interrata, priva di dispositivi di protezione (interruttore automatico di protezione dalle sovracorrenti e interruttore magnetotermico differenziale, c.d. "salvavita") volta a condurre elettricità da un contatore posto a una distanza di oltre 400 metri al quadro elettrico di distribuzione per alimentare le utenze dell'adiacente immobile adibito a abitazione, sito in prossimità dell'area di scavo.

Nel dettaglio, è stato contestato a L.N.G. , in qualità di datore lavoro della persona offesa e proprietario dell'azienda agricola, l'omicidio di cui innanzi per negligenza, imprudenza, imperizia e comunque in violazione di norme di legge, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (sostanzialmente fonti delle imputazioni di cui ai capi b e c). L'addebito è stato formulato in termini di colpa consistita nell'incaricare I.F. dell'esecuzione di lavori di scavo con escavatore su area di pertinenza della propria azienda, in prossimità di linea elettrica trifase (da 400 V e 15KW) in tensione interrata superficialmente, in assenza di adeguata formazione e informazione del lavoratore sui rischi specifici cui era esposto in relazione all'attività svolta, nonché di adeguati formazione e addestramento in rapporto alla sicurezza relativamente alle condizioni di impiego del mezzo e alle situazioni anomale prevedibili. A ciò l'imputazione aggiunge il rimprovero a titolo di colpa per aver il datore di lavoro omesso di informare il lavoratore sui rischi cui era esposto durante l'attività, di fornirgli i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale e comunque di aver mantenuto in esercizio presso la suddetta proprietà l'indicato impianto elettrico trifase in mancanza dei dispositivi di protezione obbligatori.

3. Il giudice di primo grado, in sede di giudizio abbreviato subordinato a integrazione probatoria, ha ritenuto accertata la responsabilità di L.N.G. , sostanzialmente nei termini di cui all'imputazione, condannandolo per i reati allo stesso ascritti oltre che al risarcimento dei danni, con provvisionale, in favore delle parti civili C.M.A. , I.R. , I.A. e I.A. (rispettivamente, moglie, la prima, e figli della persona offesa).

4. La Corte d'appello di Palermo ha disposto perizia che ha evidenziato il mancato rispetto da parte dell'impianto elettrico del relativo progetto e l'assenza dei requisiti minimi di sicurezza previsti dalle norme CEI (Comitato Elettrico Italiano). Il giudice d'appello è comunque pervenuto a una sentenza d'assoluzione ritenendo, in termini esplicitamente difformi dagli esiti della perizia, meramente probabile la realizzazione di un cortocircuito e, comunque che un interruttore magnetotermico, se presente, non avrebbe operato l'interruzione del circuito in tempo utile. A ciò è stata infine aggiunta l'interruzione del nesso causale in ragione della condotta "abnorme" del lavoratore in quanto tale da attivare un rischio eccentrico e esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della "posizione di garanzia".

5. Avverso la prefata sentenza le tre costituite parti civili hanno proposto ricorso congiunto per cassazione, tramite il loro difensore di fiducia, articolando un unico motivo complesso, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p..

5.1. Con il ricorso, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., si deducono vizi motivazionali dovuti anche al mancato confronto con la sentenza di primo grado e il travisamento di elementi di fatto con conseguente manifesta illogicità della motivazione.

5.2. Per i ricorrenti il ragionamento della Corte territoriale circa la mera probabilità della verificazione di un cortocircuito, per effetto del contatto tra i conduttori rimasti senza isolamento e la benna dell'escavatore che li ha danneggiati, che avrebbe comportato l'attivazione dell'interruttore magnetotermico, se fosse stato presente, si fonderebbe sul travisamento del contenuto dell'annotazione di polizia giudiziaria del 1 settembre 2014 avente ad oggetto gli accertamenti eseguiti nell'immediatezza dei fatti. Da essa, in particolare, emergerebbe il danneggiamento del cavo multipolare e, in particolare, la rottura dell'isolante del conduttore nero e il troncamento del conduttore marrone, con evidenti bruciature alle due estremità. Ne conseguirebbe il travisamento dei fatti nell'aver invece la Corte territoriale ritenuto che il cavo, sebbene danneggiato, sarebbe rimasto all'interno del tubo non venendo a contatto con la benna dell'escavatore. L'esposizione dei due conduttori danneggiati, invece, a detta dei ricorrenti, avrebbe dovuto condurre a ritenere certo il cortocircuito, almeno bifase, già in atto al momento del contatto di I. con i conduttori, come confermato dal passaggio della corrente secondo l'accertato percorso "mano-mano" e non "mano-piede".

5.3. È altresì prospettato il travisamento dei fatti anche con riferimento all'apparato argomentativo della sentenza volto a escludere che, pur volendo ritenere come avvenuto un cortocircuito, l'interruttore magnetotermico sarebbe intervenuto in tempo evitando la folgorazione. Oggetto di travisamento sarebbe in particolare la corrente di cortocircuito in quanto ritenuta dalla Corte pari a circa 95 A, dato, quest'ultimo, che non sarebbe emerso dagli atti processuali, comprese le relazioni del perito e del consulente nonché le relative dichiarazioni. Lo stesso consulente avrebbe poi valutato la corrente di cortocircuito come essere stata nella specie di entità superiore, in particolare pari a 180 A (pag. 10 e 11 della relazione depositata all'udienza del 12 novembre 2019), mentre il perito avrebbe sostenuto che la detta corrente di cortocircuito si sarebbe addirittura attestata a un valore circa due o tre volte superiore rispetto a quello indicato dal consulente della difesa (a seconda della tipologia di cortocircuito, bifase o trifase).

5.4. Al travisamento inerente alla determinazione della corrente di cortocircuito si sarebbe nella specie aggiunto quello relativo alla tipologia di interruttore magnetotermico. La Corte, difatti, ponendo a base la relazione del consulente dell'imputato, avrebbe sostenuto che, comunque, l'interruttore, qualora vi fosse stato, non sarebbe intervenuto in tempo utile in quanto avrebbe dovuto avere una corrente nominale pari a 50 A. Per i ricorrenti l'apparato motivazionale di cui innanzi avrebbe finito con il travisare la prova con riferimento particolare al progetto dell'ingegnere Bellavia, circa la messa in sicurezza dell'impianto mai effettuata, che prevedeva un interruttore di 0,03 A (ovvero 30 mA), valore ribadito anche dal funzionario (omissis) (escusso all'udienza del 14 ottobre 2016). Parimenti travisato sarebbe stato sul punto anche l'esame del perito il quale, sempre all'udienza del 14 febbraio 2016, avrebbe precisato che l'impianto per essere messo in sicurezza avrebbe dovuto prevedere un interruttore dimensionato alla sua tipologia e quindi tale da intervenire, in caso di cortocircuito, in pochi millisecondi, così disalimentando l'impianto e evitando il decesso.

5.5. Travisamento vi sarebbe stato anche con riferimento agli elementi probatori inerenti all'attività che I. era stato incaricato di eseguire, dalla Corte identificati nella mera sostituzione di un pezzo meccanico dell'escavatore. Oggetto del travisamento sarebbero in particolare le stesse dichiarazioni spontanee rese dall'imputato il 27 agosto 2014 (per le quali la persona offesa "avrebbe dovuto fare anche una apertura di pista") oltre che quelle rese il 25 agosto 2014 dall'altro lavoratore, Ha., per le quali I. avrebbe iniziato a eseguire lavori di pulizia del terreno nei pressi dell'abitazione dell'azienda (volti all'eliminazione di radici di piante di carciofo).

5.6. Il vizio motivazionale di cui innanzi avrebbe quindi, da un lato, inficiato la motivazione della sentenza impugnata circa la ritenuta insussistenza della necessità di interrare la tubazione contenente il cavo multipolare sotto tensione a almeno 0,5 m, trattandosi di luogo non adibito a solo parcheggio bensì a movimentazione di macchina agricole. D'altro canto, il prospettato travisamento avrebbe viziato l'apparato motivazionale inerente alla ritenuta efficacia interruttiva del nesso causale invece ascritta dalla Corte territoriale al comportamento considerato "abnorme" del lavoratore.

6. In sede di discussione orale le parti hanno concluso come riportato in epigrafe.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è ammissibile, differentemente da quanto sostenuto dalla difesa dell'imputato in apertura della propria discussione, attingendo esso il capo relativo alla revoca delle statuizioni civili.

Invero, ai sensi dell'art. 576, c.p.p., l'impugnazione della parte civile avverso la sentenza di proscioglimento, ovviamente consentita ai soli effetti della responsabilità civile e, dunque, per il relativo capo, non richiede una specifica indicazione in tal senso (ex plurimis: Sez. U, n. 6509 del 20/12/2012, dep. 2013, Colucci, Rv. 254130-01, ribadita anche da Sez. 6, n. 14586 del 02/02/2021, Pozza, in motivazione). Pertanto, il ricorso avanzato dalle parti civili, con il quale si contesta la pronuncia assolutoria con riferimento all'omicidio colposo, deve intendersi nella specie esteso alla correlata e consequenziale revoca delle statuizioni civili contenute nella sentenza di primo grado e inerenti al risarcimento dei relativi danni ai prossimi congiunti C.M.A. , I.R. , I.A. e I.A. (rispettivamente, moglie, la prima, e figli della persona offesa).

2. Il motivo unico di ricorso è fondato nei termini di seguito specificati. L'iter logico-giuridico sotteso alla statuizione impugnata si mostra difatti inadeguato rispetto all'apparato motivazionale di primo grado, supportato da un proprio originale punto di vista scientifico non sorretto da basi sufficientemente chiare, in termini di nesso di causalità, oltre che non rispettoso dei principi governanti la materia in merito all'interruzione del nesso eziologico in ragione dell'eccentricità del rischio introdotto nella serie degli accadimenti dalla condotta del lavoratore.

3. In considerazione delle critiche prospettate dai ricorrenti, necessita muovere dall'iter logico-giuridico della sentenza di primo grado per poi verificare la sussistenza dei prospettati vizi motivazionali della sentenza d'appello e la censurata violazione dei principi governanti la materia.

3.1. Il giudice di primo grado, in sede di giudizio abbreviato subordinato ad integrazione probatoria, ha ritenuto accertata la responsabilità di L.N.G. , sostanzialmente nei termini di cui all'imputazione. Il relativo giudizio si è in particolare fondato anche sulle dichiarazioni rese dall'imputato, da altro lavoratore, dai tecnici Enel oltre che sui rilievi dei funzionari (omissis) (struttura di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro) e sull'escussione del consulente tecnico della difesa (con conseguente acquisizione della relativa relazione). Il G.u.p., peraltro, non ha dubitato della sussistenza nella specie di un rapporto di lavoro subordinato con il titolare dell'azienda agricola, in ragione delle funzioni in concreto esercitate, di I.F. (che, all'epoca dei fatti, "risultava dipendente di SIS s.c.p.a. in qualità di operaio specializzato di 4 livello, elettricista impiantista di cantiere").

3.2. Escluso che il lavoratore avesse nella specie solo sostituito un pezzo meccanico dell'escavatore, il primo giudice ha accertato l'esecuzione da parte di I. dell'evidenziata attività di scavo, causa del danneggiamento dei conduttori, ritenendola probabilmente finalizzata a interrare meglio la conduttura. Il G.u.p. ha individuato la causa della morte dal complesso degli elementi probatori evidenzianti anche la presenza di una cassetta di lavoro di proprietà di I. , in prossimità del quadro elettrico vicino all'immobile, e di alcuni morsetti e rotoli di nastro isolante nei pressi dei cavi danneggiati e del rinvenuto corpo privo di vita del lavoratore. Si è trattato, in particolare, dell'arresto cardiocircolatorio da folgorazione determinato da contatto diretto con i conduttori danneggiati in quel momento in tensione. Evento verificatosi non durante l'esecuzione dell'attività di scavo, in quanto "non correlabile all'utilizzo dell'escavatore", bensì durante il tentativo di I. di riparare i cavi elettrici, di una "linea sotto tensione", da lui tranciati con la benna dell'escavatore, come peraltro ritenuto confermato anche dai segni evidenti del c.d. "marchio elettrico" rinvenuti sul primo e sul secondo dito di entrambe le mani della persona offesa.

3.3. Ricostruite nei termini di cui innanzi tanto la dinamica del sinistro quanto le cause del decesso del lavoratore, il giudice di primo grado ha poi ritenuto sussistenti in capo all'imputato gli addebiti a titolo di colpa consistita non solo in negligenza, imprudenza e imperizia ma anche nella violazione delle norme cautelari specificatamente contestate ai capi b) e c), causa del verificarsi dell'evento che la loro previsione mirava a scongiurare.

Il datore di lavoro, in particolare, per il giudice di primo grado, "era tenuto:

- ai sensi di quanto disposto dal D.Lgs. n. 81 del 2008 art. 18, ed in considerazione dei rischi connessi all'attività che I.F. doveva svolgere, sia quale escavatorista sia quale elettricista, a fornire allo stesso I. i necessari ed idonei dispositivi di protezione individuale: I.F. al momento dell'infortunio non risultava invece indossare nè scarpe antinfortunistiche nè specifici dispositivi di protezione individuale e protezione degli specifici rischi di natura elettrica;

- ai sensi di quanto disposto dagli artt. 36 e 37 cit. dec., ad informare I.F. circa i rischi generali dell'attività aziendale e quelli specifici cui era esposto in ordine all'attività svolta, e le principali figure coinvolte nel contesto della prevenzione e protezione;

- ai sensi di quanto disposto dagli artt. 18 e 71 cit. dec., a scegliere un'attrezzatura di lavoro idonea, alla luce delle condizioni e delle caratteristiche del lavoro da svolgere e dei rischi presenti nell'ambiente di lavoro all'interno del quale I. doveva lavorare, e derivanti dall'impiego della stessa attrezzatura, nel caso di specie l'escavatore meccanico che operava in un'area in cui vi era una linea elettrica in tensione interrata solo superficialmente;

- ai sensi di quanto di sposto dagli artt. 18, 71 e 73 cit. dec., ad adoperarsi affinché I.F. ricevesse adeguata formazione ed addestramento per l'utilizzo dell'escavatore meccanico a cingolo Fai e per i lavori di manutenzione e di riparazione che avrebbe dovuto effettuare;

- ai sensi di quanto disposto dagli artt. 18 e 82 cit. dec., a vigilare affinché I.F. non svolgesse alcun tipo di lavoro sotto tensione;

- ai sensi di quanto disposto dagli artt. 18 e 83 cit. dec., a vigilare affinché I.F. non manovrasse l'escavatore meccanico in zona a rischio per la presenza di linee elettriche interrate solo superficialmente".

3.4. Le colpose omissioni di cui innanzi sono state altresì ritenute aventi diretta incidenza causale sulla morte di I.F. essendo volte le violate norme cautelari a prevenire eventi del tipo di quello verificatosi. L'infortunio mortale, ha proseguito il G.u.p., di certo non sarebbe occorso se l'imputato avesse adeguatamente formato e informato il lavoratore circa i rischi specifici cui era esposto in relazione all'attività che avrebbe dovuto svolgere, al mezzo utilizzato e alla presenza di linee elettriche in tensione interrate solo superficialmente.

3.5. La condotta colposa del lavoratore non è stata inoltre ritenuta anomala e imprevedibile al punto tale da assurgere a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento. La condotta di I.F. , in particolare, non è stata considerata "abnorme", alla stregua dell'elaborazione della giurisprudenza di legittimità sul punto, in quanto riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta. Essendo l'infortunio derivato dalla totale assenza di misure di prevenzione, infine, non è stata dal G.u.p. riconosciuta efficacia causale, idonea a escludere profili di responsabilità in capo al datore di lavoro, al comportamento del lavoratore che ha dato occasione all'evento essendo esso riconducibile alla mancanza o inidoneità di quelle cautele che, se adottate, avrebbero neutralizzato il rischio di tale comportamento.

4. La Corte d'appello di Palermo, nel giudizio all'esito del quale è stata riformata la sentenza di condanna, ha disposto perizia la quale, per quanto emerge dalla stessa statuizione impugnata, ha evidenziato il mancato rispetto da parte dell'impianto elettrico del relativo progetto e l'assenza dei requisiti minimi di sicurezza previsti dalle norme CEI (Comitato Elettrico Italiano).

4.1. In particolare, non era presente un interruttore magnetotermico a protezione della linea di collegamento, tra il punto di consegna e il quadro di manovra dell'elettropompa, per il caso di eventuali cortocircuiti o sovraccarichi. L'interruttore generale dell'impianto avrebbe dovuto essere di tipo magnetotermico differenziale, al fine di assicurare una protezione adeguata da contatti diretti e indiretti all'utente utilizzatore del quadro di comando dell'elettropompa. Sarebbe stato altresì opportuno mantenere un interruttore generale magnetotermico posto immediatamente a valle del contatore e un quadro elettrico a monte del quadro di comando dell'elettropompa. In assenza di un interruttore differenziale a monte del quadro di manovra dell'elettropompa, per quanto si legge nella sentenza d'appello, anche se vi fosse stato il collegamento all'impianto di terra, non sarebbe stato evitato, in caso di guasto, un contatto indiretto all'utilizzatore. Sollecitato in merito al contenuto della nota n. 1640 del 6 ottobre 2014 (omissis) , il perito, come evidenziato in sentenza, ha chiarito che in essa si pone in evidenza che la vittima avrebbe danneggiato la conduttura durante i lavori di scavo così estirpando il cavo principale di alimentazione della cassetta di derivazione sottostante al quadro. Tale evento avrebbe quindi causato un cortocircuito (in forza del contatto delle anime delle fasi) che avrebbe dovuto far intervenire il sistema di protezione, in particolare l'insussistente interruttore magnetotermico a monte del guasto. Sicché, I. , nel procedere alla riparazione avrebbe toccato i due conduttori e sarebbe stato così attraversato da una corrente elettrica (con percorso mano-mano). Il perito ha quindi concluso, come chiarisce la stessa sentenza d'appello, nel senso per cui il detto dispositivo se fosse stato installato avrebbe garantito la protezione dell'utente da sovraccarichi, cortocircuiti, contatti diretti e indiretti (per quanto si legge da pag. 5 della sentenza d'appello). Sempre sollecitato sul punto, l'escusso tecnico ha precisato che l'attività di riparazione del guasto della conduttura in esame non rientra nelle casistiche dei "lavori sotto tensione", in ragione della possibilità di sezionare la linea prima di eseguire l'intervento senza causare danno alla ditta, con quanto ne consegue in termini di assenza della necessità di adozione delle relative specifiche misure di protezione (redazione di una procedura di esecuzione, fornitura dei dispositivi di protezione individuale e dell'attrezzatura necessaria per eseguire in piena sicurezza l'intervento). Considerando che il luogo del sinistro era adibito a piazzale antistante all'abitazione, il tecnico ha infine concluso indicando in 0.5 m la doverosa profondità minima di interramento della specifica tubazione (tubazione 450).

5. Evidenziati nei termini di cui innanzi gli esiti della perizia, la Corte territoriale ha invece esplicitamente concluso in termini differenti in assenza di un adeguato confronto con la sentenza di primo grado e senza dare atto del dibattito sul punto da parte degli altri esperti, in particolare dei tecnici (omissis) , le cui opinioni, al pari di quelle del perito, sono state totalmente tralasciate, finendo così con l'elaborare un proprio originale punto di vista scientifico.

5.1. Tale metodo di analisi delle problematiche causali non può essere condiviso, mostra aspetti di illogicità e, soprattutto, non è conforme alle enunciazioni metodologiche offerte nella materia dalla giurisprudenza della Suprema Corte, che in questa sede si intendono ribadire (ex plurimis, Sez. 4, n. 18933 del 27/02/2014, Negroni, Rv. 262139-01, e le successive in senso conforme tra cui Sez. 4, n. 22022 del 22/02/2018, Tupini, Rv. 273586-01).

Il giudice di merito, pur trovandosi davanti a temi scientifici di rilievo ai fini dell'accertamento nel nesso causale, di fronte a opinioni differenti, è pervenuto a produrre un proprio, autoreferenziale, incontrollabile discorso scientifico.

5.2. Per il giudice d'appello il danneggiamento del cavo è certamente avvenuto per effetto di uno sforzo a trazione, avendo la benna dell'escavatore estirpato il cavo principale di alimentazione della cassetta di derivazione, come emergerebbe anche dai rilevati danni causati a quest'ultima, ma il verificarsi del cortocircuito sarebbe rimasto nell'ambito della mera probabilità.

La Corte territoriale, nonostante gli esiti della perizia, ha difatti ritenuto "molto più plausibile" che il cavo elettrico sia stato danneggiato a causa dello sforzo a trazione rimanendo all'interno del tubo e così non entrando in contatto con la benna dell'escavatore. Essendo i conduttori strettamente appaiati, peraltro, sarebbero stati all'evidenza recisi anche gli altri, ha proseguito la sentenza impugnata per poi evidenziare che, in ragione dell'interruzione del conduttore in corrispondenza del tratto in cui era avvenuto il danneggiamento, non essendo in tensione il cavo di fase non avrebbe potuto partecipare all'eventuale instaurarsi del cortocircuito, essendo il relativo circuito aperto.

5.2.1. Il cortocircuito ipotizzato dal perito, in ragione del sapere scientifico dallo stesso esplicitato, è stato quindi ritenuto dal giudice di merito "meramente probabile" all'esito di un proprio e originale punto di vista scientifico non sorretto da basi sufficientemente chiare e con motivazione che mostra nei termini di cui innanzi la propria contraddittorietà. Quest'ultima emerge in particolare laddove la stessa Corte territoriale, dopo aver ritenuto meramente probabile il cortocircuito, ha sul punto concluso considerando, peraltro sempre apoditticamente, "al più probabile che un interruttore magnetotermico sarebbe intervenuto all'istante del danneggiamento del cavo, interrompendo l'alimentazione". Così argomentando la sentenza mostra di non considerare i dedotti profili inerenti al nesso causale tra la mancata interruzione dell'alimentazione e l'evento verificatosi per l'essere stato l'impianto in tensione al momento dell'intervento su di esso del lavoratore.

5.3. Il descritto errore metodologico si mostra maggiormente pregnante nella parte in cui il giudice d'appello ha effettuato un ulteriore chiarimento, dopo aver premesso quanto innanzi circa il probabile non verificarsi del cortocircuito che, se realizzato, avrebbe comportato l'interruzione dell'alimentazione dell'impianto.

5.3.1. La Corte d'appello ha difatti precisato che, pur volendo ipotizzare il verificarsi di un cortocircuito per effetto del danneggiamento del cavo, in ogni caso, un eventuale interruttore magnetotermico non avrebbe certamente operato l'apertura del circuito e la "disalimentazione" dello stesso, atteso che il tempo d'intervento sarebbe stato certamente superiore all'istantaneo contatto reciproco tra le fasi o con la benna metallica. Si argomenta ciò in ragione della distanza tra il punto di fornitura dell'energia (la nicchia del contatore Enel) e il punto ove si è verificato il sinistro (pari a circa 500 metri) nonché della sezione dei cavi (16 mmq), con conseguente corrente di cortocircuito valutata in circa 95 A. Quest'ultima, quindi, avrebbe determinato l'azionamento dell'interruttore automatico in tempi approssimativamente compresi tra qualche decina di secondo e circa 200 secondi, con la conseguenza che il cortocircuito ipotizzato, attribuito dal perito al contatto tra i diversi conduttori di fase, si sarebbe concluso prima dell'intervento dell'interruttore magnetotermico, donde, per la Corte territoriale, la non decisività della cautela al fine di impedire l'evento. Il tempo d'intervento dell'interruttore sarebbe stato certamente superiore all'istantaneo contatto reciproco tra le fasi o con la benna metallica dell'escavatore. Un eventuale interruttore differenziale a protezione della linea di alimentazione che si dipartiva a valle della derivazione e alimentava il quadro elettrico in plastica di cui era dotata la casa, ha proseguito la Corte, non è previsto dalla normativa CEI ("CEI 64-8, p.t. 7, art. 705.413"), in ragione dell'insussistenza lungo la linea e a valle della stessa di "masse" (essendo il "quadro abitazione" in plastica) e comunque non avrebbe impedito l'evento essendosi trattato di contatto diretto con le mani di due fasi. Sul punto si fa specifico riferimento alla norma CEI 64-8, parte 4, per la quale l'uso di interruttori differenziali non è riconosciuta quale misura completa contro i contatti diretti, anche perché non permette di evitare gli infortuni provocati dal contatto simultaneo con due parti attive del circuito che si trovino a potenziali differenti. Quanto all'interramento del conduttore, poi, il giudice d'appello ha evidenziato che la norma CEI 64-8 (paragrafo 705) prevede la profondità minima di 0,5 m solo con riferimento alle aree delle strutture adibite a uso agricolo, dove i veicoli e le macchine mobili sono movimentate, ma non nelle aree, come quella interessata dal sinistro, adibite a parcheggio per le vetture.

5.3.2. Nell'escludere che l'interruttore magnetotermico sarebbe intervenuto in tempo evitando la folgorazione, la Corte territoriale mostra di aver elaborato, nella specie, un proprio originale punto di vista scientifico non solo non sorretto da basi sufficientemente chiare ma finanche in contrasto con altre emergenze processuali, totalmente non considerate.

La Corte difatti ritiene la corrente di cortocircuito nella specie pari a circa 95 A senza chiarire da quale atto processuale tale dato sarebbe emerso nè l'eventuale dibattito tecnico-scientifico tra gli esperti dal quale sarebbe invece emerso, per quanto evidenziato dai ricorrenti con specifico riferimento alle relazioni tecniche in atti, un dato superiore anche di due o tre volte rispetto a quello ritenuto in sentenza.

Parimenti dicasi con riferimento alla tipologia di interruttore magnetotermico previsto per lo specifico impianto che, per la Corte territoriale, se inserito, non avrebbe comunque impedito l'evento.

In questo caso l'apparato motivazionale non si confronta con il progetto tecnico predisposto, e mai attuato dall'imputato, per mettere in sicurezza l'impianto e con i chiarimenti sul punto forniti dal perito circa la necessità di installazione di un interruttore che, se correttamente dimensionato, sarebbe intervenuto in pochi millisecondi nel disattivare l'impianto.

I prospettati vizi motivazionali sono fondati anche circa la non ritenuta necessità di un interramento del conduttore a una profondità minima di 0,5 m.

La Corte argomenta difatti ritenendo l'area interessata dal sinistro non adibita a uso agricolo contraddicendosi nella parte in cui, invece, nella dinamica del sinistro fa un chiaro riferimento alla movimentazione in tale area dell'escavatore (macchina agricola) con il quale il lavoratore ha danneggiato i cavi elettrici.

6. La sentenza impugnata, ancora una volta non confrontandosi adeguatamente con la statuizione di primo grado, ha infine erroneamente applicato i principi in tema di interruzione del nesso causale tra condotta del "gestore del rischio" e evento, in ragione dell'"eccentricità del rischio" determinato della condotta del lavoratore, già sanciti dalla giurisprudenza di legittimità e in questa sede ulteriormente ribaditi, La Corte d'appello ha rilevato difatti che, comunque, la condotta colposa del lavoratore (peraltro operaio specializzato) il quale, senza essersi assicurato che il circuito non fosse alimentato, ha proceduto, d'iniziativa, alla riparazione dei cavi, è stata "abnorme" in quanto tale, nella specie, da attivare un rischio eccentrico e esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della "posizione di garanzia" nel caso di specie. Muovendo dalla circostanza per la quale l'incarico affidato dal datore di lavoro alla persona offesa riguardava solo operazioni meccaniche sull'escavatore, il giudice di merito ha ritenuto interrotto il nesso causale avendo la condotta del lavoratore innescato un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quello determinato dalla condotta del soggetto agente.

6.2. Rileva dunque nella specie la tematica dell'eccentricità del rischio, attivato dal lavoratore, quale indice di una causa interruttiva del nesso eziologico tra la condotta colposa del datore di lavoro e l'evento.

6.3. Secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità, il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del lavoratore, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (ex plurimis: Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222-01; Sez. 4, n. 7267 del 10/11/2009, dep. 2010, Iglina, Rv. 246695-01).

Affinché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea a escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, si è precisato, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto sul quale ricade la relativa gestione (ex plurimis: Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914-01; Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603-01; ma si veda anche Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013, dep. 2014, Rovaldi, RV. 249313-01). Perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", è necessario poi che il gestore del rischio abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e al governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del gestore del rischio (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242-01).

In linea di principio, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio proprio della lavorazione svolta e, di conseguenza, il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore e le sue conseguenze presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (Sez. 4, n. 25532 del 23/05/2007, Montanino, Rv. 236991-01; Sez. 4, n. 21587 del 23/03/2007, Pelosi, Rv. 236721-01). A quanto innanzi è stato però aggiunto, sempre in tema di rilevanza esclusiva del comportamento del lavoratore, che può essere considerato abnorme ai fini causali anche il comportamento che rientri nelle mansioni che sono proprie del lavoratore ma che sia consistito in qualcosa di radicalmente e ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e quindi prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n 15124/2016, dep. 2017, Gerosa, cit.; Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017-01).

Partendo dal presupposto che ciò che viene rimproverato al datore di lavoro è la mancata adozione di condotte atte a prevenire il rischio di infortuni, la condotta esorbitante e colposa del lavoratore, idonea a escludere il nesso causale, non è stata considerata quindi solo quella esorbitante dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell'ambito delle stesse, abbia attivato un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto su cui grava la relativa gestione (sul punto, Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Vigo, Rv. 281748-01).

È stato infine precisato che, qualora l'evento sia riconducibile alla violazione di una molteplicità di disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato elementari norme di sicurezza non può considerarsi eccentrico o esorbitante dall'area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia, in quanto l'inesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della stessa sfera di rischio fino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende dall'inerzia del datore di lavoro (Sez. 4, n. 15174 del 13/12/2017, dep. 2018, Spina, Rv. 273247-01).

7. Premessa la richiamata elaborazione giurisprudenziale sul punto e proseguendo sulla scia delle riflessioni giuridiche di cui innanzi, occorre focalizzare il concetto di "rischio eccentrico", introdotto dalla condotta del lavoratore, rispetto all'ambito gestorio affidato al soggetto della cui responsabilità si controverte.

Gli enunciati di legittimità di cui al paragrafo precedente esprimono difatti lo sforzo di identificazione di un'area di rischio dalla quale risulti estromesso quello del comportamento negligente del lavoratore, fissando condizioni che tradizionalmente si rinvengono nella imprevedibilità o nell'eccezionalità.

La più recente giurisprudenza alla quale il Collegio intende dare continuità, inseritasi nell'evoluzione innanzi descritta, suggerisce di abbandonare il criterio della imprevedibilità del comportamento del lavoratore nella verifica della relazione causale tra condotta del reo e evento, ponendosi i due concetti su piani distinti, perché ciò che davvero rileva è che tale comportamento attivi un rischio eccentrico o, se si vuole, esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto al quale viene attribuito l'evento (per tutte, Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, in motivazione; si vedano altresì per la successiva applicazione e elaborazione del principio, ex plurimis: Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603, anche in motivazione; Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242, anche in motivazione; Sez. 4, n. 22034 del 12/04/2018, Addezio, Rv. 273589, anche in motivazione; Sez. 4, n. 43350 del 05/10/2021, Mara, Rv. 282241, anche in motivazione).

7.1. Ne consegue dunque la necessità di individuare l'"area di rischio" oggetto di gestione al fine di accertarne l'eventuale eccentricità rispetto a essa del rischio attivato dalla condotta del lavoratore inseritasi nella seriazione causale.

7.2. In linea di principio, va premesso che l'intera normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro risente del principio, di matrice Eurounitaria, per cui sicurezza significa, anzitutto, prevenzione e quindi non è oggi immaginabile un sistema di sicurezza del lavoro che non sia incentrato sul concetto di rischio. Il dovere principale che la normativa italiana impone ai datori di lavoro, ai dirigenti, ai committenti, ai preposti e, in definitiva, a tutti coloro che si definiscono "garanti" e più in, più in generale, ai "gestori del rischio", è, dunque, quello di organizzare un sistema atto a prevenire efficacemente gli infortuni. Per far ciò è indispensabile individuare i rischi presenti sul luogo di lavoro e, caso per caso, quale sia stato il rischio in cui si sia concretizzato l'evento ai danni del lavoratore (cfr., Sez. 4, n. 43350/2021, Mara, cit., in motivazione, che individua la matrice sovranazionale di cui innanzi nelle Direttive, che avevano già trovato attuazione con il D.Lgs. n. 626 del 1994:

89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 95/63/CE, 97/42/CE, 98/24/CE, 99/38/CE, 99/92/CE, 2001/45/CE e 2003/10/CE, 2003/18/CE e 2004/40/CE che avevano già trovato attuazione con D.Lgs. n. 19 settembre 1994, n. 626).


È proprio dal concetto di rischio che la giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, cit.) ha desunto i concetti di "garante", e in termini più generali di "gestore del rischio", in quanto l'obbligo di proteggere il lavoratore dai rischi spetta a colui che riveste una determinata qualifica, che ha un determinato ruolo, che deve garantire l'integrità del lavoratore dai rischi che corre nello svolgimento delle sue mansioni, e il concetto di "area di rischio": è "gestore del rischio" colui il quale ha il potere di gestire un determinato rischio e che, d'altro canto, risponde a condizione che l'infortunio possa ricondursi all'area del rischio che è chiamato a gestire (sul punto si veda Sez. 4, n. 43350/2021, Mara, cit.).

Gli strumenti ricostruttivi offerti dai concetti di "area di rischio" e "gestore del rischio", come chiarito da Sez. 4, n. 15124/2017, Gerosa, cit., permettono di avvicinarsi alla fenomenologia del reato colposo con qualche maggiore chanches di afferrarne la sfuggente sostanza, fusione di fatto e valore, come altri ma più di tanti istituti del diritto penale.

Di qui la necessità assoluta e pregiudiziale di identificare con precisione il rischio e la sua estensione, che non si misura sulla sola ascissa dell'obbligo (di diligenza) ma anche sull'ordinata della regola (cautelare). La responsabilità per colpa, infatti, non fonda unicamente sulla titolarità di una posizione gestoria del rischio (sulla quale Sez. U, n. 38343/2014, Espenhahn, in motivazione) ma presuppone l'esistenza - e la necessità di dare applicazione nel caso concreto a delle regole aventi specifica funzione cautelare, perché esse indicano quali misure devono essere adottate per impedire che l'evento temuto si verifichi (cfr., Sez. 4, n. 15124/2017, Gerosa, cit., che in motivazione fa esplicito richiamo a Sez. 4, n. 12478 del 19/11/2015, dep. 2016, Barbieri, Rv. 267813). Dovere di diligenza e regola cautelare si integrano definendo nel dettaglio il concreto e specifico comportamento doveroso; ciò assicura che non si venga chiamati a rispondere penalmente per la sola titolarità della posizione e pertanto a titolo di responsabilità oggettiva (sez. 4, n. 14915 del 19.2.2019, Arrigoni, n. m.).

È dalla integrazione di obbligo di diligenza e regola cautelare che risulta dunque definita l'"area di rischio", altrimenti ridotta alla mera titolarità della posizione gestoria. Ben si comprende, quindi, come il connettersi dell'evento verificatosi a un rischio esorbitante da quell'area escluda ogni addebito del fatto a chi è preposto a governare proprio (e solo) tale "area di rischio" (Sez. 4, n. 15124/2017, Gerosa, cit., in motivazione).

7.3. Orbene, al fine di individuare, nella materia che ci occupa,l'"area di rischio", al di fuori dalla quale il rischio attivato diventa eccentrico, occorre muovere dalle principali disposizioni di cui al Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro (D.Lgs. n. 81 del 2008).

Esse difatti consentono di argomentare nel senso per cui la delimitazione, nella singola fattispecie, del rischio oggetto di valutazione e misura, quindi da gestire, necessiti di una sua identificazione in termini astratti, quale rischio tipologico, e successiva considerazione con riferimento alla concreta attività svolta dal lavoratore e alle condizioni di contesto della relativa esecuzione, quindi al rischio in concreto determinatosi in ragione dell'attività lavorativa svolta (rientrante o meno nelle specifiche mansioni attribuite al lavoratore).

Senza pretese di esaustività sul punto, è possibile muovere dall'art. 6 T.U.

Collocata nel capo relativo ai principi comuni, tale disposizione istituisce e disciplina la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, con il compito, tra gli altri, di promuovere, proprio in relazione alla valutazione dei rischi (di cui all'art. 28 T.U.) e alla predisposizione delle misure di prevenzione, la considerazione della "differenza di genere" e di elaborare criteri di qualificazione della figura del formatore per la salute e sicurezza sul lavoro, anche tenendo conto delle "peculiarità dei settori di riferimento" (comma 8, rispettivamente, lett. I ed m-bis).

Suggeriscono una valutazione che, muovendo da una individuazione astratta del rischio tipologico, passi poi a una considerazione dell'area di rischio da gestire con riferimento alla concreta attività svolta dal lavoratore e alle condizioni di contesto della relativa esecuzione anche le principali norme in tema di gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro, in termini tanto di misure di tutela e obblighi del gestore quanto di valutazione dei rischi.

Tra le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, in particolare, l'art. 15 T.U. colloca non solo la valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza ma anche l'allontanamento del lavoratore dall'esposizione al rischio per motivi sanitari, "inerenti alla sua persona", e l'adibizione, ove possibile, a altra mansione (comma 1, rispettivamente, lett. a ed m).

Non deve altresì ignorarsi che l'art. 18, comma 1, lett. c), T.U., come in precedenza l'art. 4, comma 5, lett. c), D.Lgs. n. 626 del 1994, dispone che il datore di lavoro e i dirigenti "nell'affidare i compiti ai lavoratori" devono "tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza".

Si tratta, come precisato dalla Suprema Corte, di previsione che guarda, in primo luogo, all'assegnazione delle mansioni in via preventiva e generale ma alla quale non sfugge anche la quotidiana replica del conferimento di compiti al lavoratore da parte del datore di lavoro. Diverse le ipotizzabili modalità di adempimento degli obblighi ma comune l'obiettivo di assicurare che il lavoratore sia in condizioni che permettano lo svolgimento in sicurezza dell'attività lavorativa (cfr., Sez. 4, n. 38129 del 13/06/2013, De Luca, Rv. 256417, in motivazione, essa, pur facendo ancora riferimento al concetto di imprevedibilità della condotta del lavoratore in quanto antecedente alla svolta segnata da Sez. U, n. 38343/2014, Espenhahn, ha argomentato dall'art. 18 T.U., oltre che dal successivo art. 28, per ritenere che la condizione di ubriachezza del lavoratore sul luogo di lavoro non sia circostanza eccezionale e quindi imprevedibile da parte del datore di lavoro, con l'ulteriore effetto della riconducibilità al medesimo dell'infortunio occorso pur in presenza di uno stato di ebbrezza alcolica del lavoratore rimasto vittima del sinistro, essendo indiscutibile - nella specie - la mancata chiusura, con la griglia in dotazione, della botola ove era precipitato il lavoratore nello svolgimento dell'attività).

Spunti di riflessione in merito alla questione in esame, conducenti verso l'indicato approccio valutativo dell'"area di rischio", non mancano nell'art. 28 T.U. in materia di valutazione dei rischi, attività del datore di lavoro non delegabile (ex art. 17 T.U.).

La valutazione dei rischi, alla quale consegue l'elaborazione del documento di valutazione rischi, come precisa il comma 1, deve difatti riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti "gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari", tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, e "quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza", nonché "quelli connessi alle differenze di genere, all'età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro".

Il relativo documento (di valutazione rischi), redato a conclusione della valutazione di cui innanzi, come dispone il comma 2 del citato art. 28, deve contenere una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa. In essa devono essere specificati i criteri adottati per la valutazione stessa con l'individuazione però "delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento".

La rilevanza in concreto dell'attività svolta dal lavoratore e delle condizioni di contesto della relativa esecuzione emerge altresì dall'attenzione che il T.U. pone rispetto al contesto, che potrebbe definirsi dinamico-evolutivo, con riferimento al quale necessita individuare l'area di rischio da gestire.

L'art. 29, comma 3, T.U., difatti, nel disciplinarne le modalità di effettuazione, prevede che la valutazione dei rischi debba essere immediatamente rielaborata, con conseguente rielaborazione del relativo documento di valutazione dei rischi, in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro, significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione o a seguito di infortuni ovvero quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità.

7.3.1. Ne consegue il seguente principio di diritto: "La condotta colposa del lavoratore è idonea a interrompere il nesso di causalità tra condotta e evento se tale da determinare un "rischio eccentrico" in quanto esorbitante dall'area di rischio" governata dal soggetto sul quale ricade la relativa gestione. La delimitazione, nella singola fattispecie, del rischio oggetto di valutazione e misura, quindi da gestire, necessita di una sua identificazione in termini astratti, quale rischio tipologico, e successiva considerazione con riferimento alla concreta attività svolta dal lavoratore e alle condizioni di contesto della relativa esecuzione, quindi al rischio in concreto determinatosi in ragione dell'attività lavorativa (rientrante o meno nelle specifiche mansioni attribuite)".

8. Orbene, la Corte territoriale non si è attenuta al principio di cui innanzi.

La sentenza impugnata ha difatti ritenuto il nesso eziologico, tra la condotta del datore di lavoro ("gestore del rischio") e l'evento, interrotto in ragione della mera equazione per cui all'esecuzione di attività non rientrante nelle specifiche mansioni del lavoratore consegue l'eccentricità del rischio, avendo I.F. eseguito, d'iniziativa e senza specifico incarico, la riparazione dei cavi elettrici da lui stesso danneggiati durante l'espletamento di altra attività.

Così argomentando, però, il giudice di merito si è arrestato alla sfera della identificazione astratta dell'"area di rischio" da gestire, quale rischio tipologico, senza passare alla successiva considerazione e valutazione con riferimento alla concreta attività svolta dal lavoratore e alle condizioni di contesto della relativa esecuzione, quindi al rischio in concreto determinatosi in ragione dell'attività lavorativa.

Operando nei termini di cui innanzi la Corte d'appello ha altresì trascurato di valutare l'eventuale eccentricità del rischio con riferimento al caso concreto, compresi gli specifici rapporti tra il gestore del rischio e il lavoratore infortunato. Non è stato considerato, in particolare, se a I. , in altre circostanze, sia stata richiesta dal gestore del rischio l'esecuzione di altra attività lavorativa rispetto a quella rientrante nelle proprie mansioni o se si sia trattato di lavoratore conosciuto dall'imputato come essere avvezzo alla risoluzione di problemi o inconvenienti verificati nell'espletamento della propria attività lavorativa, nella contestualità del loro manifestarsi e senza specifico incarico.

Il vizio della sentenza impugnata è nella specie particolarmente significativo in considerazione di circostanze emergenti dal processo ma non valutate dalla Corte territoriale tra le quali l'essere la persona offesa assunta da (altra) società, specializzata proprio nel campo della realizzazione di impianti elettrici, e l'aver espletato, per l'imputato, attività lavorativa senza formale assunzione volta alla riparazione dell'escavatore e all'esecuzione di opere di scavo (peraltro dal giudice di primo grado ritenute probabilmente volte proprio al migliore interramento dei conduttori).

La sentenza impugnata ha tralasciato altresì di considerare, al fine della valutazione dell'eccentricità del rischio nei termini innanzi chiariti, i dati, invece emergenti dalla sentenza di primo grado e mai avversati, della presenza di una cassetta di lavoro, di proprietà dello stesso lavoratore I. , in prossimità del quadro elettrico posto vicino all'immobile nonché della presenza di alcuni morsetti e rotoli di nastro isolante nei pressi dei cavi danneggiati e, quindi, del corpo privo di vita del lavoratore.

9. In conclusione, la sentenza impugnata (dalle sole parti civili), deve essere annullata, agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado d'appello, cui è rimessa anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.

1. Il ricorso è ammissibile, differentemente da quanto sostenuto dalla difesa dell'imputato in apertura della propria discussione, attingendo esso il capo relativo alla revoca delle statuizioni civili.

Invero, ai sensi dell'art. 576, c.p.p., l'impugnazione della parte civile avverso la sentenza di proscioglimento, ovviamente consentita ai soli effetti della responsabilità civile e, dunque, per il relativo capo, non richiede una specifica indicazione in tal senso (ex plurimis: Sez. U, n. 6509 del 20/12/2012, dep. 2013, Colucci, Rv. 254130-01, ribadita anche da Sez. 6, n. 14586 del 02/02/2021, Pozza, in motivazione). Pertanto, il ricorso avanzato dalle parti civili, con il quale si contesta la pronuncia assolutoria con riferimento all'omicidio colposo, deve intendersi nella specie esteso alla correlata e consequenziale revoca delle statuizioni civili contenute nella sentenza di primo grado e inerenti al risarcimento dei relativi danni ai prossimi congiunti C.M.A. , I.R. , I.A. e I.A. (rispettivamente, moglie, la prima, e figli della persona offesa).

2. Il motivo unico di ricorso è fondato nei termini di seguito specificati. L'iter logico-giuridico sotteso alla statuizione impugnata si mostra difatti inadeguato rispetto all'apparato motivazionale di primo grado, supportato da un proprio originale punto di vista scientifico non sorretto da basi sufficientemente chiare, in termini di nesso di causalità, oltre che non rispettoso dei principi governanti la materia in merito all'interruzione del nesso eziologico in ragione dell'eccentricità del rischio introdotto nella serie degli accadimenti dalla condotta del lavoratore.

3. In considerazione delle critiche prospettate dai ricorrenti, necessita muovere dall'iter logico-giuridico della sentenza di primo grado per poi verificare la sussistenza dei prospettati vizi motivazionali della sentenza d'appello e la censurata violazione dei principi governanti la materia.

3.1. Il giudice di primo grado, in sede di giudizio abbreviato subordinato ad integrazione probatoria, ha ritenuto accertata la responsabilità di L.N.G. , sostanzialmente nei termini di cui all'imputazione. Il relativo giudizio si è in particolare fondato anche sulle dichiarazioni rese dall'imputato, da altro lavoratore, dai tecnici Enel oltre che sui rilievi dei funzionari (omissis) (struttura di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro) e sull'escussione del consulente tecnico della difesa (con conseguente acquisizione della relativa relazione). Il G.u.p., peraltro, non ha dubitato della sussistenza nella specie di un rapporto di lavoro subordinato con il titolare dell'azienda agricola, in ragione delle funzioni in concreto esercitate, di I.F. (che, all'epoca dei fatti, "risultava dipendente di SIS s.c.p.a. in qualità di operaio specializzato di 4 livello, elettricista impiantista di cantiere").

3.2. Escluso che il lavoratore avesse nella specie solo sostituito un pezzo meccanico dell'escavatore, il primo giudice ha accertato l'esecuzione da parte di I. dell'evidenziata attività di scavo, causa del danneggiamento dei conduttori, ritenendola probabilmente finalizzata a interrare meglio la conduttura. Il G.u.p. ha individuato la causa della morte dal complesso degli elementi probatori evidenzianti anche la presenza di una cassetta di lavoro di proprietà di I. , in prossimità del quadro elettrico vicino all'immobile, e di alcuni morsetti e rotoli di nastro isolante nei pressi dei cavi danneggiati e del rinvenuto corpo privo di vita del lavoratore. Si è trattato, in particolare, dell'arresto cardiocircolatorio da folgorazione determinato da contatto diretto con i conduttori danneggiati in quel momento in tensione. Evento verificatosi non durante l'esecuzione dell'attività di scavo, in quanto "non correlabile all'utilizzo dell'escavatore", bensì durante il tentativo di I. di riparare i cavi elettrici, di una "linea sotto tensione", da lui tranciati con la benna dell'escavatore, come peraltro ritenuto confermato anche dai segni evidenti del c.d. "marchio elettrico" rinvenuti sul primo e sul secondo dito di entrambe le mani della persona offesa.

3.3. Ricostruite nei termini di cui innanzi tanto la dinamica del sinistro quanto le cause del decesso del lavoratore, il giudice di primo grado ha poi ritenuto sussistenti in capo all'imputato gli addebiti a titolo di colpa consistita non solo in negligenza, imprudenza e imperizia ma anche nella violazione delle norme cautelari specificatamente contestate ai capi b) e c), causa del verificarsi dell'evento che la loro previsione mirava a scongiurare.

Il datore di lavoro, in particolare, per il giudice di primo grado, "era tenuto:

- ai sensi di quanto disposto dal D.Lgs. n. 81 del 2008 art. 18, ed in considerazione dei rischi connessi all'attività che I.F. doveva svolgere, sia quale escavatorista sia quale elettricista, a fornire allo stesso I. i necessari ed idonei dispositivi di protezione individuale: I.F. al momento dell'infortunio non risultava invece indossare nè scarpe antinfortunistiche nè specifici dispositivi di protezione individuale e protezione degli specifici rischi di natura elettrica;

- ai sensi di quanto disposto dagli artt. 36 e 37 cit. dec., ad informare I.F. circa i rischi generali dell'attività aziendale e quelli specifici cui era esposto in ordine all'attività svolta, e le principali figure coinvolte nel contesto della prevenzione e protezione;

- ai sensi di quanto disposto dagli artt. 18 e 71 cit. dec., a scegliere un'attrezzatura di lavoro idonea, alla luce delle condizioni e delle caratteristiche del lavoro da svolgere e dei rischi presenti nell'ambiente di lavoro all'interno del quale I. doveva lavorare, e derivanti dall'impiego della stessa attrezzatura, nel caso di specie l'escavatore meccanico che operava in un'area in cui vi era una linea elettrica in tensione interrata solo superficialmente;

- ai sensi di quanto di sposto dagli artt. 18, 71 e 73 cit. dec., ad adoperarsi affinché I.F. ricevesse adeguata formazione ed addestramento per l'utilizzo dell'escavatore meccanico a cingolo Fai e per i lavori di manutenzione e di riparazione che avrebbe dovuto effettuare;

- ai sensi di quanto disposto dagli artt. 18 e 82 cit. dec., a vigilare affinché I.F. non svolgesse alcun tipo di lavoro sotto tensione;

- ai sensi di quanto disposto dagli artt. 18 e 83 cit. dec., a vigilare affinché I.F. non manovrasse l'escavatore meccanico in zona a rischio per la presenza di linee elettriche interrate solo superficialmente".

3.4. Le colpose omissioni di cui innanzi sono state altresì ritenute aventi diretta incidenza causale sulla morte di I.F. essendo volte le violate norme cautelari a prevenire eventi del tipo di quello verificatosi. L'infortunio mortale, ha proseguito il G.u.p., di certo non sarebbe occorso se l'imputato avesse adeguatamente formato e informato il lavoratore circa i rischi specifici cui era esposto in relazione all'attività che avrebbe dovuto svolgere, al mezzo utilizzato e alla presenza di linee elettriche in tensione interrate solo superficialmente.

3.5. La condotta colposa del lavoratore non è stata inoltre ritenuta anomala e imprevedibile al punto tale da assurgere a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento. La condotta di I.F. , in particolare, non è stata considerata "abnorme", alla stregua dell'elaborazione della giurisprudenza di legittimità sul punto, in quanto riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta. Essendo l'infortunio derivato dalla totale assenza di misure di prevenzione, infine, non è stata dal G.u.p. riconosciuta efficacia causale, idonea a escludere profili di responsabilità in capo al datore di lavoro, al comportamento del lavoratore che ha dato occasione all'evento essendo esso riconducibile alla mancanza o inidoneità di quelle cautele che, se adottate, avrebbero neutralizzato il rischio di tale comportamento.

4. La Corte d'appello di Palermo, nel giudizio all'esito del quale è stata riformata la sentenza di condanna, ha disposto perizia la quale, per quanto emerge dalla stessa statuizione impugnata, ha evidenziato il mancato rispetto da parte dell'impianto elettrico del relativo progetto e l'assenza dei requisiti minimi di sicurezza previsti dalle norme CEI (Comitato Elettrico Italiano).

4.1. In particolare, non era presente un interruttore magnetotermico a protezione della linea di collegamento, tra il punto di consegna e il quadro di manovra dell'elettropompa, per il caso di eventuali cortocircuiti o sovraccarichi. L'interruttore generale dell'impianto avrebbe dovuto essere di tipo magnetotermico differenziale, al fine di assicurare una protezione adeguata da contatti diretti e indiretti all'utente utilizzatore del quadro di comando dell'elettropompa. Sarebbe stato altresì opportuno mantenere un interruttore generale magnetotermico posto immediatamente a valle del contatore e un quadro elettrico a monte del quadro di comando dell'elettropompa. In assenza di un interruttore differenziale a monte del quadro di manovra dell'elettropompa, per quanto si legge nella sentenza d'appello, anche se vi fosse stato il collegamento all'impianto di terra, non sarebbe stato evitato, in caso di guasto, un contatto indiretto all'utilizzatore. Sollecitato in merito al contenuto della nota n. 1640 del 6 ottobre 2014 (omissis) , il perito, come evidenziato in sentenza, ha chiarito che in essa si pone in evidenza che la vittima avrebbe danneggiato la conduttura durante i lavori di scavo così estirpando il cavo principale di alimentazione della cassetta di derivazione sottostante al quadro. Tale evento avrebbe quindi causato un cortocircuito (in forza del contatto delle anime delle fasi) che avrebbe dovuto far intervenire il sistema di protezione, in particolare l'insussistente interruttore magnetotermico a monte del guasto. Sicché, I. , nel procedere alla riparazione avrebbe toccato i due conduttori e sarebbe stato così attraversato da una corrente elettrica (con percorso mano-mano). Il perito ha quindi concluso, come chiarisce la stessa sentenza d'appello, nel senso per cui il detto dispositivo se fosse stato installato avrebbe garantito la protezione dell'utente da sovraccarichi, cortocircuiti, contatti diretti e indiretti (per quanto si legge da pag. 5 della sentenza d'appello). Sempre sollecitato sul punto, l'escusso tecnico ha precisato che l'attività di riparazione del guasto della conduttura in esame non rientra nelle casistiche dei "lavori sotto tensione", in ragione della possibilità di sezionare la linea prima di eseguire l'intervento senza causare danno alla ditta, con quanto ne consegue in termini di assenza della necessità di adozione delle relative specifiche misure di protezione (redazione di una procedura di esecuzione, fornitura dei dispositivi di protezione individuale e dell'attrezzatura necessaria per eseguire in piena sicurezza l'intervento). Considerando che il luogo del sinistro era adibito a piazzale antistante all'abitazione, il tecnico ha infine concluso indicando in 0.5 m la doverosa profondità minima di interramento della specifica tubazione (tubazione 450).

5. Evidenziati nei termini di cui innanzi gli esiti della perizia, la Corte territoriale ha invece esplicitamente concluso in termini differenti in assenza di un adeguato confronto con la sentenza di primo grado e senza dare atto del dibattito sul punto da parte degli altri esperti, in particolare dei tecnici (omissis) , le cui opinioni, al pari di quelle del perito, sono state totalmente tralasciate, finendo così con l'elaborare un proprio originale punto di vista scientifico.

5.1. Tale metodo di analisi delle problematiche causali non può essere condiviso, mostra aspetti di illogicità e, soprattutto, non è conforme alle enunciazioni metodologiche offerte nella materia dalla giurisprudenza della Suprema Corte, che in questa sede si intendono ribadire (ex plurimis, Sez. 4, n. 18933 del 27/02/2014, Negroni, Rv. 262139-01, e le successive in senso conforme tra cui Sez. 4, n. 22022 del 22/02/2018, Tupini, Rv. 273586-01).

Il giudice di merito, pur trovandosi davanti a temi scientifici di rilievo ai fini dell'accertamento nel nesso causale, di fronte a opinioni differenti, è pervenuto a produrre un proprio, autoreferenziale, incontrollabile discorso scientifico.

5.2. Per il giudice d'appello il danneggiamento del cavo è certamente avvenuto per effetto di uno sforzo a trazione, avendo la benna dell'escavatore estirpato il cavo principale di alimentazione della cassetta di derivazione, come emergerebbe anche dai rilevati danni causati a quest'ultima, ma il verificarsi del cortocircuito sarebbe rimasto nell'ambito della mera probabilità.

La Corte territoriale, nonostante gli esiti della perizia, ha difatti ritenuto "molto più plausibile" che il cavo elettrico sia stato danneggiato a causa dello sforzo a trazione rimanendo all'interno del tubo e così non entrando in contatto con la benna dell'escavatore. Essendo i conduttori strettamente appaiati, peraltro, sarebbero stati all'evidenza recisi anche gli altri, ha proseguito la sentenza impugnata per poi evidenziare che, in ragione dell'interruzione del conduttore in corrispondenza del tratto in cui era avvenuto il danneggiamento, non essendo in tensione il cavo di fase non avrebbe potuto partecipare all'eventuale instaurarsi del cortocircuito, essendo il relativo circuito aperto.

5.2.1. Il cortocircuito ipotizzato dal perito, in ragione del sapere scientifico dallo stesso esplicitato, è stato quindi ritenuto dal giudice di merito "meramente probabile" all'esito di un proprio e originale punto di vista scientifico non sorretto da basi sufficientemente chiare e con motivazione che mostra nei termini di cui innanzi la propria contraddittorietà. Quest'ultima emerge in particolare laddove la stessa Corte territoriale, dopo aver ritenuto meramente probabile il cortocircuito, ha sul punto concluso considerando, peraltro sempre apoditticamente, "al più probabile che un interruttore magnetotermico sarebbe intervenuto all'istante del danneggiamento del cavo, interrompendo l'alimentazione". Così argomentando la sentenza mostra di non considerare i dedotti profili inerenti al nesso causale tra la mancata interruzione dell'alimentazione e l'evento verificatosi per l'essere stato l'impianto in tensione al momento dell'intervento su di esso del lavoratore.

5.3. Il descritto errore metodologico si mostra maggiormente pregnante nella parte in cui il giudice d'appello ha effettuato un ulteriore chiarimento, dopo aver premesso quanto innanzi circa il probabile non verificarsi del cortocircuito che, se realizzato, avrebbe comportato l'interruzione dell'alimentazione dell'impianto.

5.3.1. La Corte d'appello ha difatti precisato che, pur volendo ipotizzare il verificarsi di un cortocircuito per effetto del danneggiamento del cavo, in ogni caso, un eventuale interruttore magnetotermico non avrebbe certamente operato l'apertura del circuito e la "disalimentazione" dello stesso, atteso che il tempo d'intervento sarebbe stato certamente superiore all'istantaneo contatto reciproco tra le fasi o con la benna metallica. Si argomenta ciò in ragione della distanza tra il punto di fornitura dell'energia (la nicchia del contatore Enel) e il punto ove si è verificato il sinistro (pari a circa 500 metri) nonché della sezione dei cavi (16 mmq), con conseguente corrente di cortocircuito valutata in circa 95 A. Quest'ultima, quindi, avrebbe determinato l'azionamento dell'interruttore automatico in tempi approssimativamente compresi tra qualche decina di secondo e circa 200 secondi, con la conseguenza che il cortocircuito ipotizzato, attribuito dal perito al contatto tra i diversi conduttori di fase, si sarebbe concluso prima dell'intervento dell'interruttore magnetotermico, donde, per la Corte territoriale, la non decisività della cautela al fine di impedire l'evento. Il tempo d'intervento dell'interruttore sarebbe stato certamente superiore all'istantaneo contatto reciproco tra le fasi o con la benna metallica dell'escavatore. Un eventuale interruttore differenziale a protezione della linea di alimentazione che si dipartiva a valle della derivazione e alimentava il quadro elettrico in plastica di cui era dotata la casa, ha proseguito la Corte, non è previsto dalla normativa CEI ("CEI 64-8, p.t. 7, art. 705.413"), in ragione dell'insussistenza lungo la linea e a valle della stessa di "masse" (essendo il "quadro abitazione" in plastica) e comunque non avrebbe impedito l'evento essendosi trattato di contatto diretto con le mani di due fasi. Sul punto si fa specifico riferimento alla norma CEI 64-8, parte 4, per la quale l'uso di interruttori differenziali non è riconosciuta quale misura completa contro i contatti diretti, anche perché non permette di evitare gli infortuni provocati dal contatto simultaneo con due parti attive del circuito che si trovino a potenziali differenti. Quanto all'interramento del conduttore, poi, il giudice d'appello ha evidenziato che la norma CEI 64-8 (paragrafo 705) prevede la profondità minima di 0,5 m solo con riferimento alle aree delle strutture adibite a uso agricolo, dove i veicoli e le macchine mobili sono movimentate, ma non nelle aree, come quella interessata dal sinistro, adibite a parcheggio per le vetture.

5.3.2. Nell'escludere che l'interruttore magnetotermico sarebbe intervenuto in tempo evitando la folgorazione, la Corte territoriale mostra di aver elaborato, nella specie, un proprio originale punto di vista scientifico non solo non sorretto da basi sufficientemente chiare ma finanche in contrasto con altre emergenze processuali, totalmente non considerate.

La Corte difatti ritiene la corrente di cortocircuito nella specie pari a circa 95 A senza chiarire da quale atto processuale tale dato sarebbe emerso nè l'eventuale dibattito tecnico-scientifico tra gli esperti dal quale sarebbe invece emerso, per quanto evidenziato dai ricorrenti con specifico riferimento alle relazioni tecniche in atti, un dato superiore anche di due o tre volte rispetto a quello ritenuto in sentenza.

Parimenti dicasi con riferimento alla tipologia di interruttore magnetotermico previsto per lo specifico impianto che, per la Corte territoriale, se inserito, non avrebbe comunque impedito l'evento.

In questo caso l'apparato motivazionale non si confronta con il progetto tecnico predisposto, e mai attuato dall'imputato, per mettere in sicurezza l'impianto e con i chiarimenti sul punto forniti dal perito circa la necessità di installazione di un interruttore che, se correttamente dimensionato, sarebbe intervenuto in pochi millisecondi nel disattivare l'impianto.

I prospettati vizi motivazionali sono fondati anche circa la non ritenuta necessità di un interramento del conduttore a una profondità minima di 0,5 m.

La Corte argomenta difatti ritenendo l'area interessata dal sinistro non adibita a uso agricolo contraddicendosi nella parte in cui, invece, nella dinamica del sinistro fa un chiaro riferimento alla movimentazione in tale area dell'escavatore (macchina agricola) con il quale il lavoratore ha danneggiato i cavi elettrici.

6. La sentenza impugnata, ancora una volta non confrontandosi adeguatamente con la statuizione di primo grado, ha infine erroneamente applicato i principi in tema di interruzione del nesso causale tra condotta del "gestore del rischio" e evento, in ragione dell'"eccentricità del rischio" determinato della condotta del lavoratore, già sanciti dalla giurisprudenza di legittimità e in questa sede ulteriormente ribaditi, La Corte d'appello ha rilevato difatti che, comunque, la condotta colposa del lavoratore (peraltro operaio specializzato) il quale, senza essersi assicurato che il circuito non fosse alimentato, ha proceduto, d'iniziativa, alla riparazione dei cavi, è stata "abnorme" in quanto tale, nella specie, da attivare un rischio eccentrico e esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della "posizione di garanzia" nel caso di specie. Muovendo dalla circostanza per la quale l'incarico affidato dal datore di lavoro alla persona offesa riguardava solo operazioni meccaniche sull'escavatore, il giudice di merito ha ritenuto interrotto il nesso causale avendo la condotta del lavoratore innescato un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quello determinato dalla condotta del soggetto agente.

6.2. Rileva dunque nella specie la tematica dell'eccentricità del rischio, attivato dal lavoratore, quale indice di una causa interruttiva del nesso eziologico tra la condotta colposa del datore di lavoro e l'evento.

6.3. Secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità, il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del lavoratore, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (ex plurimis: Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222-01; Sez. 4, n. 7267 del 10/11/2009, dep. 2010, Iglina, Rv. 246695-01).

Affinché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea a escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, si è precisato, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto sul quale ricade la relativa gestione (ex plurimis: Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914-01; Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603-01; ma si veda anche Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013, dep. 2014, Rovaldi, RV. 249313-01). Perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", è necessario poi che il gestore del rischio abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e al governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del gestore del rischio (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242-01).

In linea di principio, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio proprio della lavorazione svolta e, di conseguenza, il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore e le sue conseguenze presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (Sez. 4, n. 25532 del 23/05/2007, Montanino, Rv. 236991-01; Sez. 4, n. 21587 del 23/03/2007, Pelosi, Rv. 236721-01). A quanto innanzi è stato però aggiunto, sempre in tema di rilevanza esclusiva del comportamento del lavoratore, che può essere considerato abnorme ai fini causali anche il comportamento che rientri nelle mansioni che sono proprie del lavoratore ma che sia consistito in qualcosa di radicalmente e ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e quindi prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n 15124/2016, dep. 2017, Gerosa, cit.; Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017-01).

Partendo dal presupposto che ciò che viene rimproverato al datore di lavoro è la mancata adozione di condotte atte a prevenire il rischio di infortuni, la condotta esorbitante e colposa del lavoratore, idonea a escludere il nesso causale, non è stata considerata quindi solo quella esorbitante dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell'ambito delle stesse, abbia attivato un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto su cui grava la relativa gestione (sul punto, Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Vigo, Rv. 281748-01).

È stato infine precisato che, qualora l'evento sia riconducibile alla violazione di una molteplicità di disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato elementari norme di sicurezza non può considerarsi eccentrico o esorbitante dall'area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia, in quanto l'inesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della stessa sfera di rischio fino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende dall'inerzia del datore di lavoro (Sez. 4, n. 15174 del 13/12/2017, dep. 2018, Spina, Rv. 273247-01).

7. Premessa la richiamata elaborazione giurisprudenziale sul punto e proseguendo sulla scia delle riflessioni giuridiche di cui innanzi, occorre focalizzare il concetto di "rischio eccentrico", introdotto dalla condotta del lavoratore, rispetto all'ambito gestorio affidato al soggetto della cui responsabilità si controverte.

Gli enunciati di legittimità di cui al paragrafo precedente esprimono difatti lo sforzo di identificazione di un'area di rischio dalla quale risulti estromesso quello del comportamento negligente del lavoratore, fissando condizioni che tradizionalmente si rinvengono nella imprevedibilità o nell'eccezionalità.

La più recente giurisprudenza alla quale il Collegio intende dare continuità, inseritasi nell'evoluzione innanzi descritta, suggerisce di abbandonare il criterio della imprevedibilità del comportamento del lavoratore nella verifica della relazione causale tra condotta del reo e evento, ponendosi i due concetti su piani distinti, perché ciò che davvero rileva è che tale comportamento attivi un rischio eccentrico o, se si vuole, esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto al quale viene attribuito l'evento (per tutte, Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, in motivazione; si vedano altresì per la successiva applicazione e elaborazione del principio, ex plurimis: Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603, anche in motivazione; Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242, anche in motivazione; Sez. 4, n. 22034 del 12/04/2018, Addezio, Rv. 273589, anche in motivazione; Sez. 4, n. 43350 del 05/10/2021, Mara, Rv. 282241, anche in motivazione).

7.1. Ne consegue dunque la necessità di individuare l'"area di rischio" oggetto di gestione al fine di accertarne l'eventuale eccentricità rispetto a essa del rischio attivato dalla condotta del lavoratore inseritasi nella seriazione causale.

7.2. In linea di principio, va premesso che l'intera normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro risente del principio, di matrice Eurounitaria, per cui sicurezza significa, anzitutto, prevenzione e quindi non è oggi immaginabile un sistema di sicurezza del lavoro che non sia incentrato sul concetto di rischio. Il dovere principale che la normativa italiana impone ai datori di lavoro, ai dirigenti, ai committenti, ai preposti e, in definitiva, a tutti coloro che si definiscono "garanti" e più in, più in generale, ai "gestori del rischio", è, dunque, quello di organizzare un sistema atto a prevenire efficacemente gli infortuni. Per far ciò è indispensabile individuare i rischi presenti sul luogo di lavoro e, caso per caso, quale sia stato il rischio in cui si sia concretizzato l'evento ai danni del lavoratore (cfr., Sez. 4, n. 43350/2021, Mara, cit., in motivazione, che individua la matrice sovranazionale di cui innanzi nelle Direttive, che avevano già trovato attuazione con il D.Lgs. n. 626 del 1994:

89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 95/63/CE, 97/42/CE, 98/24/CE, 99/38/CE, 99/92/CE, 2001/45/CE e 2003/10/CE, 2003/18/CE e 2004/40/CE che avevano già trovato attuazione con D.Lgs. n. 19 settembre 1994, n. 626).


È proprio dal concetto di rischio che la giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, cit.) ha desunto i concetti di "garante", e in termini più generali di "gestore del rischio", in quanto l'obbligo di proteggere il lavoratore dai rischi spetta a colui che riveste una determinata qualifica, che ha un determinato ruolo, che deve garantire l'integrità del lavoratore dai rischi che corre nello svolgimento delle sue mansioni, e il concetto di "area di rischio": è "gestore del rischio" colui il quale ha il potere di gestire un determinato rischio e che, d'altro canto, risponde a condizione che l'infortunio possa ricondursi all'area del rischio che è chiamato a gestire (sul punto si veda Sez. 4, n. 43350/2021, Mara, cit.).

Gli strumenti ricostruttivi offerti dai concetti di "area di rischio" e "gestore del rischio", come chiarito da Sez. 4, n. 15124/2017, Gerosa, cit., permettono di avvicinarsi alla fenomenologia del reato colposo con qualche maggiore chanches di afferrarne la sfuggente sostanza, fusione di fatto e valore, come altri ma più di tanti istituti del diritto penale.

Di qui la necessità assoluta e pregiudiziale di identificare con precisione il rischio e la sua estensione, che non si misura sulla sola ascissa dell'obbligo (di diligenza) ma anche sull'ordinata della regola (cautelare). La responsabilità per colpa, infatti, non fonda unicamente sulla titolarità di una posizione gestoria del rischio (sulla quale Sez. U, n. 38343/2014, Espenhahn, in motivazione) ma presuppone l'esistenza - e la necessità di dare applicazione nel caso concreto a delle regole aventi specifica funzione cautelare, perché esse indicano quali misure devono essere adottate per impedire che l'evento temuto si verifichi (cfr., Sez. 4, n. 15124/2017, Gerosa, cit., che in motivazione fa esplicito richiamo a Sez. 4, n. 12478 del 19/11/2015, dep. 2016, Barbieri, Rv. 267813). Dovere di diligenza e regola cautelare si integrano definendo nel dettaglio il concreto e specifico comportamento doveroso; ciò assicura che non si venga chiamati a rispondere penalmente per la sola titolarità della posizione e pertanto a titolo di responsabilità oggettiva (sez. 4, n. 14915 del 19.2.2019, Arrigoni, n. m.).

È dalla integrazione di obbligo di diligenza e regola cautelare che risulta dunque definita l'"area di rischio", altrimenti ridotta alla mera titolarità della posizione gestoria. Ben si comprende, quindi, come il connettersi dell'evento verificatosi a un rischio esorbitante da quell'area escluda ogni addebito del fatto a chi è preposto a governare proprio (e solo) tale "area di rischio" (Sez. 4, n. 15124/2017, Gerosa, cit., in motivazione).

7.3. Orbene, al fine di individuare, nella materia che ci occupa,l'"area di rischio", al di fuori dalla quale il rischio attivato diventa eccentrico, occorre muovere dalle principali disposizioni di cui al Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro (D.Lgs. n. 81 del 2008).

Esse difatti consentono di argomentare nel senso per cui la delimitazione, nella singola fattispecie, del rischio oggetto di valutazione e misura, quindi da gestire, necessiti di una sua identificazione in termini astratti, quale rischio tipologico, e successiva considerazione con riferimento alla concreta attività svolta dal lavoratore e alle condizioni di contesto della relativa esecuzione, quindi al rischio in concreto determinatosi in ragione dell'attività lavorativa svolta (rientrante o meno nelle specifiche mansioni attribuite al lavoratore).

Senza pretese di esaustività sul punto, è possibile muovere dall'art. 6 T.U.

Collocata nel capo relativo ai principi comuni, tale disposizione istituisce e disciplina la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, con il compito, tra gli altri, di promuovere, proprio in relazione alla valutazione dei rischi (di cui all'art. 28 T.U.) e alla predisposizione delle misure di prevenzione, la considerazione della "differenza di genere" e di elaborare criteri di qualificazione della figura del formatore per la salute e sicurezza sul lavoro, anche tenendo conto delle "peculiarità dei settori di riferimento" (comma 8, rispettivamente, lett. I ed m-bis).

Suggeriscono una valutazione che, muovendo da una individuazione astratta del rischio tipologico, passi poi a una considerazione dell'area di rischio da gestire con riferimento alla concreta attività svolta dal lavoratore e alle condizioni di contesto della relativa esecuzione anche le principali norme in tema di gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro, in termini tanto di misure di tutela e obblighi del gestore quanto di valutazione dei rischi.

Tra le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, in particolare, l'art. 15 T.U. colloca non solo la valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza ma anche l'allontanamento del lavoratore dall'esposizione al rischio per motivi sanitari, "inerenti alla sua persona", e l'adibizione, ove possibile, a altra mansione (comma 1, rispettivamente, lett. a ed m).

Non deve altresì ignorarsi che l'art. 18, comma 1, lett. c), T.U., come in precedenza l'art. 4, comma 5, lett. c), D.Lgs. n. 626 del 1994, dispone che il datore di lavoro e i dirigenti "nell'affidare i compiti ai lavoratori" devono "tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza".

Si tratta, come precisato dalla Suprema Corte, di previsione che guarda, in primo luogo, all'assegnazione delle mansioni in via preventiva e generale ma alla quale non sfugge anche la quotidiana replica del conferimento di compiti al lavoratore da parte del datore di lavoro. Diverse le ipotizzabili modalità di adempimento degli obblighi ma comune l'obiettivo di assicurare che il lavoratore sia in condizioni che permettano lo svolgimento in sicurezza dell'attività lavorativa (cfr., Sez. 4, n. 38129 del 13/06/2013, De Luca, Rv. 256417, in motivazione, essa, pur facendo ancora riferimento al concetto di imprevedibilità della condotta del lavoratore in quanto antecedente alla svolta segnata da Sez. U, n. 38343/2014, Espenhahn, ha argomentato dall'art. 18 T.U., oltre che dal successivo art. 28, per ritenere che la condizione di ubriachezza del lavoratore sul luogo di lavoro non sia circostanza eccezionale e quindi imprevedibile da parte del datore di lavoro, con l'ulteriore effetto della riconducibilità al medesimo dell'infortunio occorso pur in presenza di uno stato di ebbrezza alcolica del lavoratore rimasto vittima del sinistro, essendo indiscutibile - nella specie - la mancata chiusura, con la griglia in dotazione, della botola ove era precipitato il lavoratore nello svolgimento dell'attività).

Spunti di riflessione in merito alla questione in esame, conducenti verso l'indicato approccio valutativo dell'"area di rischio", non mancano nell'art. 28 T.U. in materia di valutazione dei rischi, attività del datore di lavoro non delegabile (ex art. 17 T.U.).

La valutazione dei rischi, alla quale consegue l'elaborazione del documento di valutazione rischi, come precisa il comma 1, deve difatti riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti "gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari", tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, e "quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza", nonché "quelli connessi alle differenze di genere, all'età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro".

Il relativo documento (di valutazione rischi), redato a conclusione della valutazione di cui innanzi, come dispone il comma 2 del citato art. 28, deve contenere una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa. In essa devono essere specificati i criteri adottati per la valutazione stessa con l'individuazione però "delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento".

La rilevanza in concreto dell'attività svolta dal lavoratore e delle condizioni di contesto della relativa esecuzione emerge altresì dall'attenzione che il T.U. pone rispetto al contesto, che potrebbe definirsi dinamico-evolutivo, con riferimento al quale necessita individuare l'area di rischio da gestire.

L'art. 29, comma 3, T.U., difatti, nel disciplinarne le modalità di effettuazione, prevede che la valutazione dei rischi debba essere immediatamente rielaborata, con conseguente rielaborazione del relativo documento di valutazione dei rischi, in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro, significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione o a seguito di infortuni ovvero quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità.

7.3.1. Ne consegue il seguente principio di diritto: "La condotta colposa del lavoratore è idonea a interrompere il nesso di causalità tra condotta e evento se tale da determinare un "rischio eccentrico" in quanto esorbitante dall'area di rischio" governata dal soggetto sul quale ricade la relativa gestione. La delimitazione, nella singola fattispecie, del rischio oggetto di valutazione e misura, quindi da gestire, necessita di una sua identificazione in termini astratti, quale rischio tipologico, e successiva considerazione con riferimento alla concreta attività svolta dal lavoratore e alle condizioni di contesto della relativa esecuzione, quindi al rischio in concreto determinatosi in ragione dell'attività lavorativa (rientrante o meno nelle specifiche mansioni attribuite)".

8. Orbene, la Corte territoriale non si è attenuta al principio di cui innanzi.

La sentenza impugnata ha difatti ritenuto il nesso eziologico, tra la condotta del datore di lavoro ("gestore del rischio") e l'evento, interrotto in ragione della mera equazione per cui all'esecuzione di attività non rientrante nelle specifiche mansioni del lavoratore consegue l'eccentricità del rischio, avendo I.F. eseguito, d'iniziativa e senza specifico incarico, la riparazione dei cavi elettrici da lui stesso danneggiati durante l'espletamento di altra attività.

Così argomentando, però, il giudice di merito si è arrestato alla sfera della identificazione astratta dell'"area di rischio" da gestire, quale rischio tipologico, senza passare alla successiva considerazione e valutazione con riferimento alla concreta attività svolta dal lavoratore e alle condizioni di contesto della relativa esecuzione, quindi al rischio in concreto determinatosi in ragione dell'attività lavorativa.

Operando nei termini di cui innanzi la Corte d'appello ha altresì trascurato di valutare l'eventuale eccentricità del rischio con riferimento al caso concreto, compresi gli specifici rapporti tra il gestore del rischio e il lavoratore infortunato. Non è stato considerato, in particolare, se a I. , in altre circostanze, sia stata richiesta dal gestore del rischio l'esecuzione di altra attività lavorativa rispetto a quella rientrante nelle proprie mansioni o se si sia trattato di lavoratore conosciuto dall'imputato come essere avvezzo alla risoluzione di problemi o inconvenienti verificati nell'espletamento della propria attività lavorativa, nella contestualità del loro manifestarsi e senza specifico incarico.

Il vizio della sentenza impugnata è nella specie particolarmente significativo in considerazione di circostanze emergenti dal processo ma non valutate dalla Corte territoriale tra le quali l'essere la persona offesa assunta da (altra) società, specializzata proprio nel campo della realizzazione di impianti elettrici, e l'aver espletato, per l'imputato, attività lavorativa senza formale assunzione volta alla riparazione dell'escavatore e all'esecuzione di opere di scavo (peraltro dal giudice di primo grado ritenute probabilmente volte proprio al migliore interramento dei conduttori).

La sentenza impugnata ha tralasciato altresì di considerare, al fine della valutazione dell'eccentricità del rischio nei termini innanzi chiariti, i dati, invece emergenti dalla sentenza di primo grado e mai avversati, della presenza di una cassetta di lavoro, di proprietà dello stesso lavoratore I. , in prossimità del quadro elettrico posto vicino all'immobile nonché della presenza di alcuni morsetti e rotoli di nastro isolante nei pressi dei cavi danneggiati e, quindi, del corpo privo di vita del lavoratore.

9. In conclusione, la sentenza impugnata (dalle sole parti civili), deve essere annullata, agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado d'appello, cui è rimessa anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente, agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado d'appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.

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